Patocrazia: l'ascesa al potere dei leader "disturbati"
Possibile che coloro che soffrono di disturbi mentali possano avere maggiori ambizioni e chance di raggiungere il potere? A quanto pare sì e non si parla di storia, ma di attualità.
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La patocrazia, termine coniato dallo psicologo polacco Andrzej Łobaczewski, è quel fenomeno per il quale individui con determinati disturbi di personalità – soprattutto coloro che rientrerebbero nelle categorie del narcisismo maligno e della psicopatia – raggiungono il potere, attraendo vicino a sé persone a loro simili e consolidando una struttura autoritaria e antidemocratica.
Patocrazia: la patologia al potere
Andrzej Łobaczewski è stato uno psicologo polacco vissuto sotto la dittatura nazista prima e il regime sovietico poi. Le sue idee sono state pubblicate e diffuse solo a partire dagli anni ‘80 quando emigrò negli Stati Uniti.
Łobaczewski ebbe la sorte di vivere e lavorare sotto i peggiori regimi autoritari della sua epoca, proprio per questo egli indirizzò gran parte degli studi della sua vita professionale a cercare di spiegare e comprendere con le categorie della psicologia clinica e della psichiatria gli uomini potenti del suo tempo.
Egli osservò infatti che, molto spesso, coloro che raggiungono o detengono il potere politico in modo autoritario e antidemocratico sono compatibili con le categorie diagnostiche di veri e propri disturbi della personalità. In particolare il disturbo narcisistico (nella fattispecie il cosiddetto narcisismo maligno) e la psicopatia.
Gli uomini di potere che rientravano in questi disturbi erano compatibili, secondo Łobaczewski, con le versioni più gravi di questi due quadri psicopatologici che hanno in comune la difficoltà/impossibilità a provare empatia, la pretesa aggressiva che gli altri si conformino ai loro desideri/bisogni, la manipolazione e sfruttamento degli altri e l’assenza di scrupoli con cui inseguono e mantengono il potere.
Quel che Łobaczewski si domandò è come possa accadere che anche in Paesi con governi democratici questo tipo di personalità possa acquisire carisma e potere fino a rovesciare, o mettere seriamente in pericolo, l’ordinamento democratico stesso. A questo inquietante fenomeno egli diede il nome di patocrazia ovvero: la patologia al potere.
Patocrazia e ponerologia politca
Łobaczewski, come molti altri illustri studiosi e intellettuali nei campi più disparati a lui contemporanei, utilizzò i drammi e gli sconvolgimenti politico-sociali della sua epoca come oggetto di studio e li prese dunque a pretesto per elaborare teorie che avrebbero lasciato un importante contributo nel loro campo del sapere.
Egli fondò una branca di studio della psicologia che definì ponerologia politca: come il male si costruisce e si diffonde in un paese e in organismo politoco-sociale. Cosa rende possibile, in altre parole, che in una democrazia, fondata proprio per difendere i diritti di tutti e proteggere le persone dall’arrivismo di pochi, arrivi al potere un patocrate che sovverta tali principi (o almeno tenti di farlo).
Secondo la concezione di Łobaczewski di patocrazia, là dove questo avviene segue un andamento ciclico che egli ha definito ciclo ponerologico. Che cosa vuol dire? Vuol dire che un paese che si trovi in un determinato momento della sua storia (attuale o passata) guidato da un patocrate autoritario e senza scrupoli ha in realtà alle spalle epoche differenti nelle quali il cosiddetto “male” non era presente, almeno in apparenza, entro i sistemi politici e sociali.
Questo andamento ciclico secondo l’Autore avrebbe una durata di circa 70 anni: a una prima fase di sviluppo e crescita economica e sociale, ne seguirebbe una contrassegnata dalla corruzione e dal venir meno del rispetto dei principi etici e morali, un decadimento di valori che rimarrebbe tuttavia inizialmente “sotto traccia” e in una certa misura tollerato senza turbare o limitare esplicitamente le libertà individuali o il funzionamento dello stato democratico.
In questo “humus” culturale, continua Łobaczewski, inizierebbero ad avere facilmente apprezzamento e consenso proprio i futuri patocrati che, col passare del tempo e il verificarsi di momenti di grave crisi economica e sociale, prenderebbero facilmente consensi nella popolazione (delusa dalla tradizionale politica) arrivando al potere. Solo l’instaurarsi di questo “periodo buio” sarebbe in grado di risvegliare le coscienze, promuovere l’auto-organizzazione di coloro che hanno uno spirito critico e valori da difendere. Ripartirebbe in tal modo una nuova era di crescita e sviluppo.
