Psicologia del Revenge Porn

Il reato di revenge porn è relativamente recente nella normativa italiana e segnala quanto le nuove tecnologie possano rappresentare una vera e propria “arma” di violenza ai danni in particolare di donne e minori.

Meccanismi del Revenge porn

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©Tero Vesalainen / 123rf.com

Video e foto condivisi per gioco, in quella che si credeva essere un’intimità a due. Oppure immagini dichiaratamente “rubate”, ottenute all’insaputa della vittima e diffuse contro il suo consenso. 
Se i modi per vivere ed esprimere la sessualità si fanno (anche) sempre più immateriali e virtuali, pure la violenza e l’abuso purtroppo viaggiano mediante la tecnologia: in questi casi si può parlare di revenge porn

 

 

Guardare e farsi guardare sono certamente ingredienti dell’erotismo e della seduzione, ma solo se c’è un esplicito consenso all’interno di una relazione a due.
 

La normativa sul Revenge Porn in Italia

La normativa in Italia riconosce specificatamente il reato di revenge porn con la legge 69 del 2019 recante le più recenti norme per la tutela per le vittime di violenza domestica e di genere

 

Tale legge infatti ha comportato alcune importanti novità in materia. Per quanto riguarda il diritto penale, la legge introduce nel codice quattro nuovi reati:

  • diffondere illecitamente immagini o video sessualmente espliciti, soprattutto se avviene entro una relazione intima o ai danni di un ex partner (revenge porn).
  • È reato costringere o indurre una persona  al matrimonio.
  • È un reato procedibile d’ufficio (senza necessità di querela di parte) violare i provvedimenti di allontanamento o di avvicinamento dai luoghi frequentati dalla vittima.
  • È reato provocare lesioni permanenti al viso di una persona, che in questi casi ha diritto a risarcimento da parte dello Stato.

 

Inoltre vengono inasprite le pene per i reati di maltrattamento, violenza sessuale e stalking e si stabilisce che la persona vittima di violenza sessuale ha 12 mesi (e non più 6) per sporgere querela.

 

Quest’ultimo punto è molto importante in quanto molto spesso le donne vittime di stupro hanno bisogno di tempo per rendersi conto della violenza subita, trovare il coraggio di denunciarla ed affrontare le conseguenze emotive e psicologiche di un procedimento giudiziario.

 

Infine con tale legge viene istituito il cosiddetto “codice rosso” che impone di ascoltare entro 3 giorni la persona che abbia sporto querela per violenze, maltrattamenti o stalking al fine di porla al più presto in sicurezza.
 

Revenge porn tra violenza sessuale e digitale

Dunque il reato di revenge porn è precisamente riconosciuto e normato entro la legislazione italiana che rispetto a tutti i reati a sfondo sessuale o relativi a violenza di genere ha pienamente recepito fin dalla legge 119 del 2013 quanto stabilito dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2011 che, fra le altre cose, riconosceva la violenza contro le donne come una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione di genere. 

 

Elemento questo non così scontato se si pensa che in Italia la violenza sessuale è stata riconosciuta come reato contro la persona e la libertà individuale solo nel recente 1996 giacché prima di allora tali fatti erano ancora incredibilmente rubricati come reati “contro la morale e il buoncostume”.   

 

Il revenge porn è una forma di violenza sessuale tutta dei giorni nostri, una violenza tecnologica che sta rapidamente prendendo piede e che, compici le facili diffusioni che un’immagine o un video può avere sui social o in chat, può avere effetti devastanti sulle vittime, considerando che gli strumenti tecnologici e digitali sono in grandissima parte utilizzati da giovani e giovanissimi

 

Per questi motivi la legislazione italiana ha cercato di inquadrare più precisamente il fenomeno al fine di contrastarlo più efficacemente. Eppure, dal punto di vista culturale e sociale molto sembra ci sia ancora da fare…
 

Revenge porn e sexting

Tutti ricorderanno tristi episodi di cronaca che hanno visto coinvolte donne, spesso anche molto giovani, come vittime di revenge porn: immagini sessualmente intime ed esplicite della propria vita sessuale diffuse fra chat di amici, conoscenti, compagni di classe.

 

Quel che in alcuni casi avviene purtroppo in modi non tanto dissimili da ciò che è sempre accaduto nei processi per stupro è che la vittima si ritrovi colpita da un fenomeno di vittimizzazione secondaria. Nel momento in cui denuncia quanto accaduto, infatti, può accadere che venga colpevolizzata per i propri comportamenti e ritenuta in qualche modo responsabile dell’accaduto. 

