Immagine di sé, cos'è e come si crea

Non si diventa adulti se prima non lo si è stati nella mente di qualcun altro. L’immagine di sé si sviluppa a partire dai modi in cui i nostri genitori ci hanno “tenuto in mente”, immaginato e considerato fin da quando eravamo piccoli. È questo ritrovarci come progetto nella mente dell’altro che ci fornisce quel rispecchiamento indispensabile a fondare una buona immagine di noi stessi.

Immagine di sé, cos'è e come crearla

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La psicologia del Sé con Heinz Kohut e i suoi seguaci è stato il filone della psicoanalisi che più di ogni altro ha contribuito a comprendere non solo in che modo si forma l’immagine di sé, ma come le prime relazioni affettive siano fondamentali per la costruzione di un solido senso di identità e autostima

 

Questi filoni di studi sono stati poi ripresi e confermati dai successivi studi cognitivi e neuroscientifici sull’importanza dell’empatia e della mentalizzazione nel sano sviluppo della personalità. La rappresentazione che un genitore ha del proprio figlio guiderà gli scambi interattivi con esso influenzando lo strutturarsi di un’autonoma immagine di sé. 

 

In altre parole: diventiamo persone solo se siamo stati immaginati, pensati, tenuti a mente nella mente di qualcun altro

Immagine di sé e schema corporeo

L’immagine di sé come comunemente la intendiamo è quella rappresentazione che ognuno ha della propria persona su cui poggia il suo senso di identità. Si tratta di una rappresentazione complessa e multi determinata composta da elementi di natura corporea, emotiva, cognitiva e profondamente interconnessi con le esperienze di relazione precedenti. 

 

Tutti noi fin da piccolissimi abbiamo iniziato a differenziarci come persone separate e indipendenti dall’ambiente circostante (e dalla figura materna) primariamente attraverso il corpo. I confini corporei costituiscono quella barriera permeabile che fin dagli esordi della vita consente di sperimentare, a livello sensoriale, tutta una gamma di “differenze”: fra un dentro e un fuori, un prima e un dopo (il soddisfacimento di un bisogno), un davanti e un dietro… 

 

Queste primordiali categorie mentali fondano gli elementi da cui si struttura lo schema corporeo e con esso una rappresentazione di sé come soggetto indipendente e in comunicazione con l’esterno. Fin da queste fasi precoci la relazione di accudimento fornisce un contributo fondamentale. Sia la teoria dell’Attaccamento che la Psicologia del Sé e altre correnti psicoanalitiche sostengono come l’immagine di sé si strutturi a partire degli scambi interattivi e ripetitivi che avvengono fra adulto e bambino.

 

Ogni madre e ogni padre avranno il proprio modo di accudirlo abitualmente, saranno disponibili a fornirgli nutrimento ogni volta che ha fame, conforto ogni volta che piange e così via… Questa ripetizione diventa familiare per il bambino anche piccolissimo, va a strutturare delle aspettative implicite, delle attese di relazione che diventano per così dire abituali e sulle quali il neonato prima e il bambino più grande poi faranno affidamento. 

 

A questi schemi se ne aggiungeranno molto altri sempre più complessi fatti non solo di risposte fisiche e comportamentali a bisogni di base, ma di risposte emotivo-affettive come: incoraggiamenti, commenti, rimproveri, attenzioni e stimolazioni fornite al bambino.
Questo pool di esperienze relazionali “attese” e abituali è la base sulla quale il bambino va costruendo man mando, in modi sempre più sofisticati, delle precise rappresentazioni di sé, dell’altro e della relazione.
 

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Autostima e immagine di sé

Più il genitore è in condizione di rispondere in modo sintonico e rassicurante ai bisogni emotivi e fisici del bambino; più è in grado di tenere in mente e comunicare un’immagine positiva del bambino e più questo svilupperà man mano un immagine di sé positiva in grado di strutturare le basi per un’autostima sufficientemente solida. 

 

Alcune madri ad esempio, ben prima che i bambini inizino a parlare, commentano spontaneamente gli stati affettivi dei loro figli dicendo ad esempio cose come “sei stanco vero?” oppure “hai tanta fame!” o, ancora, assecondano l’esibizionismo tipico dell’età infantile rimandando lodi e conferme alle varie “imprese” con cui il proprio figlio/a si esibisce per catturare la loro attenzione. Questo riconoscimento interattivo della corretta natura dei suoi bisogni consente al bambino di riconoscerli come tali, differenziarli e strutturare una rappresentazione positiva di sé, come soggetto degno di amore e considerazione, e dell’altro come di colui che risponde in maniera affidabile e sufficientemente adeguata.

 

Questa fiducia di base sarà la base di partenza per la costruzione della fiducia nella future relazioni affettive.

 

Quando i genitori o altri adulti che si occupano del bambino non sono in condizione di fornire questo rispecchiamento (si pensi ad esempio ai casi di grave depressione materna, a contesti di forte isolamento e deprivazione socio-economica e/o a situazioni di gravi conflittualità familiari) possono derivarne una distorsione dell’immagine corporea e dell’immagine di sé associate ad una elevata fragilità identitaria e una difficoltà nell’autoregolare le proprie emozioni come si riscontra in molti casi di disturbi alimentari, problematiche di tipo narcisistico o gravi disturbi di personalità.

 

Quello che la psicoterapia fornisce, in questi casi, è un nuovo contesto interattivo entro il quale ricevere, in maniera adeguata all’età adulta, un rispecchiamento interattivo sintonico che consenta alla persona di perfezionare il proprio sviluppo emotivo-affettivo, imparare a decodificare i propri bisogni e a rispondervi, a gestire gli stati emotivi e a sviluppare un’autostima sufficientemente solida per poter instaurare relazioni soddisfacenti.

 

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Realizzazione di sé in psicologia

Tutti noi abbiamo bisogno di sapere chi siamo, di avere un’idea sufficientemente coerente di che tipo di persone siamo, di cosa ci caratterizza e ci differenzia da tutti gli altri. E abbiamo bisogno, possibilmente, di sentire che questa immagine che abbiamo di noi stessi sia non solo non troppo contraddittoria ma sufficientemente positiva, che ci rimandi la sensazione di essere dopotutto persone degne di stima e affetto. 

 

Abbiamo bisogno di tutto questo per “tenere insieme i pezzi” della nostra persona, sapere cosa aspettarci da noi stessi e dagli altri e sentirci sufficientemente sicuri da poter investire affettivamente, oltre che cognitivamente, in progetti, ambizioni, obiettivi che diano senso e gratificazione alle nostre vite

 

Kohut descrive efficacemente il nucleo di un’identità stabile attraverso una metafora che egli chiama “arco di tensione”: una sorta di ponte di collegamento tra valori/ideali di una persona e le sue ambizioni che potrà essere efficacemente costruito attraverso l’esercizio delle proprie personali capacità: tutti noi abbiamo bisogno di credere in qualcosa per dare senso a ciò che facciamo.