L’Emotional Eating nei bambini
L’Emotional Eating, usare il cibo come fonte di conforto, è un comportamento acquisito spesso fin dall’infanzia. I bambini che sono abitualmente consolati attraverso il cibo saranno più esposti al rischio di a sviluppare condotte alimentari abnormi e obesità da adulti.
Una recente ricerca condotta in Norvegia sull’Emotional Eating nei bambini fornisce un’ulteriore conferma delle problematiche di natura emozionale sottese a disordini e condotte alimentari insane.
Abituare i bambini ad essere consolati mediante una merendina o una caramella può esporli a rischi per la salute psicologica e fisica anche da adulti.
Meglio un abbraccio, dunque, o qualche parola che aiuti il bambino a riconoscere le proprie emozioni.
Emotional Eating nei bambini: una ricerca norvegese
Lo studio in questione è stato condotto da un gruppo di ricercatori dell'Università norvegese di Scienza e Tecnologia, del King's College di Londra, dell'Università di Londra e dell'Università di Leeds. Essi hanno esaminato le condotte alimentari di 801 bambini norvegesi alle età di 4, 6, 8 e 10 anni.
Nonostante l’arco temporale nel quale questi bambini sono stati osservati fosse abbastanza breve, i ricercatori hanno osservato dei dati interessanti.
I bambini che all’età di 4 o 6 anni erano consolati abitualmente dai loro genitori con una merendina o un altro alimento, già all’età di 10 anni tendevano a ricorrere all’Emotional Eating ricercando autonomamente un il proprio “comfort food” per reagire alle difficoltà e alle emozioni negative.
Ma non era solo il comportamento dei bambini, ma anche quello dei loro genitori ad aver subito un rinforzo amplificando, in una sorta di circolo vizioso, il ricorso al cibo come compensazione e fonte di conforto affettivo.
Questo comportamento aumenta il rischio che anche da adulti questi bambini continuino ad utilizzare il cibo in questo modo e sviluppino obesità o altre forme di disturbi dell’alimentazione e del peso.
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Emotional Eating nei bambini e disturbi nella regolazione emotiva
Lo studio norvegese appena citato conferma quanto già ben documentato dalle precedenti ricerche psicologiche sulle condotte alimentari e i disturbi dell’alimentazione.
La psicoanalista Hilde Bruch inaugurò negli anni ’70 tutto un filone di studi, ripresi e ampliati da Autori successivi, che sono confluiti in quelle che oggi sono le attuali prospettive psicosomatiche, psicoanalitiche e sistemiche dei disturbi alimentari (Bruch, 1973, 1982; Tronick, 1989, 2008; Goodsit, 1983; Casper, 1983; Swift & Leven, 1984; Taylor, Bagby & Parker, 1997).
La Bruch per prima infatti osservò come fra disordini alimentari apparentemente molto diversi, anoressia e obesità ad esempio, ci fossero presupposti psicologici comuni.
In entrambi i casi infatti, i ragazzi e le ragazze osservate dalla Bruch sembravano condividere ambienti familiari molto simili per quel che riguardava la scarsa competenza emozionale dei genitori e del rapporto che questi avevano con i loro figli.
La scarsa capacità del genitore a comprendere gli stati emotivi dei bambini poteva, nel lungo periodo, esporli a disturbi nella regolazione emotiva che trovavano il loro riflesso in una condotta alimentare disfunzionale.
In particolare, nelle famiglie dove ai disagi dei bambini il genitori rispondevano sistematicamente offrendo del cibo si alimentava una pervasiva confusione tra fame e ansia che impediva ai figli di imparare a discriminare fra bisogni fisiologici (la fame fisica, il bisogno di sonno e riposo ecc.) e bisogni affettivi (noia, rabbia, paura ecc.).
Questi bambini erano quelli più esposti a condotte alimentari abnormi (Binge Eating ecc.) e a obesità sia nell’infanzia/adolescenza che in età adulta.
Emotional Eating nei bambini: fame fisica e fame emotiva
Il cibo ha irrinunciabilmente delle valenze affettive per ognuno di noi poiché, agli esordi nella nostra infanzia, riceviamo calore e conforto affettivo durante l’atto stesso del venir nutriti e accuditi.
Per questo, ad esempio, molti dei nostri cibi preferiti sono quelli che più ci erano cari durante i primi anni di vita. Nulla di sbagliato dunque a conferire al cibo anche una valenza affettiva e consolatoria purché questa non sia l’unica strategia che viene messa in atto.
Per insegnare ai bambini ad avere un rapporto sano col cibo occorre insegnare loro anzitutto ad avere un rapporto sano con le emozioni.
Durante una difficoltà o un momento di sconforto, i bambini non hanno bisogno di smettere di sentirsi tristi mangiando una merendina o una caramella! Hanno invece bisogno che un adulto sappia riconoscere e nominare al posto loro quel particolare stato emotivo e fornire supporto affettivo.
Non è fame, ma bisogno di sicurezza e affetto. Solo così i bambini impareranno gradualmente a gestire la propria vita emotiva e potranno essere adulti in grado di confortarsi da sé e di autoregolare la propria condotta alimentare in base alla fame fisica e non a quella emotiva.
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