Incassare un rifiuto: come riprendersi (alla grande)

Vivere l’esperienza del rifiuto nelle relazioni, specie in quelle affettive, può essere molto doloroso e difficile da elaborare. Sopravvivere al rifiuto può rivelarsi un’inaspettata occasione di crescita in grado di donarci forza e solidità.

Reagire a un rifiuto

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Gli esseri umani sono per natura animali sociali: dipendono dalla presenza degli altri per la propria vita fisica e psicologica. Le relazioni sono dunque indispensabili perché è all’interno di esse che si strutturano parti della nostra identità: tutti noi siamo “figli di...”, “fratelli di...”, “fidanzati/amanti/coniugi di…”, “amici di…", tutte queste parti vanno a comporre dinamicamente la nostra identità, cioè la persona che sentiamo di essere. 

 

Per questo motivo l’esperienza del rifiuto, specie se vissuta all’interno di una relazione affettiva, può essere molto dolorosa e difficile da tollerare: ci viene negato, a qualche livello, di poter “esistere”, per lo meno entro quella relazione in cui avevamo o avremmo voluto essere riconosciuti.

 

Eppure, quella del rifiuto, può rivelarsi una delle esperienze di crescita più utili e preziose per rafforzare la nostra personalità e consolidare autostima e sicurezza in noi stessi

 

Il rifiuto: storie immaginarie ma verosimili

Andrea ha 13 anni, non fa che pensare alla sua compagna dell’ultimo banco, vorrebbe conoscerla, parlarle, passare del tempo con lei, ma ogni volta che le si avvicina le parole gli muoiono in bocca e se ne va.

 

Luigi ha 25 anni, sta finendo l’università, ha avuto diversi ragazzi ma nessuna relazione sembra aver funzionato: ad un certo punto, quando la cosa inizia a diventare seria, non sa spiegarsi il perché, accade qualcosa che lo fa sentire strano, nervoso e lui molla il suo ragazzo di punto in bianco e sparisce nel nulla. In effetti è sempre lui che lascia: non è mai stato lasciato

 

Mario ha 40 anni, una compagna e una figlia nata da poche settimane; era felice per l’arrivo della bambina, ma adesso si sente come tagliato fuori: tutte le attenzioni della sua compagna sono rivolte alla piccola e questo lo fa sentire inutile, insignificante, per questo inizia a stare a casa il meno possibile ricercando fuori fonti di svago.

 

Lidia sta con un uomo che la fa soffrire, che la tradisce ripetutamente e mette continuamente in dubbio le sue capacità, eppure non riesce a lasciarlo: ogni volta che ci prova le prende il panico e basta qualche parola dolce e rassicurante di lui a farla tornare sui suoi passi, ma ben presto tutto torna come prima.

 

Situazioni immaginarie diversissime, per fasi di vita, investimenti affettivi e condizione psicologica dei personaggi, ma accomunate dalla paura di confrontarsi con un rifiuto o un abbandono (reale o presunto) da parte dell’altro.
 

Le insidie della paura del rifiuto

Per paura di essere rifiutati o abbandonati si può rinunciare ad avvicinare una persona, evitare di coinvolgersi sentimentalmente, rimanere in un rapporto insoddisfacente e molto altro. 

 

Per ovviare a questa esperienza sgradevole si rischia, in altre parole, di non vivere, rinunciando a cercare la propria felicità o a godere di quella che già si ha. Alcune volte addirittura si rischia di perdere il coinvolgimento affettivo che lega a un partner – come nel caso del nostro Mario – perché si interpreta come un rifiuto ciò che non lo è.

 

Si tratta di un terrore per certi versi ancestrale che appartiene a tutti noi quando veniamo al mondo e dipendiamo letteralmente dall’accudimento altrui per rimanere in vita. Quando diventiamo adolescenti e poi adulti la vita inevitabilmente ci riserverà altre occasioni in cui sperimenteremo un rifiuto, un abbandono, una delusione da parte degli altri. 

 

Evitare di confrontarci con questo non ci permette di imparare una lezione fondamentale: ora possiamo sopravvivere al rifiuto senza perdere noi stessi e la nostra capacità di amare.
 

Troppo lontani o troppo vicini?

Uno degli elementi essenziali per confrontarsi con l’eventualità del rifiuto (senza fuggirla a priori) è la distanza nelle relazioni. Sì perché quando si teme che un rifiuto o un abbandono possa disorganizzare e annientare la propria mente si è emozionalmente presi da una fantasia di fusione totalizzante con l’altro e ci si sente di dipendere totalmente da lui/lei per il proprio benessere emotivo. 

 

Ci si aspetta che, affinché una relazione funzioni, tutto debba andare sempre “bene”, che non possano esserci litigi o disaccordi perché in quel caso verrebbero percepiti come una minaccia al legame affettivo, un primo segnale di irreparabile “rottura”…

 

Porre una sana distanza fra  sé e l’altro è il primo passo per vivere con gratificazione le relazioni affettive e non lasciarsi condizionare dalla paura di una delusione o un rifiuto.
 

Imparare dall’esperienza del rifiuto

Non è utile girarci intorno: l’altro in fondo ha tutto il “diritto” anche di rifiutarci, potremo non essere d’accordo, dispiacerci e soffrire per questo, ma non abbiamo il potere di evitare che questo possa accadere, non siamo in condizione di avere il controllo sulla mente dell’altro, sulle sue emozioni o le sue decisioni.  

 

Affrontare le delusioni relazionali è molto importante: ci insegna che possiamo continuare a essere noi stessi anche dopo un’esperienza di sofferenza, che il rifiuto dell’altro, per quanto doloroso, non ci annienterà veramente. 

 

E, cosa non meno importante, ci aiuta a capire meglio che tipo di persone vogliamo essere (quelle che sanno restare o quelle che tagliano la corda per prime?) e chi vogliamo accanto, quali sono, in sostanza, le persone buone per noi (non quelle che dobbiamo tenerci a ogni costo pur di non rimanere soli…).