Cultura digitale in Italia, a che punto siamo? Risponde Maria Grazia Mattei
Acquisire nuova consapevolezza del mondo digitale per connettersi con tutto il mondo ha a che vedere con un nuovo concetto di collettività. Maria Grazia Mattei, a capo del Meet, il primo centro italiano di cultura digitale con il supporto di Fondazione Cariplo, ci spiega prospettive e potenzialità della tecnologia per la qualità di vita personale e sociale.
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©Maria Grazia Mattei, Meet
Mentre sta per partire, senza interruzioni per il lockdown e grazie alla rete, la Milano digital week e mentre è appena stato battuto all'asta il più grande jpeg al mondo, esploriamo il mondo digitale come nuova forma espressiva, artistica e comunicativa che rappresenta sempre di più un elemento importante della nostra contemporaneità.
Scopriamo meglio questa nuova forma d'espressione secondo la visione avvenieristica di Maria Grazia Mattei, alla guida di Meet, il primo Centro della cultura digitale con il supporto di Fondazione Cariplo. La sede è a Milano ma la rete di collaborazioni è globale.
Cultura e arte fanno bene alla mente e allo spirito, anche se fruite digitalmente?
Sì. l'arte digitale non rappresenta un campo a parte del mondo dell'arte o della cultura. Si tratta di nuove espressioni della contemporaneità, per cui io vorrei che si arrivasse a un punto in cui si togliesse la parola “digitale”, guardando nella direzione di queste nuove forme espressive, creative e comunicative, considerandole come un elemento importante della nostra contemporaneità.
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©Elena Galimberti - Renaissance Dreams di Refik Abadol
Parliamo di nuove forme espressive anche molto creative che si basano sull'utilizzo di mezzi molto evoluti e in evoluzione, per esempio come l'intelligenza artificiale e sono strumenti usati da un artista o un creativo, quindi l'uomo c'è sempre al centro.
Queste nuove forme di espressione comunicative e artistiche rappresentano una nuova frontiera del linguaggio audiovisivo, addirittura sinestetico quando parliamo di installazioni che coinvolgono tutti i sensi. Se è vero che le opere d'arte del passato e del presente sono quelle che fanno bene all'anima, diciamolo, perché l'uomo ha bisogno di alimentare le espressioni di cultura. C'è bisogno che esse circolino. L'uomo ha bisogno di alimentare la bellezza: se non stai nella bellezza, sprofondi nelle ansie.
Se è vero questo, non ci possono essere espressioni d'arte di serie B. Ci sono espressioni altissime ormai. Per esempio, se lei venisse al Meet, a vedere l'installazione site-specific Renaissance Dreams di Refik Anadol, in una stanza del Meet con 15 proiettori, si immergerebbe in una dimensione audio-visiva ipnotica di una bellezza e di una potenza che veramente fa bene all'anima. Refik Anadol è un grande artista internazionale che idea queste installazioni, non un quadro, ma un'opera (realizzata appositamente per Meet) generata dall'artista con l'ausilio dell'intelligenza artificiale.
È un omaggio al Rinascimento italiano al quale ha lavorato con milioni di immagini, ed il risultato è un affresco dinamico che ti fa sognare un nuovo Rinascimento: questa è una forma d'arte altissima.
Ancora oggi c'è una distinzione tra una cultura classica, analogica, per quanto potente e quella digitale. In realtà si sta formando una nuova cultura, dove i metri digitali saranno sempre più alla portata di tutti, ci sono sempre più strumenti che suggeriscono nuove traiettorie espressive, linguistiche, comunicative. Se la bellezza c'è, è la bellezza che conta.
Come comunica un'opera d'arte digitale?
Agisce in molte direzioni, sia quelle tradizionali, ma introduce anche elementi nuovi. Il rapporto con il pubblico è molto più stretto, ad esempio: si parla di interazione, di immersione con le opere, chi crea opere deve tener presente la nuova relazione con il pubblico, il suo coinvolgimento.
