Conformismo ed emozioni negative: essere la “pecora nera” non conviene?
Assumersi la responsabilità di comportamenti e scelte “fuori dal coro” comporterebbe dei costi emotivi che la mente tenderebbe ad evitare: più forte della prospettiva del successo è il rischio di esporsi a un fallimento individuale. Ecco che, quindi, per non “rimetterci la faccia” saremmo più naturalmente inclini a seguire il conformismo attribuendo la responsabilità di un eventuale fallimento al gruppo nel suo insieme e non a noi stessi. Il conformismo aiuterebbe a proteggerci da emozioni negative come vergogna, rabbia o senso di colpa...
Varie ricerche nel campo della psicologia sociale e delle neuroscienze evidenzierebbero quanto il conformismo sia una tendenza comportamentale utilizzata dalla nostra mente per proteggerci dalle emozioni negative associate all’eventualità che una scelta “controcorrente” possa rivelarsi sbagliata e quindi esporci ad un fallimento individuale. Meglio scegliere di conformarsi alla massa: sarà tutt’al più il gruppo a sbagliare.
Conformismo e diffusione di responsabilità
Nel fenomeno del conformismo gioca senza dubbio, fra le varie componenti, quella definita in psicologia sociale come “diffusione di responsabilità”: seguire scelte condivise e compartecipate con altri significa in qualche misura non agire da soli ma in gruppo “diluendo” nel gruppo stesso la responsabilità dell’esito delle proprie azioni.
Questo tipo di meccanismo, se da un lato consente al singolo di sentirsi in qualche modo più “forte” e quindi disposto a rischiare in imprese che da solo non potrebbe assumere, dall’altro opera una deresponsabilizzazione al livello individuale a discapito di un’autonomia di scelta e pensiero critico fino a sostenere comportamenti contro la propria morale o un ragionevole altruismo (come illustra la triste storia di Kitty Genovese).
Tale fenomeno, ad esempio, venne citato da Albert Bandura fra i meccanismi che presiedono la disattivazione dei controlli morali interni permettendo all’individuo comportamenti in contrasto anche con i suoi principi o valori. In questo caso seguire il conformismo può implicare un disimpegno morale per cui ognuno è al riparo da emozioni negative, come colpa o vergogna, che intaccherebbero l’autostima e l’immagine di sé attribuendo agli altri e non a sé stesso la responsabilità delle proprie scelte.
Affiliazione e emozioni negative
Un altro fattore implicato nel conformismo, e messo in evidenza negli studi citati, è quello motivazionale: sarebbe la motivazione all’affiliazione a giocare un ruolo di primo piano nella scelta ad uniformarsi a ciò che decide la massa.
Fu McClelland (1987), studiando i profili motivazionali degli individui nei contesti organizzativi, a definire una teoria che si concentra su tre motivazioni fondamentali: affiliazione, potere e successo.
La prima - la tendenza motivazionale che spingerebbe ad agire allo scopo di creare e mantenere relazioni armoniche e non conflittuali con gli altri evitando quindi emozioni negative - sarebbe implicata negli atteggiamenti e comportamenti ispirati al conformismo piuttosto che alla differenziazione e individuazione dal gruppo.
Introversione ed estroversione nel conformismo
Scelte conformiste influenzano tutti noi e sono in parte necessarie all’adattamento sociale ponendosi entro quella tensione dinamica fra le due polarità dell’individuo e della collettività.
Probabilmente la frequenza e la modalità con cui scegliamo di “seguire la corrente” o di affermare la nostra individualità dipende non solo delle contingenze ma anche dalle nostre caratteristiche di personalità. Non per tutti seguire il conformismo significa necessariamente sacrificare la propria autenticità o libertà personale.
La teoria di Carl Gustav Jung sui tipi psicologici è in tal senso ancora attuale e introversione ed estroversione sono infatti parte di quella che è la teoria dei Big Five di McCrae e Costa, una delle più recenti classificazioni sui tratti di personalità in psicologia generale. Fra le caratteristiche che differenziano estroversione e introversione vi è proprio la tendenza o meno al conformismo.
È nella natura dell’introverso concentrarsi sulle proprie sensazioni “interne” e dare quindi priorità a motivazioni individuali che lo portano a compiere scelte e assumere atteggiamenti spesso differenti da quelli “di massa”.
Per l’introverso quindi il conformismo può significare omologazione spersonalizzante; questo tuttavia non è necessariamente vero per l’estroverso che, prediligendo i dati e le sollecitazioni “esterne” a sé, trova nel riuscire ad accordarsi con le richieste del suo ambiente un modo di vivere in sintonia con sé stesso e con gli altri. Naturalmente non esistono tipi “puri” ma una predisposizione più accentuata in un senso o in un altro: talvolta il conformismo è una pressione sociale che sfocia in un compromesso insoddisfacente, in altri casi può rappresentare una fonte di armonia e di affiliazione con gli altri.
BIBLIOGRAFIA:
- Berns, G. S., Chappelow, J., Zink, C. F., Pagnoni, G., Martin-Skurski, M. E., et al. (2005). Neurobiological correlates of social conformity and indipendence during mental rotation. Biol Psychiatry, 58, 245-253.
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