Il ruolo e la maschera fra verità e falsità
La maschera indossata dagli attori del teatro antico era il mezzo che consentiva loro di volta in volta di interpretare diversi personaggi; ma anche ognuno di noi, non solo a carnevale, ma nella vita quotidiana indossa delle “maschere” coincidenti con i diversi ruoli sociali che va a ricoprire assumendo di conseguenza differenti schemi di comportamento. Si tratta di una pirandelliana mistificazione o di un utile adattamento in relazione al contesto e alla situazione sociale in cui si produce?
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Non solo a carnevale, ma in ogni circostanza adottiamo comportamenti differenti e ci conformiamo a determinate aspettative, ogni ruolo sociale che ricopriamo ci induce in un certo senso a indossare una maschera: è un modo per nascondersi o per esprimere sé stessi?
La maschera che indossiamo consapevolmente
Nel 1955 Joseph Luft e Harry Ingram idearono la nota Finestra di Johari (J.Luft, Introduction à la dynamique des groups, Toulouse, 1968): uno schema derivato dallo studio della comunicazione interpersonale che mette in evidenza come ognuno di noi, nel mostrare una propria “area pubblica”, nota a sé e agli altri per ciò che vediamo e che gli altri possono vedere di noi, lasci deliberatamente in ombra un’ “area privata”, nota a sé ma non agli altri, reputata inaccettabile o inappropriata a seconda delle circostanze.
L’ampiezza e il contenuto di questi due quadranti dello schema di Johari sono soggetti a continue modificazioni a seconda dei contesti interattivi e interpersonali in cui ci troviamo.
In tal senso l’area pubblica che di volta in volta mostriamo coincide con una sorta di maschera di carnevale che opportunamente indossiamo a seconda dei ruoli sociali ricoperti e dei comportamenti attesi ad essi connessi.
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La maschera, dal carnevale alla vita quotidiana
Nel teatro greco la maschera se da un lato simboleggiava e caratterizzava il personaggio interpretato dall’attore, dall’altro fungeva da vera e propria “cassa di risonanza” della voce consentendogli di raggiungere con la recitazione il vasto pubblico che aveva di fronte. Tutt’altro che una falsificazione o un nascondiglio, dunque, ma al contrario un mezzo per facilitare l’identificazione sia dell’attore che del pubblico stesso con le vicende dei personaggi.
Eppure tutti ricorderanno la maschera di pirandelliana memoria, simbolo della mistificazione alienante delle richieste della società moderna, dei ruoli spersonalizzanti che ognuno di noi sarebbe chiamato a ricoprire perdendo di vista sé stesso e la propria vera identità. Anche la psicologia sociale mette risalto come, ricoprire un determinato ruolo sociale conforme a determinate attese comportamentali, alimenti ingenue e riduttive semplificazioni stereotipali del senso comune come quelle fra ruoli professionali e presunte caratteristiche di personalità.
La maschera, il ruolo e l’identità
Carl Gustav Jung, nelle sue formulazioni sui temi universali (archetipi) dell’inconscio collettivo, individuò in quella che chiamò “Persona” (nel senso etimologico di maschera) quel ruolo o copione che ognuno svolge in determinate circostanze per rispondere alle richieste del mondo esterno.
Un’eccessiva rigidità della Persona, e quindi della maschera, corrisponde ad un’eccessiva identificazione con essa a discapito di tutto ciò che non le si conforma relegato nella parte “Ombra” della personalità (Jung, C.G., Tipi psicologici, 1971, Opere vol.6).
Adottare invece in maniera flessibile e non rigida una maschera per poter uscire e rientrare nei diversi ruoli sociali esprime coerenza e continuità del sé a garanzia di un senso di identità relativamente stabile che può sfruttare attitudini e capacità personali in accordo con le proprie ambizioni e i propri progetti (Kohut, E., La guarigione del sé, Boringhieri, 1980).
Diceva Oscar Wilde: ” Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e vi dirà la verità ”.
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