Vergogna, e se ci accettassimo per quello che siamo?
Difficile da individuare, spesso mascherata dietro altri stati d’animo o evitata mediante comportamenti impulsivi e rabbiosi. La vergogna è un’emozione “sfuggente” e penosa per chi la prova. Ma può insegnarci molto su noi stessi!
La vergogna è un’emozione sfuggente, spesso alle sue più eclatanti manifestazioni sul piano comportamentale (rossore, nascondimento) corrisponde una grande difficoltà a riconoscerla e ammetterla sé stessi.
Per questo si comporta un po’ come una “particella subatomica” (Lewis, 1995): la rileviamo soprattutto mediante tracce indirette, camuffata dietro altre emozioni (rabbia, tristezza, colpa).
È inoltre difficile da “pensare” poiché implica un giudizio globale su di sé che sembra a volte non lasciare scampo.
Vergogna: definizioni
“Un segnale intra e intersoggettivo del fatto che si è subita, o si sta per subire, una umiliazione e, insieme, una reazione ad essa” (Battacchi, Codispoti, 1992).
Da questa definizione rintracciamo alcune caratteristiche fondamentali della vergogna:
- implica un confronto fra l’immagine di sé e il giudizio dell’Altro;
- la si prova anche preventivamente come “angoscia di vergogna” o “senso di vergogna” (Wurmser,1981; Wurmser,1981) che anticipano l’umiliazione nel tentativo di evitarla;
- è un’emozione secondaria (Lewis, 1995), autocosciente e interpersonale (Batacchi, 2000).
La vergogna dunque implica sempre un doppio binario: il rapporto con noi stessi (i nostri ideali, valori, aspirazioni ecc) e il rapporto con gli altri, reali o interiorizzati (aspettative, norme sociali, giudizi, standard ecc).
Vergogna: linguaggio e cultura
La vergogna, per le caratteristiche sopra citate, è fra le emozioni più difficili da mettere in parole, almeno per noi occidentali.
Il nostro linguaggio appare più “pragmatico” e capace di dare voce ad emozioni come la colpa che ad un’emozione pervasiva e aleatoria come la vergogna (al contrario, nella lingua cinese esistono ben 113 termini per esprimere e codificare esperienze di vergogna).
Inoltre, difficilmente si configura come uno stato emotivo prolungato nel tempo, più spesso va incontro a un processo di sostituzione con un’altra emozione come colpa, rabbia, tristezza (Lewis, 1995) che la rendono “irriconoscibile”.
Oltre a questo, la vergogna è difficile da riconoscere ed esprimere a parole perché ancorata soprattutto a rappresentazioni visive: ci sentiamo immediatamente “oggetto” dello sguardo altrui e comunichiamo questo stato di mortificazione con espressioni prevalentemente corporee (rossore, nascondimento).
Inoltre, essendo un’emozione pervasiva (implica un giudizio globale su di sé) è più difficilmente riconducibile ad un contesto/oggetto specifico: spesso non è chiaro cosa ci fa vergognare (Rossi Monti, 1998).
Leggi anche Eritrofobia, come guarire dalla paura di arrossire >>
Il carattere visivo della vergogna
Gli stimoli della vergogna risiedono nel giudizio che la persona dà del giudizio negativo degli altri: l’attenzione è focalizzata su di sé e sul proprio “fallimento” valutato come tale.
Vergognarci ci fa sentire deprecabili allo sguardo altrui, a prescindere dalla presenza o meno di un reale giudice esterno: diventiamo noi quel giudice assumendo al tempo stesso il ruolo di persecutori e vittime.
È per questi motivi che le espressioni, prevalentemente corporee, della vergogna portano la persona a nascondersi. Chinare la testa e ripiegarsi su se stessi, distogliere lo sguardo, arrossire in volto o in altre parti del corpo: sono tutte reazioni che portano a sottrarsi dalla vista degli altri (Darwin, 1972; tomkins, 1962-63).
La vergogna d’altra parte, a differenza del senso di colpa, è molto più pervasiva: investe tutto il nostro valore personale, la nostra autostima nella sua globalità e per questo ha il potere di bloccarci senza lasciarci intravedere possibilità di riparazione o rimedio.
La vergogna non riconosciuta
Proprio per questi motivi, spesso non riconosciamo la vergogna coma tale, ma la scambiamo per qualcos’altro indentificandola con stati emotivi più facili da riconoscere e nominare (Lewis, 1995).
Di fronte a un fallimento che ci fa vergognare possiamo provare, ad esempio, un “senso di colpa secondario” (meno pervasivo della vergogna): concentriamo l’attenzione sui nostri comportamenti disconoscendo la componente di vergogna che li accompagna.
Oppure possiamo portare la nostra attenzione soltanto su una componente psichica o fisica dell’emozione della vergogna (imbarazzo, “confusione”, malessere fisico ecc) disconoscendola nella sua interezza.
Infine possiamo talmente confondere la acque da arrivare ad ammettere a noi stessi un sentimento del tutto diverso dalla vergogna. La tristezza ad esempio: anch’essa induce al ritiro ma è più “sopportabile” perché non chiama in causa una svalutazione di sé.
Ma anche la rabbia, specie se rivolta ad altri ritenuti “colpevoli”: attribuire all’esterno la causa del nostro malessere ci fa riacquistare un senso di potere e di controllo.
Riconoscere la vergogna
Esistono tuttavia anche dei modi “sani” per riconoscere la vergogna, accettarla e stemperarla: il riso è uno di questi (Lewis, 1995).
L’umorismo è infatti un meccanismo di difesa sano della psiche, mediante il riso possiamo riconoscere aspetti paradossali del nostro comportamento, prendere le distanze dall’esperienza emotiva della vergogna, coinvolgere gli altri nella risata unendoci empaticamente al punto di vista di un osservatore benevolo.
Questo ci aiuta a non identificarci completamente nel ruolo di “vittime” della nostra vergogna, ma a riconoscerla e tollerarla con distacco e benevolenza recuperando al tempo stesso un senso di potere e controllo sugli eventi: “Il clown che fa ridere gli altri di se stesso non si sente umiliato, poiché è egli stesso ad averli fatti ridere” (Piers, 1953 p. 42).
Accettare le nostre imperfezioni
La vergogna è un’emozione utile se impariamo a riconoscerla come tale e a trasformarla in una più onesta e autentica conoscenza di noi stessi. Ognuno di noi ha difetti e imperfezioni, nessuno è esente dal commettere errori o mancanze, tutto sta in come reagiamo a questi inevitabili “inciampi” che la vita ci pone.
La vergogna ci segnala che, nella nostra condotta (o nei nostri pensieri) qualcosa non va nella giusta direzione. Questo può aiutarci a “correggere il tiro” e a maturare una più profonda conoscenza di noi stessi se non lasciamo che l’esperienza della vergogna ci blocchi o metta in discussione la nostra autostima. È solo un segnale che ci invita a riconoscere la nostra umana imperfezione: accettarla, invece di rifiutarla, è il primo passo per poter autenticamente migliorare noi stessi.
“Non c'è luce senza ombre e non c'è pienezza psichica senza imperfezioni. La vita richiede per la sua realizzazione non la perfezione, ma la pienezza. Senza l'imperfezione non c'è né progresso né crescita”.
(Carl Gustav Jung).
Leggi anche Il senso del pudore in psicologia >>
Foto: Anna Koldunova