Dopodiché l'opera ti porta su livelli di percezione visiva, anche uditiva e sinestetica nuovi perché, quando le opere permettono di rendere visibile l'invisibile, quando ti sanno tradurre dati, formule, immagini, ti rivelano un mondo di cui noi avvertiamo la presenza perché ci siamo immersi, di cui però non percepiamo la consistenza la sua proiezione estetica. È come se avessimo scoperto un mondo microscopico e ora stessimo guardando allo spazio, cioè ad altri mondi, altre visioni, altri sguardi. C'è un altro sguardo ancora, che è quello delle macchine. Quindi, intelligenze artificiali, algoritmi possono rivelare se stimolati e attivati dalla mente creativa dell'uomo.
Come può il digitale stabilire un equilibrio nelle relazioni affettive e sociali?
La nostra vita a oggi si svolge su due dimensioni strettamente connesse: quella fisica e quella virtuale, senza negarne gli aspetti negativi o critici, che sono gli stessi della vita reale. Quindi bisogna saper accoglierlo. Come? Prendendo consapevolezza degli strumenti che abbiamo in mano, saperli usare ed entrare in relazione con gli altri. Già accade.
Bisogna essere precisi: digitale non è soltanto internet, o la Blockchain, oppure soltanto il web, men che meno Facebook. Digitale è una dimensione di strumenti che lavorano nella direzione della comunicazione, delle relazioni social, della rete e del web; e poi c'è un digitale che ha anche gli strumenti di creazione, di immagini fisse, dinamiche, installazioni. Insomma, il digitale è vastissimo e interferisce con molti settori della nostra vita; si pensi al mondo della comunicazione, del cinema, dei media, dei beni culturali, del mondo della moda, non c'è mondo che non sia adesso in convergenza con una trasformazione fortemente dettata dall'uso di queste tecnologie.
Il livello dei social media ci pone una dimensione di comunicazione e di relazione, che non escludono di interagire anche nella vita fisica, tant'è che oggi si parla di “figital”, brutto neologismo per indicare che la vita è ormai tanto fisica quanto virtuale.
La combinazione delle modalità di azione nella rete e nella vita reale fa la differenza. Serve che ognuno di noi si crei una propria consapevolezza di questo essere nuovi in una società di transizione che ormai il passo nella dimensione digitale lo ha fatto abbondantemente. Si possono trovare modi nuovi per stabilire relazioni? Sì.
Si può usare la rete come grande laboratorio internazionale per incontrare e scoprire? Per imparare e per conoscere? Assolutamente sì: è un potenziamento della vita non soltanto da un punto di vista tecnico, bisogna capirla questa cultura che si sta formando e bisogna acquisire noi una sensibilità che ci renda non ciechi davanti alle tecnologie che usiamo passivamente, ma attivi, creativi: dobbiamo fare questo salto.
Con il lockdown il mondo digitale è il nuovo promotore di cultura. E la comunità si è dovuta necessariamente aprire al mondo digitale. Cosa perdiamo e cosa guadagniamo da questo tipo di approccio?
Se l'individuo non nega questa nuova dimensione, la comunità può soltanto guadagnarci. L'individuo ci dovrebbe mettere testa, si prepara perché a livello di scuola bisognerebbe fare molto più lavoro sulla cultura digitale di quanto invece viene fatto. Perché per la prima volta nella storia dell'umanità, abbiamo a disposizione strumenti potenti di conoscenza e di relazione. Dobbiamo semplicemente non essere relegati a passivi utilizzatori di questi nuovi strumenti.
Le tecnologie procedono, le grandi industrie vanno avanti, e se noi non alziamo il livello di consapevolezza, ci troviamo al di fuori del tempo. Alzare il livello di consapevolezza è fondamentale. Negli anni Settanta c'è stata tutta la Controinformazione sulle televisioni, perché anche in quel caso le televisioni erano entrate in tutte le case con le pubblicità e fu fatto questo grosso lavoro di controinformazione dell'immagine dei media.
Adesso con il Covid ci siamo trovati catapultati tutti per forza nel digitale inteso come rete e se ne sono capite le potenzialità, perché senza saremmo stati tutti spacciati. Ci ha permesso di tenere la testa alzata sopra la palude, la cultura ha continuato a circolare, si sono inventati dei modi nuovi mai visti prima. Le potenzialità sono enormi e le stiamo scoprendo appena ora.
