Interpretare il non verbale: sogno o realtà?
E’ possibile interpretare il non verbale? Quanto il linguaggio del corpo può “tradire” le reali intenzioni del nostro interlocutore? Spesso agli psicologi viene ingenuamente attribuita la capacità di comprendere intenzioni, motivazioni o addirittura la personalità da come uno si siede, posa lo sguardo o si sistema i capelli… Niente di più fuorviante: la gestualità o la mimica completano il senso di una comunicazione solo in relazione al contesto in cui essa avviene.
Joseph Luft e Harry Ingham, inventori della così detta finestra di Johari, sottolineano come ognuno di noi, sebbene si rapporti agli altri esibendo intenzionalmente alcuni aspetti di sé e celandone altrettanto consapevolmente altri, mantiene inevitabilmente un’area cieca costituita da alcuni aspetti di cui è inconsapevole e che tuttavia risulteranno evidenti ai propri interlocutori. La comunicazione non verbale occupa spesso questo “punto cieco” della comunicazione che vorremmo ingenuamente poter controllare in noi stessi e negli altri.
Il linguaggio non verbale: dal gesto al vestito
Il non verbale è quel canale comunicativo corporeo che attraverso la gestualità, la mimica, lo sguardo, la postura e gli aspetti paralinguistici del linguaggio (inflessioni della voce e ritmo della comunicazione verbale) sostiene e completa la comunicazione verbale nelle sue dimensioni emotivo-affettive. Parte della comunicazione non verbale sono poi anche gli oggetti che esibiamo intenzionalmente (un’auto di lusso, un distintivo, un’attrezzatura da lavoro per esempio) o l’abbigliamento. Tutto ciò non parla di noi tout court ma di come ci poniamo in una specifica situazione comunicativa.
Interpretare l’espressione non verbale delle emozioni
Essendo meno facile da controllare del comportamento verbale, il non verbale può certo lasciar emergere contenuti che lo completano o lo contraddicono; non è possibile tuttavia interpretare i segnali non verbali avulsi dal contesto comunicativo. Tutte le teorie psicologiche al riguardo sottolineano infatti l’importanza della contestualizzazione dei segnali non verbali: nulla può essere interpretato a partire da comportamenti astratti. Lo stesso Paul Ekman, ad esempio, evidenziando l’universalità delle espressioni facciali delle emozioni ha anche sottolineato quanto la capacità di riconoscerle ed esprimerle rimangano componenti determinate culturalmente in base a norme e valori culturali che informano gli scambi comunicativi.
Il non verbale e la distanza interpersonale
Sempre a proposito dei contesti sociali, Edward T. Hall nei suoi studi sulla prossemica ha poi evidenziato come siano le convenzioni sociali a regolare le distanze anche inconsapevolmente mantenute fra gli interlocutori nelle diverse situazioni comunicative: da una distanza intima riservata ai rapporti affettivi che prevedono scambio e contatto fisico ad una distanza sociale (da 1 a 3 metri) mantenuta nei rapporti formali e di lavoro: non ne siamo consapevoli ma se il nostro interlocutore viola quello che è lo spazio personale accordatoci da queste convenzioni sociali o la natura dei rapporti che le contraddistinguono ci sentiamo subito a disagio.
Coprirsi le mani o socchiudere gli occhi manifesterebbero dubbio o preoccupazione nel nostro interlocutore? Toccarsi i capelli segnalerebbero un suo nervosismo? Se incrocia le braccia sarà chiuso nei nostri confronti o semplicemente stanco? Chissà che scrutando ogni suo minimo gesto, nell’intento di leggere il suo non verbale, non lo avremo fatto sentire un po’ a disagio…
Immagine | paolofefe