Allontanarsi da un partner violento: perché (all’inizio) ci si sente peggio?
Le donne che vivono con un partner violento, al contrario di quanto si creda, sono ben consapevoli del male che ricevono. Ma allontanarsi comporta una sofferenza psicologica difficile da affrontare.
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C’è un comune fraintendimento riguardo al termine “masochismo”, inteso nella sua accezione relazionale (non si fa qui riferimento al masochismo sessuale che è altra cosa). Come dimensione della personalità, il masochismo non implica affatto un provare piacere in situazioni di dolore ma, al contrario, ritenere di meritare in qualche modo quella sofferenza e doverla accettare per mantenere il legame con un’altra persona.
Le donne che vivono con un partner violento non provano alcun piacere o benessere nei maltrattamenti che ricevono, vivono spesso nel terrore, nell’angoscia, nella rabbia e svalutazione di sé. Perché allora è così difficile allontanarsi? Perché, dal punto di vista psichico, recidere quel legame di dipendenza, comporterebbe, almeno inizialmente, un dolore mentale percepito come ancora più grande e intollerabile.
Allontanarsi e ritornare
Nel suo libro Il filo di porpora, Vanessa Criconia narra le difficoltà di una donna ad allontanarsi da un partner violento e, con esse, la frustrazione dell’amica che le sta accanto, a tratti incredula e arrabbiata per le reticenze e i passi indietro commessi dalla donna non appena prova a recidere quel legame distruttivo che sta mettendo a repentaglio la sua vita e quella della figlia.
È quel che accade spesso in situazioni come questa: la donna inizialmente chiede aiuto, pensa di denunciare, va via di casa magari da un’amica ma poi, sotto lo stupore e lo sgomento di coloro che le stanno accanto, ritorna dal partner violento, credendo magari alle ennesime promesse di cambiamento o acconsentendo ad un ultimo incontro di “chiarimento” (spesso purtroppo per alcune addirittura fatale)…
In coloro che sono esterni alla vicenda, specie se amici intimi o familiari della donna, si crea spesso un sentimento di impotenza misto a rabbia: sembra così “ovvio” che quella situazione sia solo distruttiva per entrambi perché allora la donna ritorna?
La dipendenza da un partner violento
È stato detto da uno psicologo che, in un certo senso, il masochista relazionale è “un depresso che spera ancora” (Hammer cit. in Mc Williams, 2011, p.311). Questa affermazione contiene in sé un fondo di verità importante.
I sentimenti di colpa e autosvalutazione che contraddistinguono la psicologia depressiva sono comuni anche alle persone con una personalità improntata al masochismo relazionale. Mentre tuttavia, nella psicologia depressiva, questi vissuti impediscono di investire realmente in un legame affettivo; nella psicologia masochista inducono inconsciamente ad accettare vessazioni e sofferenze (o semplicemente a mettere in secondo piano qualunque bisogno proprio a vantaggio esclusivo di quelli del partner) al fine di legare a sé l’altra persona.
Questo ci dice che il fine ultimo (spesso inconscio) della persona masochista, come una donna che rimane con un partner violento fisicamente o psicologicamente, non è quello di autodistruggersi, ma, al contrario, di mantenere a tutti i costi un legame affettivo. Qualunque violenza sarà percepita sempre sempre meno dolorosa dell’andare incontro ad un abbandono (che spesso i partner maltrattanti minacciano al fine di mantenere il controllo sulla compagna) o una separazione. Il motivo risiede nel legame di dipendenza, spesso di codipendenza, che lega la donna al partner maltrattante: senza di lui ella non riesce a percepire in senso di identità personale sufficientemente coerente e coeso e rischia di sprofondare nell’autocommiserazione e nell’autosvalutazione (elementi che il partner spesso alimenta).
Non di rado questa condizione di dipendenza affettiva riguarda entrambi: tanto la donna vittima di violenza, quanto il partner maltrattante. Costui, analogamente, non riesce a percepire un solido senso di identità e autostima se non ottiene costantemente conferme del suo potere sulla compagna e dell’assoluta dedizione di lei: anche la minima autonomia di lei (come avere amicizie fuori casa, lavorare o fin anche il diventare madre) lo fa sentire di colpo perduto, abbandonato, svalutato e questo può far scattare i circuito della violenza.
Chiedere aiuto
Il primo passo è chiedere aiuto, meglio se a un centro antiviolenza o a un Centro Uomini Maltrattanti dove poter trovare personale qualificato e specializzato proprio per questo tipo di situazioni.
Ogni donna che cerca di fuggire da un partner violento dovrà, in un modo o nell’altro, affrontare il dolore della separazione, imprescindibile per avviare la costruzione di un proprio, solido e autonomo, senso di identità.
Allo stesso modo, un uomo maltrattante dovrà fare una scelta consapevole e responsabile per uscire dal circuito della violenza e costruire anch’egli un più autentico valore di sé.
Scappare da un’amica un fine settimana può essere il primo passo, ma spesso non basta: occorre rivolgersi a strutture e professionisti qualificati che forniscano il supporto e il sostegno che prima era garantito, in modo disfunzionale, dal rapporto di coppia.
Bibliografia
McWilliams N. (2011), La diagnosi psicoanalitica, trad. it. Astrolabio, Roma, 2012.