Scrupolosità: definizione e caratteristiche
La scrupolosità religiosa è una delle forma che può assumere il disturbo ossessivo compulsivo quando a essere oggetto di pensieri ossessivi e azioni compulsive sono precetti e pratiche di fede. Il paradosso è che in questi casi la religiosità finisce per essere vissuta come dimensione persecutoria e punitiva invece di recare sollievo e conforto alla persona. Per questo è spesso utile un percorso di psicoterapia.
La scrupolosità religiosa è considerata dai professionisti della Salute Mentale come una sottocategoria del disturbo ossessivo compulsivo: un disagio psicologico in cui la persona è mentalmente invasa da preoccupazioni e dubbi riguardo questioni spirituali e si sente costretta a mettere in atto comportamenti coatti e ripetitivi al fine di sedare ansia e preoccupazione.
In queste persone la religiosità si svuota di significati spirituali per diventare sintomo di un malessere psicologico che rende difficile, se non impossibile, ricavare rassicurazione, ispirazione e conforto dalla propria fede religiosa. Per questo può essere importante intraprendere un percorso di psicoterapia.
Scrupolosità religiosa e disturbo ossessivo compulsivo
Saremmo ingiusti e imprecisi se considerassimo la scrupolosità religiosa un disturbo psicologico a sé stante: qualunque attività o dimensione dell’umana esperienza può diventare, come osservava lo stesso Sigmund Freud (1907), oggetto di pensieri ossessivi (come anche di fobie, di dipendenze comportamentali o altri sintomi psicologici) e la religione non fa eccezione.
Anzi è proprio questo il senso più profondo di qualunque sintomo psicologico: va a prendere a “prestito” un comportamento, un’attività, un’area dell’affettività di per sé normale e importante per la vita di una persona svuotandola a poco a poco di significato fino a ridurla a mero sintomo, comportamento coercitivo in cui viene a perdersi il senso che
quell’esperienza dovrebbe avere.
Per cui rendere i precetti religiosi oggetto di preoccupazioni ossessive non è tanto diverso dal rendere oggetto di simili preoccupazioni l’osservanza, ad esempio, di norme sull’igiene, la pulizia e la prevenzione dalle malattie. I
n entrambi i casi - la preghiera per l’uno e il lavaggio delle mani per l’altro - il comportamento in sé cessa di recare vantaggio all’individuo (la preghiera non è più fonte di conforto, lavarsi le mani non è più sufficiente a sentirsi a proprio agio nel corpo e nei contatti con gli altri) per diventare qualcosa che ci si sente “costretti” a mettere in atto al fine di sedare ansie e dubbi irrisolvibili e per quanto si vada a reiterare tali comportamenti compulsivi, nessuna precauzione non sarà mai sufficiente…
Scrupolosità religiosa e religiosità estrinseca
È stato osservato che certe confessioni religiose in certe aree geografiche sembrerebbero più vulnerabili di altre a “prestare il fianco” a fenomeni di scrupolosità e quindi di disturbo ossessivo compulsivo a contenuto religioso.
Tek & Ulug (2001) citano ad esempio l’Arabia Saudita e l’Egitto, probabilmente perché in queste aree del mondo, più che in Paesi occidentalizzati e globalizzati, la fede e la pratica religiosa sono fortemente integrate del modo in cui viene condotta e organizzata la quotidianità.
Questo può voler dire due cose: da un lato che essendo la cultura stessa a modellarsi sull’osservanza di certi precetti religiosi, la persona vive tale dimensione come più esplicitamente fondante non solo una dimensione individuale, ma collettiva e sociale dell’identità e dell’autostima.
Osservare certe norme religiose non è dunque solo questione di intimo e personale rapporto con Dio, ma anche di appartenenza e riconoscimento a livello sociale, familiare, comunitario.
Tutte dimensioni, queste, facente parte di un aspetto più “estrinseco” della religiosità (Allport e Ross, 1967) che ha tuttavia una grande importanza.
In secondo luogo, determinate preoccupazioni ossessive (il dubbio di non aver osservato correttamente certi dettami, o magari la sensazione di aver fatto pensieri inopportuni o di aver provocato il risentimento da parte di Dio nei propri confronti ecc.) e una certa scrupolosità/ripetitività in certi comportamenti possono rivelarsi, sulle prime, adattive e fonte di ammirazione in una cultura già fortemente improntata alla dimensione religiosa del vivere (così come in un’istituzione religiosa che accoglie persone la cui vita sia interamente consacrata a Dio).
Non stupisce che quindi tali comportamenti, che veicolerebbero
accettazione e approvazione da parte degli altri, fungano in certi contesti, più facilmente che in altri, da “attrattori” per un sintomo psicologico.