Patocrazia e contesto sociale
Spesso la patocrazia di Łobaczewski viene descritta come un fenomeno per lo più individuale, incentrandosi molto sulla natura psicopatologica dei vari leader che nel corso della storia (passata e contemporanea) ne sono espressione.
Eppure, l’Opera di Łobaczewski ci dice qualcosa di molto diverso: l’instaurarsi di un potere patocratico non ha a che fare (solo) col singolo individuo, ma è la risultante di un più ampio e articolato contesto storico, politico, sociale e culturale che si è definito progressivamente lungo un intero arco di tempo.
In altre parole: la patocrazia non è un puntuale momento in cui il potere politico cade nella mani sbagliate, ma il risultato di un processo e di uno specifico contesto in cui si sono verificati i presupposti che hanno permesso che ciò avvenisse.
Diversi sono infatti gli spunti che si possono cogliere dalla teorizzazione ciclica di Łobaczewski. Non è sufficiente che un paese sia governato da un assetto democratico e che viva un momento di benessere economico e sociale in un dato momento della sua storia: a fare al differenza sulle sorti di quello stesso paese non è il benessere momentaneo ma che cosa, le persone che lo amministrano e che ne fruiscono, se ne fanno.
La corruzione, intesa come sovvertimento delle regole del gioco della convivenza civile, diventa endemica e pericolosa nel momento in cui non fa più scandalo ma diviene un fatto di costume, contemplato e tollerato dal micro al macro contesto sociale, istituzionale, politico.
Il problema non è mai la singola persona psicopatica che ambisce al potere, ma coloro – fra uomini delle istituzioni e persone dell’elettorato – che gli danno consenso, che si lasciano sedurre dal suo carisma, la sua apparente onnipotenza.
Patocrazia: chi sono i “cattivi”?
Osservava Hannah Arendt (1963-1964), non senza attirarsi più di qualche nemico, come in nessun caso, neanche nell’ascesa nel regime nazista, i “cattivi” sono solo da una parte ma come, ad esempio, la strategia di segregazione, deportazione e poi sistematica eliminazione delle minoranze ebraiche fosse avvenuta a volte anche con la connivenza opportunistica delle stesse autorità ebraiche.
Non solo la Arendt ma tutti coloro che hanno studiato l’ascesa del regime nazista nella Germania di quell’epoca, hanno evidenziato come ci fossero molti fattori differenti che sinergicamente avevano già creato i presupposti, entro la società civile, affinché potesse accadere che persone per così dire “normali”, ordinarie e apparentemente dotate di buon senso, potessero arrivare a consegnare il potere nelle mani di un patocrate.
Ernest Wolf è uno dei maggiori esponenti della Psicologia del Sé dopo Einz Khout, questa corrente teorica appartiene all’ambito della psicoanalisi, ma pone molto l’accento sui fattori che consentono alle persone e ai gruppi sociali di preservare un senso di valore e autostima e su quei comportamenti psicopatologici e disfunzionali che individui e gruppi possono arrivare ad attuare qualora sentano che queste dimensioni, psicologicamente vitali, vengono messe a repentaglio.
Egli nel suo libro La cura del sé (1988) applica proprio queste categorie per rileggere l’ascesa di potere di leader autoritari come quella che avvenne nella società tedesca a partire dalla pesante sconfitta, e relativa crisi economica, seguita alla prima guerra mondiale:
“… possiamo riconoscere negli intrighi delle grandi potenze … la paura di ogni sé di gruppo di essere messo in una condizione di impotenza. Gli psicologi del sé sanno, in base alla loro esperienza con gli individui, che non esiste situazione più spaventosa del timore dell’impotenza. Gli individui rispondono a questa minaccia con la rabbia narcisistica – la rabbia senza limiti del sé che mira a distruggere l’origine della minaccia … Per i sé di gruppo le lezioni e la loro urgenza sono ovvie. Una di queste lezioni potrebbe essere il suggerimento che il fine della politica estera dovrebbe essere la prevenzione delle condizioni che favoriscono il prodursi della rabbia narcisistica dei gruppi. L’obiettivo quindi dovrebbe essere non l’indebolimento, ma il rafforzamento selettivo degli avversari potenziali” (p.58).
Bibliografia
Arendt, H. (1963/1964), La banalità del male. Eichmann a Gerusalemme, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2017.
Łobaczewski, Andrzej M., Political Ponerology: A Science on the Nature of Evil Adjusted for Political Purposes, (Grande Prairie: Red Pill Press, 2006)
Wolf E.S. (1988). La cura del sé, trad. it., Astrolabio, 1993.