Il vissuto psicologico dei familiari dei malati di Alzheimer
Quando si parla di Alzheimer, solitamente, si è portati a pensare alla sofferenza che una malattia degenerativa di questo tipo comporta nella persona che ne viene colpita. Le problematiche connesse al morbo di Alzheimer, tuttavia, si ripercuotono nell’intero sistema socio-familiare nel quale è inserito la persona affetta da Alzheimer. Familiari, parenti, amici, infatti, si trovano a dover affrontare e gestire una malattia che comporta non solo un radicale cambiamento della personalità del malato, ma anche a rivedere e riorganizzare abitudini e ritmi di vita, in funzione del benessere del persona vittima della malattia stessa.
Il morbo di Alzheimer, proprio in virtù dei numerosi cambiamenti che provoca nell’identità della persona, conduce il familiare a sperimentare stati d’animo e vissuti contraddittori che oscillano dal senso di impotenza, solitudine, incomprensione, al senso di colpa e sentimenti di tristezza dovuti al fatto di non riconoscere più il proprio congiunto, di convivere con una persona completamente diversa da quella conosciuta anni prima (Vigorelli P., 2008).
A partire dal momento della diagnosi, il percorso che compie un caregiver nel processo di presa di consapevolezza della malattia del proprio familiare, può essere sintetizzato in tre fasi:
- Reazione emotiva, fase durante la quale i familiari cercano di gestire e/o “scaricare” (anche fisicamente) l’ansia generata, la paura, le emozioni negative scaturite nel momento in cui viene comunicata ufficialmente la diagnosi di demenza.
- Elaborazione cognitiva, nel corso della quale si cerca di capire la “causa”, il “perché” della comparsa della malattia nella propria famiglia, si va alla ricerca delle “colpe”, si prova a negare la malattia, a sminuirla sperando che passi;
- Ristrutturazione, in quest’ultima fase i familiari arrivano ad una accettazione, sofferta e in parte rassegnata della malattia, dei limiti che questa comporta, con una forte attenzione alla valorizzazione delle risorse rimaste (Demichelis O., Piumetti P., Di Maria M., 2003).
Operando un’analisi più approfondita delle emozioni che i familiari sperimentano, si assiste alla presenza di sentimenti quali tenerezza, compassione, amore, affiancati da irritazione, rabbia, stanchezza e desiderio che l’esperienza possa finire al più presto con il relativo senso di colpa che emozioni di questo tipo generano. La rabbia, inoltre, che porta il familiare a chiedersi il motivo di un evento di vita così alienante può essere accompagnata dal timore di ereditare la vulnerabilità alla malattia. Quesiti e dubbi relativi all’esattezza o la “presunta perfezione” dei propri gesti di cura, infine, possono accompagnare il caregiver lungo tutto il percorso di assitenza al familiare e spesso soltanto tramite il supporto psicologico di operatori e personale esperto è possibile permettere al contesto familiare di far propria l’idea secondo la quale adattamento, flessibilità, empatia e “creatività” costituiscono elementi base per potere affrontare, all’interno di un clima connotato da serenità, l’assistenza al malato di Alzheimer (Carbone G., Tonali A., 2007).
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I familiari che si occupano dell’anziano, inoltre, elaborano anche un significato della demenza a partire non solo dall’esperienza diretta ma anche dalle relazioni con gli operatori e da altre fonti di informazione. Per esempio si è visto che il familiare elabora una visione “catastrofica” della malattia se all’inizio della diagnosi e lungo tutto il percorso terapeutico gli vengono forniti elementi sulla demenza di carattere puramente informativo.
Per realizzare un lavoro efficace con i familiari è necessario fornire ad essi un supporto psicologico, che possa permettere loro di comprendere il modo in cui vivono la relazione con il malato, di trovare uno spazio all’interno del quale potere esprimere le proprie emozioni circa timori, ansie, paure (Bruce E., Hodgson S., Schweitzer P., 2003).
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