Non è tanto diverso dal meccanismo che sostiene e a volte rischia
di rinforzare disturbi dell’alimentazione e dell’immagine corporea in giovani adolescenti esposti ripetutamente a modelli estetici irrealistici e perfezionistici.
Per gli stessi motivi, un disturbo ossessivo può restare inizialmente inosservato entro un’istituzione religiosa, si pensi a un convento, dove lo zelo nell’osservare determinati precetti può inizialmente apparire il segnale di una grande dedizione e partecipazione alla vita spirituale.
Scrupolosità religiosa e angoscia
Il meccanismo che sta alla base del sintomo è analogo a quello di qualsiasi altra forma di un disturbo ossessivo-compulsivo: si tratta di un disturbo d’ansia - per quanto nel DSM V (APA, 2013) abbia trovato una sua collocazione diagnostica autonoma – dove tuttavia la persona non vive una libera e inafferrabile circolazione dell’angoscia (come accade purtroppo a coloro che soffrono ricorrentemente di attacchi di panico), ma a livello assolutamente inconscio e involontario riesce a dare una “forma” a tale angoscia emotiva, “travestendola” da dubbi ossessivi che nella scrupolosità religiosa possono costringere a mettere in atto ripetuti comportamenti – di preghiera o di penitenza ad esempio – al fine di alleviare talipreoccupazioni.
Questi pensieri intrusivi a carattere ossessivo possono riguardare diversi aspetti: questioni morali, l’aver commesso peccati a cui conseguiranno punizioni e dannazioni, il rapporto con Dio, il timore non seguire correttamente i suoi insegnamenti o la reiterazione di pensieri o immagini immorali o blasfemi.
Queste ossessioni portano compulsivamente la persona a compiere una serie di azioni finalizzata a cercare redenzione e rassicurazione come: la preghiera o la confessione ripetitiva, la richiesta continua di
rassicurazione da parte di padri spirituali, l’evitamento di determinati luoghi ecc.
Scrupolosità religiosa: le differenze con una religiosità sana
Diversi elementi consentono dunque di distinguere una religiosità vissuta in modo autentico e sereno da un disturbo ossessivo compulsivo in cui la scrupolosità religiosa è sintomo di un disagio psicologico.
Anzitutto le persone che soffrono di questo disturbo sono generalmente consapevoli dell’irragionevolezza delle proprie preoccupazioni e comportamenti (i sintomi risultano egodistonici e fonte di sofferenza) ma non riescono a fare diversamente come se fossero prigioniere e non più in grado di decidere di loro stesse.
Le rassicurazioni che queste persone spesso cercano in padri spirituali, confessori o compagni di fede risultano spesso insufficienti o recano un beneficio solo temporaneo e le stesse persone interpellate si rendono ben presto conto di quanto il loro contributo risulti inutile e inefficace.
In ultimo, ma non per importanza, se la religiosità diventa un’ossessione, essa finisce per svuotarsi di senso e avere un effetto paradossale: cercare di osservare norme e precetti religiosi, ricorrere alla preghiera o alla confessione, interrogarsi sul proprio rapporto con Dio sono tutti elementi che invece di essere in grado di rassicurare e “nutrire” spiritualmente la persona, alimentano dubbi e timori riguardo la propria indegnità o colpevolezza.
In questo modo la religiosità acquista una dimensione persecutoria,
invece di favorire la crescita spirituale e morale e i primi a risentire di questo sono proprio le persone che mostrano questi sintomi oltre che chi sta loro intorno.
Scrupolosità religiosa: perché è utile la psicoterapia
Per i motivi sopra accennati, può essere molto importante che in casi di questo tipo si acceda a un percorso di psicoterapia. Quel che è bene chiarire è che la religiosità non è mai e in alcun modo una dimensione in sé patologica, ma, anzi, risulta essere una dimensione profondamente adattiva e arricchente della personalità umana e protettiva per la salute psicologica.
Una psicoterapia in questi casi si propone proprio l’obiettivo di “decifrare” il sintomo ossessivo – che altro non è che una forma “fittizia” che hanno assunto determinate angosce del paziente che necessitano di poter essere esplorate e ascoltate in altro modo – per restituire alla persona la possibilità di vivere la propria dimensione di fede e di spiritualità con pienezza e gioia traendone nuovamente piacere, rassicurazione e orientamento nella vita.
Bibliografia
Allport G.W. & Ross J.M. (1967). Personal religious orientation and prejudice, Journal of Personality and Social Psychology, 5, 432-443.
Freud S. (1907). Azioni ossessive e pratiche religiose, Opere vol. V, 1972, pp. 337-349.
Tek C. &Ulug B. (2001). Religiosity and religious obsessions in obsessive-compulsive disorder, Psychiatry Research, 103, pp. 99–108.
American Psychiatric Association. Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders. 5th Edition (DSM-V), APA Publishing, Arlington, VA (USA) 2013, ed. ita., Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.