Psicologia del rischio: bisogno di insicurezza
Cinture di sicurezza, creme solari, assicurazioni, sono tante le cose che usiamo per proteggerci. Eppure sembra proprio che gli esseri umani non sappiano rinunciare ad una certa dose di pericolo. Spesso essere più sicuri vuol dire essere più imprudenti. Nella psicologia del rischio si parla di “sicurezza pericolosa”, ma vediamo che cosa si intende
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Studi di psicologia del rischio hanno dimostrato come le persone apprezzano le scoperte scientifiche che li proteggono dagli incidenti o dalle malattie, ma poi continuano a sottoporsi a rischi di ogni genere. Sembra quasi che gli esseri umani tendano ad un “equilibrio del rischio”, ossia per esempio se grazie ad un nuovo farmaco diminuisce la minaccia percepita di una malattia, la maggior parte delle persone si comporta con leggerezza e, alla fine, il rischio reale di infezione torna ai livelli che precedono l’introduzione del farmaco, o peggiora.
Ciascuno di noi vuole vivere in sicurezza, ma non appena ci sentiamo protetti si risveglia in noi la gioia del rischio e della sperimentazione. Ma che cosa ci spinge a rinunciare alla nostra sicurezza? Secondo gli studiosi della psicologia del rischio sono due le ragioni che possono condurci a comportamenti che trascurano la nostra sicurezza: da un lato una curiosità evoluzionisticamente condizionata, che ci spinge a spostare sempre più avanti i limiti della nostra azione; dall’altro una fiducia incrollabile nelle nostre capacità. Uno sciatore inesperto può essere soddisfatto quando riesce a compiere una discesa facile senza cadute; un asso dello snowboard va alla ricerca di piste ripide che rappresentino per lui una vera sfida.
Psicologia del rischio ed eccesso di fiducia in noi stessi
Per la psicologia del rischio il problema è che è stato riscontrato che la fiducia in noi stessi cresce più in fretta delle nostre capacità e ci espone ad inutili pericoli. La maggior parte di noi perciò mette in gioco più sicurezza di quella che in realtà ha acquisito dall’esperienza.
Inoltre l’uomo distingue fra due tipi di rischi: da un lato le minacce su cui può influire con il suo comportamento, come il fumo, un’alimentazione sbagliata o un’esposizione eccessiva al sole; dall’altro i rischi socio-tecnologici, come l’inquinamento ambientale, la contaminazione radioattiva o gli incidenti aerei. Di solito sottovalutiamo i rischi che dipendono da noi, mentre sopravvalutiamo quelli che non dipendono da un nostro cambiamento di vita. Ed è proprio da questa percezione soggettiva del pericolo che dipende l’impegno con cui cerchiamo di raggiungere – con più o meno audacia – il nostro bisogno individuale di rischio.
Psicologia del rischio e “compensazione del rischio”
Gli studiosi della psicologia del rischio utilizzano l’espressione di “compensazione del rischio” per indicare il modo in cui noi compensiamo i guadagni ottenuti sulla sicurezza con una maggiore disponibilità individuale ad affrontare rischi. Facciamo degli esempi.
Chi guida un’automobile con l’ABS è obiettivamente più protetto contro gli incidenti di chi non dispone di questo sistema di sicurezza. Ma uno studio condotto su alcuni tassisti ha dimostrato che coloro che guidano una macchina con ABS viaggiano più velocemente , frenano in modo più brusco e causano più incidenti dei colleghi che non hanno questo dispositivo. Forse chi ha l’ABS si sente più protetto al volante e preme più disinvoltamente sull’acceleratore.
Secondo la stessa logica un altro studio in psicologia del rischio ha mostrato come alcune madri trovavano più accettabili giochi rischiosi se i figli indossavano delle protezioni. E ancora un altro studio ha mostrato che le persone che usavano creme o lozioni protettive al mare, per prevenire i danni da esposizione al sole, presentavano un rischio accresciuto di cancro. Probabilmente chi si spalma giudiziosamente una crema solare si sente più protetto e quindi rimane troppo a lungo a prendersi la tintarella. Conclusione? Le misure che dovrebbero garantire una maggiore sicurezza risultano spesso meno efficaci di quanto si creda.
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