Coronavirus: aumenta il consumo di alcol (con conseguenze pericolose)
Assistiamo a un aumento del consumo di alcol e di casi di violenza fra le mura domestiche. Il consumo di alcol dunque “causa” la violenza? Attenzione, il virus della semplificazione è dietro l’angolo.
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Femminicidio a Milano: il titolo di un quotidiano adduce la causa del dramma alla convivenza forzata. Groenlandia: in tempi di quarantena si vieta la vendita di bevande alcoliche per ridurre il rischio di violenza domestica e gli esempi potrebbero continuare (coronavirus a parte, titoli che interpretavano episodi di femminicidio come causati dalla “passione” o dal troppo "amore" sono tristemente noti alla mente di tutti)…
Alla base di notizie come queste vi è una concezione piuttosto semplificante per la quale un determinato fattore “esterno” – l’abuso di alcol, la quarantena, le non meglio specificate “passioni” e via dicendo – sembra venir posto come “causa”, motore, innesco di un’escalation di violenza che porta alle drammatiche conclusioni di un rapporto di coppia che fino al giorno prima (stando “ovviamente” ai post condivisi su Facebook) sembrava “felice”.
Questa la narrazione che ancora troppo spesso, come denunciano diverse associazioni a difesa dei diritti delle donne, viene fatta a livello mediatico dei casi di violenza domestica e femminicidio.
E in tempi di coronavirus, restrizioni alla vita sociale e quarantene domestiche, questo fenomeno, insieme a quello della violenza in sé, sembra farsi ancora più drammatico. Il rischio però è che a livello mediatico si amplifichino spiegazioni riduttive, semplificanti e deresponsabilizzanti.
Perché aumenta il consumo di alcol?
Da quando siamo nell’ “era coronavirus” ed è iniziato un po’ per tutti l’isolamento domestico, sembra che i consumi di alcol, stando ai dati della Coldiretti, abbiano subito un’impressionante impennata e non solo per la necessaria disinfezione degli ambienti…
Il fenomeno in sé purtroppo non stupisce, se si prova a pensarlo sia da un’ottica sociale e psicologica. Da un lato le persone in quarantena passano la maggior parte del proprio tempo in casa e dal momento che anche cene e apertivi con gli amici si sono sposati in modalità “virtuale” nessuno ha più bisogno di preoccuparsi di dover guidare per rientrare a casa, svegliarsi presto al mattino dopo eccetera.
Il progressivo “addomesticamento” di ogni nostra attività lavorativa e di svago ha ampliato man mano i margini di disimpegno con cui queste stesse attività sembrano possano essere organizzate e gestite.
Al tempo stesso, la situazione di isolamento domestico, di emergenza sanitaria e di precarietà economica e sociale che stiamo vivendo sollecita vissuti di frustrazione, rabbia, incertezza e disorientamento.
In chi rischia di venir sopraffatto da tutto questo può aumentare la tendenza a ricercare fonti di svago e distrazione (non che prima il mondo globale non ce ne offrisse) per non pensare, staccare la spina, ripristinare uno stato di “artificiale” benessere. L’alcol è fra le varie sostanze una delle più insidiose: non soggiace a limitazioni sociali e ambientali come il fumo di sigaretta, è facilmente reperibile negli stessi luoghi dove si acquistano generi di prima necessità, il suo uso per finalità conviviali e ricreative è socialmente condiviso e ben accetto. Può essere dunque difficile distinguere fra consumo moderato e consumi a rischio, soprattutto in un momento di quarantena dove si moltiplicano le occasioni in cui si ha voglia e/o si può bere qualche bicchiere in più.
In coloro che già erano forti bevitori naturalmente aumentano i rischi che questo degeneri in una franca dipendenza e che si amplifichino le conseguenze psicologiche, comportamentali e sociali di essa, compresa l’espressione di comportamenti violenti. Cosa ha a che fare questo con la violenza di genere e in particolare con la violenza domestica?
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La deresponsabilizzazione della violenza
La questione, se vogliamo, è semplice e complessa allo stesso tempo: la convivenza forzata h24 fra le mura domestiche può indurre certe persone ad aumentare il consumo di alcol, compresi gli uomini violenti.
Ma il fatto che in tali condizioni possa peggiorare le escalation di violenza non significa tout court che l’alcol o la quarantena, causano la violenza o i femminicidi (lasciamo da parte, per decoro, le “passioni” e il troppo “amore”).
Questo tipo di narrazione spesso frettolosamente proposta dai media è dannosa e mistificatrice perché deresponsabilizza gli autori di violenza, rendendo il fenomeno della violenza di genere (che trova fra le mura domestiche il suo teatro più frequente) quasi una sorta di “virus” che irrompe e innesca la disorganizzazione di un sistema.
La deresponsabilizzazione è uno dei principali meccanismi cognitivi utilizzati dagli uomini violenti e dai sex offenders per giustificare a sé stessi e agli altri i propri comportamenti e queste narrazioni rischiano di avallarla.
Scegliere di chiedere aiuto
La violenza di genere si estrinseca nella maggior parte dei casi entro le relazioni intime, in contesti quindi domestici e intrafamiliari. La maggior parte delle donne che sono vittime di violenze e abusi – fisici e/o psicologici – fanno esperienza di questo all’interno delle relazioni intime, non ad opera di estranei o sconosciuti.
La violenza domestica consiste nell’utilizzare una propria posizione di forza – psicologica, fisica, economica – per soggiogare/controllare un’altra persona, limitandone scelte e libertà personale. L’uso di sostanze e l’abuso di alcol rientrano, insieme ad altri (es. recente separazione, comportamenti violenti fuori da casa, possesso di armi ecc.), tra quei fattori associati all’aumento di rischio di condotte violente e di un loro esito più infausto per la vita psicologica e/o fisica della vittima.
Nessuno di questi può però esser ritenuto tout court una “causa” della violenza domestica e di genere là dove, come specificato ad esempio dal Centro di Ascolto per Uomini Maltrattanti con sedi in tutta Italia, qualunque intervento di cambiamento deve incentrarsi sull’assunzione di responsabilità, da parte del maltrattante, della propria condotta violenta.
Responsabilità che implica anche capacità/possibilità di scelta, una scelta che può significare anzitutto, sia per chi è vittima che per chi è autore di violenza, chiedere aiuto…