Isolamento sociale e salute
Secondo i dati Eurostat il 6% delle persone sopra i 16 anni non avrebbe nessuno a cui chiedere aiuto o con cui discutere questioni personali. La percentuale sale al 13% per l’Italia. Che l’era digitale stia portando all’estremo i paradossi della postmodernità?
È un primato decisamente negativo quello dell’Italia che secondo i dati Eurostat sarebbe al primo posto quanto a isolamento sociale percepito.
Il 13% delle persone sopra i 16 anni in Italia – contro il 6%, comunque alto, della media europea – dichiarerebbe di non aver nessuno a cui poter chiedere aiuto in caso di bisogno e nessuno con cui poter discutere delle proprie questioni personali.
Eppure viviamo nell’era digitale, siamo connessi 24 ore su 24 ma, a quanto pare, questo non porta vantaggi nelle relazioni di fiducia e intimità. Al contrario, sembra aumentare un pericoloso senso di isolamento sociale con effetti potenzialmente negativi sulla salute fisica e psicologica.
Isolamento sociale e salute: i benefici del sostegno sociale
Che il sostegno sociale rappresenti uno dei principali fattori protettivi contro le malattie correlate allo stress è ormai più che documentato. Essere inseriti in una ricca rete di relazioni e sentire di avere uno o più contesti di appartenenza sociale a cui far riferimento in caso di bisogno sono fattori che possono attenuare l’impatto degli eventi stressanti e ridurre indirettamente i danni da essi provocati (Cohen e Wils, 1985).
Le altre persone possono rappresentare una fonte di aiuto in molti modi: si distingue un sostengo sociale di tipo materiale, informativo ed emotivo.
Il sostegno sociale percepito, dunque, rappresenta un fattore di protezione importante sia per la salute psicologica, sia per la salute fisica.
È dimostrato, infatti, quanto l’impatto negativo di alcuni eventi stressanti, se protratto cronicamente, possa interferire con il corretto funzionamento del sistema immunitario, predisponendo la persona a sviluppare tutta una serie di patologie somatiche (Kielcot-Glaser e Glaser, 1995; Kilecot-Glaser e coll., 2002). I dati Eurostat dovrebbero quindi destare allarme.
Isolamento sociale e salute: quanti amici “reali” possiamo avere?
Può sembrare un paradosso quello di riscoprirsi sempre più soli nonostante le reti di connessioni virtuali di cui disponiamo 24 ore al giorno: chat, email e social network ci mantengono costantemente i contatto con una serie pressoché infinita di persone.
Eppure a risentirne sarebbero proprio le relazioni “reali”, quelle “faccia a faccia”. Molti hanno osservato come queste reti virtuali si rivelino una mistificazione spesso priva di sostanza.
Secondo un recente studio – che conferma e amplia la teoria del cosiddetto numero di Dunbar - il numero di relazioni sociali che saremmo in grado di mantenere “realmente” si aggira fra i 7 e i 25, anche se nella maggior parte dei casi i nostri contatti Facebook sono molti, molti di più!
I nostri contatti virtuali dicono molto poco, dunque, sulla nostra effettiva connessione sociale. E, stando alle statistiche appena citate, potremmo avere centinaia di “amici” virtuali da cui non ricaviamo alcun sostegno o intimità relazionale.
Isolamento sociale e salute: le relazioni “liquide”
Che i tempi siano cambiati lo avevano già notato diversi intellettuali fin dalla seconda metà del ‘900 compresi alcuni esponenti del movimento psicoanalitico successivi a Freud.
Heinz Kohut (1971) e gli Autori della corrente della Psicologia del Sé, ad esempio, furono fra i primi ad osservare un mutamento epocale delle psicopatologie che affliggevano le persone.
Non più gli antichi conflitti nevrotici relativi e regole e imposizioni sociali ma, al contrario, l’assenza sempre più evidente di tali regole, di istituzioni sociali forti che, regolando appartenenze e ruoli sociali, assegnassero, nel bene o nel male, un’identità certa, definita alle persone.
Sempre più spesso, osservava Kohut, le persone si ammalavano psicologicamente per carenza di autostima, fragilità identitaria, assenza di valori o scopi nella vita.
L’individualismo della società moderna è quello poi è sfociato nelle riflessioni di Zygmunt Bauman sulla società “liquida”, quella attuale, dove sembra non ci sia più nulla di “dato”, dove le identità e le potenzialità individuali sembrano in continuo mutamento senza più alcun vincolo sociale, familiare o istituzionale.
Le relazioni si fanno appunto “liquide”, fuggenti, è molto facile entravi e uscirvi e, come afferma lo studioso in Amore liquido (Laterza, 2003), non c’è più un impegno a lungo termine, un investimento emotivo-affettivo. No: appena qualcosa non va secondo le proprie aspettative sembra si possa mettere da parte il passato e voltare pagina, passare ad altro con la stessa modalità “usa e getta” con cui ci si rapporta agli oggetti.
Le riflessioni di Bauman aiutano forse a comprendere perché l’iperconnessione digitale abbia esasperato l’individualismo moderno, impoverendo il valore delle appartenenze sociali e contribuendo ad un paradossale vissuto di isolamento sociale. Per liberarci dalle costrizioni – senz’altro vere – di un passato austero, sembra ci siamo consegnati alla fluidità del cyberspazio dove siamo in contatto con tutti ma, in fondo, con nessuno, forse neanche con noi stessi.
Che ci tocchi ripartire da qui? Dalla riscoperta delle relazioni “vecchia maniera” per compiere una scelta realmente anticonformista per un benessere più duraturo della transitorietà di un “like” su Facebook?