Dopodiché se non ci ragioni, non ci metti testa, non ti informi sulle nuove occasioni per crescere culturalmente, questo è un rischio grosso, questi sono quelli che io chiamo i nuovi analfabeti, quelli che vivono in una società che esclude i nuovi mezzi, che eppure ha in tasca.
Come ci si sente a essere la prima donna alla guida di Meet?
Sono molto fiera. Meet è il primo centro internazionale in Italia, a livello europeo ce ne sono altri e noi stiamo costruendo una rete di relazioni e ci sono tante donne che lavorano in questo mondo, soprattutto quando sono in contesti culturali è più facile trovare donne preparate e sensibili a questo tipo di scenario perché quando esci dalla traiettoria scientifico-tecnologica e, quindi, il digitale non lo affronti come tecnologia ingegneristica, ma lo affronti come lezione culturale, sociale, economica.
Il pensiero creativo femminile ha tanto da dire come introspezione. Io ho creato questo primo centro ibrido tra reale e virtuale, tra spazio espositivo, creativo e di filmati, spazio di convegni, banalmente Meet è uno spazio di incontro dove respirare aria digitale, senza appiattire la portata soltanto sugli aspetti tecnologici, mentre mi piace scoprire tutto il lato creativo che questo mondo porta.
Io sono molto orgogliosa di aver avuto questa fortuna. Io mi occupo di cultura digitale dagli inizi degli anni Ottanta, poi, quando ho incontrato Fondazione Cariplo, abbiamo capito che era il momento di mettere a frutto tutto il nostro bagaglio, l'aspetto filantropico, l'aspetto sociale. E, quindi, mi sono trovata a realizzare quello che aveva al centro tutti i miei anni di studi e di ricerche. Ora ci deve essere la collaborazione di tutti perché si diffonda.
Cos'è Digital Awareness?
L’ottica è abilitare l’uso del digitale in maniera creativa e consapevole. Attraverso questo processo di crescita, la comunità locale e nazionale - e in senso più ampio la collettività - accrescono il loro benessere in termini di occupazione, cittadinanza, equità sociale e sviluppo economico.
Cos'è Freeyou? Quanto e perché è importante il rapporto con gli studenti in Europa?
È Freeyou è un progetto di formazione blended (virtuale e fisico) dedicato a studenti di scuola superiore centrato sui potenziali rischi di manipolazione e disinformazione su web & social. Meet lavora sul progetto con diverse organizzazioni europee di Cipro, Grecia, Spagna e Portogallo.
Meet sta mettendo in lista una programmazione che si muove su dati schematici, uno è quello della digital literacy, ossia dell'alfabetizzazione digitale. Digital literacy significa offrire operativamente dei progetti, dei format per alzare il livello di consapevolezza su temi che riguardano il digitale, l'impatto che ha sulle nostre vite, come potersi anche difendere, per esempio, abbiamo delle linee guida per difenderci dalle fake news.
E un corpo insegnanti fornisce gli strumenti e dei percorsi guida per aiutare gli studenti a diventare più consapevoli di questi strumenti.
Poi stiamo preparando dei progetti di partecipazione cittadina, creando dei programmi in cordata con altri centri europei. Quindi, ci muoviamo su degli assi che guardano all'individuo e al benessere della società.
Tutta la comunità è pronta per questo nuovo mondo? Anche gli anziani, persino quelli vecchi di mentalità?
Dobbiamo farlo in comunità, lavorando tanto in network. Gli anziani paradossalmente sono la categoria che può recuperare più velocemente, avendo a disposizione del tempo. La società non procede tutta di pari passo, ora siamo al punto in cui il salto nel digitale l'hanno fatto anche gli “anziani di mentalità” o comunque almeno sa che c'è, a differenza di pochi anni fa, quando dovevi spiegarlo persino alle agenzie pubblicitarie.
Ora nessuno più nega che c'è questa situazione ed è un importante punto di partenza. Poi ci sono i ritardi e i ritardatari: quelli che pensando che non usando le macchine o il cellulare risolvono il problema, ma si autoescludono dal mondo, perché quando il mondo va in una direzione ed il ritmo sociale è quello, tu ti isoli. Puoi farlo, ma rimani più indietro di tutti perché non è un processo che si ferma o torna indietro. Poi vivi lo stesso, però in uno stato di inconsapevolezza della realtà.