 

Succede allora che l’indignazione popolare – sempre sotto le comode spoglie del mondo virtuale – si vada a scagliare contro la donna oggetto delle immagini sessuali diffuse a sua insaputa e contro il suo consenso. La colpevolizzazione della vittima è più probabile se questa è stata inizialmente consensuale nel partecipare al cosiddetto “sexting” accettando di condividere con il partner immagini o video di natura sessuale che sarebbero dovuti rimanere privati e che invece questo ha successivamente diffuso ad altri. 

 

Quel che viene “giudicato” è sempre il comportamento della donna: la supposta convenienza o sconvenienza dai suoi atteggiamenti sessuali se di revenge porn si tratta; “come era vestita” o che tipo di vita sessuale ha alle spalle nel caso dichiari di aver subito una violenza sessuale. 


Alla vergogna per quanto accaduto, dunque, la vittima di revenge porn deve sommare la possibile “gogna mediatica” a cui potrebbe andare incontro rischiando di essere vittima di violenza psicologica oltre che di violenza tecnologica.

Denunciare un reato di Revenge Porn

Ecco perché per sporgere querela per il reato di revenge porn si ha tempo fino a 6 mesi raddoppiando quindi il tempo ordinario dei 3 mesi generalmente previsto per altri reati.  

 

La credibilità della vittima non si basa sulla “tempestività” della denuncia ma, anzi, il nostro ordinamento giuridico riconosce il principio inverso: proprio perché i reati di revenge porn e violenza sessuale possono essere particolarmente difficili da denunciare viene riconosciuto un arco tempo superiore, rispettivamente di 6 e 12 mesi, per sporgere querela. Le vittime di tali reati dunque possono impiegare di più, e non di meno, per raccontare ciò che hanno subito e chiedere giustizia.

 

I danni psicologici del revenge porn

I danni psicologici connessi al revenge porn sono assimilabili per alcuni aspetti a quelli connessi alla violenza sessuale alla quale, secondo alcuni, tale reato dovrebbe essere assimilato. 

 

Si parla infatti di cyber stupro per alludere a tutte quelle forme di molestie sessuali perpetrate online, compresa la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti senza consenso, che possono causare pesanti ripercussioni sulla salute mentale della vittima coma ansia, depressione, stress post traumatico fino a pensieri e tentativi di suicidio.

 

Inoltre non bisogna dimenticare che il revenge porn, come la stessa terminologia sottolinea (revenge in lingua inglese significa appunto “vendetta”) è spesso una ritorsione messa in atto come rivalsa a seguito di una separazione

 

Foto e video condivisi solo a scopo privato vengono diffusi in rete e/o in gruppi e chat di amici e conoscenti al fine di screditare al vittima, umiliarla e assumere una sorta di controllo su di essa riducendola, in modi non molto diversi dalla vera e propria violenza sessuale, a mero “oggetto” ad uso e consumo altrui. 

 

Il canale digitale poi, rende particolarmente facile questo meccanismo di “oggettivazione” dell’altro – spesso per lo più del corpo femminile – rendendolo pericolosamente facile e accessibile anche a chi probabilmente non commetterebbe una violenza sessuale nella vita “offline”.  

Prevenire e denunciare è dunque fondamentale. Va tenuto presente che le immagini inviate a partner e fidanzati potrebbero non solo essere diffuse contro la propria volontà in un secondo momento (magari a conclusione del rapporto), ma che gli stessi device dove sono archiviate (pc, tablet, smartphone) potrebbero essere hakerati all’insaputa del proprietario stesso o rubati (se ci pensiamo il furto di un telefono è quanto di più banale possa accadere…). 

 

Sono rischi di cui è importante che anche i giovanissimi tengano conto perché l’online non è più (se mai lo è stato) un mondo parallelo dal quale possiamo entrare o uscire a nostro completo piacimento, ma è un mondo in costante interconnessione con quello materiale, tanto che alcuni hanno coniato efficacemente il termine “onlife” per definire la realtà polimorfa nella quale costantemente ci muoviamo. 

 

Dunque, qualunque informazione affidiamo al digitale è sempre in qualche modo potenzialmente condivisibile con l’illimitato e intricato mondo della rete, passibile di non essere più solo di nostra esclusiva proprietà.