Sviluppare l'intelligenza passando tempo col papà

Trascorrere del tempo col papà aiuterebbe i bambini a sviluppare l’intelligenza e un atteggiamento più indipendente ed esplorativo. A patto però che il papà sia contento e felice di questi momenti. È la rivincita dei padri? Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Sviluppare l'intelligenza passando tempo col papà

Una ricerca, pubblicata sull’Infant Mental Health Journal, vanta di aver analizzato le interazioni precoci padre-bambino e aver messo in luce quanto il ruolo paterno risulti di fondamentale importanza per lo sviluppo dell’intelligenza e la maturazione cognitiva del figlio.

A patto però che, come dire, il papà in questione sia “felice e contento”, esente da inadeguatezze, ansie o insoddisfazioni! Ma davvero dobbiamo stupirci di apprendere che anche il padre costituisce una figura importante per lo sviluppo del bambino? E di che tipo di padre stiamo parlando?

 

Trascorrere tempo con papà: esistono padri “perfetti”?

Ci abbiamo messo anni, decenni, forse secoli e anche di più per mettere in discussione il falso mito della madre oblativa, perfetta che sa “intuitivamente” e del tutto “naturalmente” come fare la mamma e come occuparsi senza errori e senza inciampi nell’accudimento dei propri figli.

Ci sono volute le femministe, le donne moderne divise fra casa e lavoro, la modificazione della famiglia tradizionale e alla fine sembra che qualche barlume si accenda. Che a volte ci si ricordi che essere madri non è né scontatamente bello e meraviglioso, né facile e innato: può essere anche faticoso, sfiancante e richiedere un accidentato percorso per prove ed errori.

Con un bambino, nasce anche una madre e insieme imparano ad esserci l’una per l’altro. Ecco che allora, sgominato il ruolo angelicato della madre con la “M” maiuscola è all’altra metà del cielo che ci rivolgiamo per trovare nel padre il genitore modello!

Eh sì, perché stando ad uno studio inglese i padri guadagnerebbero terreno in modi del tutto “inaspettati”, ma solo quelli sereni, sicuri di sé e senza ansie… badate bene!

 

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Trascorrere tempo con papà: uno studio sulle interazioni precoci

Questo studio ha l’indiscusso merito di rivolgere una parte della ricerca sperimentale all’analisi sistematica delle interazioni precoci padri-figli. Analisi questa sicuramente meno “battuta” rispetto a quella del tradizionale rapporto madre-bambino.

Fa sorridere però il modo in cui vengono presentati i risultati dello studio: dati in sé utili ad ulteriori sviluppi nel campo della ricerca, ma che banalmente riassunti su siti di informazione e dati alla mercé del “vasto pubblico” possono risultare semplicistici e fuorvianti.

Dunque, la ricerca in questione ha analizzato le interazioni videoregistrate di 128 coppie padri-bambino in cui i piccoli avevano un’età di circa 3 mesi. Le stesse coppie sono poi state analizzate nuovamente quando i piccoli avevano 2 anni di età e osservate mentre i padri leggevano loro un libro.

I padri che fin dai primi mesi si erano mostrati più coinvolti e sicuri di sé nell’interazione avevano figli più attenti e in grado di comprendere il libro, di interessarsi a colori e forme e ad attuare un comportamento esplorativo più spiccato.

Tutti fattori, questi, indici di un più vivace sviluppo cognitivo. Meno reattivi e brillanti risultavano invece i bambini i cui padri risultavano maggiormente ansiosi, depressi o insoddisfatti.

 

Trascorrere tempo con papà: ruolo paterno e genitorialità

Lo studio in questione concorda con le ricerche e le teorie psicologiche più accreditate e conosciute da tempo che considerano quello paterno un ruolo psicologicamente importante nello sviluppo del bambino.

Il padre deve la sua specificità proprio grazie alle differenze che lo contraddistinguono dalla madre: la sua relazione col bambino comincia alla nascita dello stesso ed è ab initio fondata dunque su una separazione non su una fusione. Questo fa del padre un elemento psicologicamente “esterno”, che opera un allentamento della fusionalità madre-bambino ponendosi come terzo fra loro.

Il ruolo paterno è quello che nella relazione genitoriale sollecita all’indipendenza, all’esplorazione ma anche alla responsabilità e all’osservanza della norma.

Tutti elementi essenziali per lo sviluppo psicologico, riassunti nel ruolo di pertinenza del padre biologico o, nelle famiglie monogenitoriali, nella sola madre che ritrova spesso su di sé un doppio carico. In entrambi i casi un genitore clinicamente ansioso o depresso, che sia la madre o il padre, crea distacco emotivo, imprevedibilità e quindi confusione e disagio al piccolo.

Ma, nelle normali situazioni, anche i padri devono, come le madri, imparare ad essere genitori. Essere ansiosi o incerti non è necessariamente una condizione clinica, può far “fisiologicamente” parte del bagaglio di esperienza che la genitorialità comporta, specie in una società come quella attuale dove i ruoli genitoriali e di coppia sono maggiormente fluidi e complessi, certo più gratificanti ma sicuramente meno scontati.

“Il mestiere del genitore non può essere ricalcato su di un modello ideale che non esiste. Ciascun genitore è chiamato a educare i suoi figli solo a partire dalla propria insufficienza, esponendosi al rischio dell’errore e del fallimento. Per questa ragione i migliori non sono quelli che si offrono ai loro figli come esemplari, ma come consapevoli del carattere impossibile del loro mestiere” (Massimo Recalcati).

 

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