L'introversione: storia, mode e falsi miti
L’introversione è un tratto di personalità a cui spesso si fa riferimento nel senso comune per identificare una persona ritirata in sé stessa, poco incline alle relazioni sociali e con poche amicizie; eppure l’introversione di per sé non è affatto negativa o disadattava, ma una dimensione da recuperare anche nell’attuale società “estroversa”
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L’introversione fa parte del binomio introversione-estroversione che costituisce uno dei cinque principali tratti di personalità classificati in psicologia. Esso fa riferimento al tipo di atteggiamento e di contatto che si stabilisce con l’ambiente, maggiormente rivolto verso l’esterno per gli estroversi, più introspettivo e rivolto verso l’interno per gli introversi.
Introversione e estroversione furono per la prima volta identificate e descritte da Carl Gustav Jung che non le riteneva due polarità antitetiche della personalità, ma piuttosto due dimensioni entrambe presenti e necessarie (la consapevolezza dell’ambiente esterno e della presenza degli altri rispetto a sé, e la capacità di riconoscere i propri stati interni) che si combinano in diverse modalità in ognuno di noi.
L’introversione: un fraintendimento culturale
È nella cultura del senso comune della società moderna che l’introversione viene purtroppo erroneamente ritenuta un tratto negativo della personalità rispetto alle caratteristiche degli “estroversi” considerate doti preferenziali per ottenere riconoscimento e successo.
Finanche i modelli educativi puntano molto alle capacità di socializzazione e di scambio coi coetanei rischiando tuttavia di sottovalutare le differenti esigenze dei bambini con un’indole maggiormente spostata sull’introversione e rischiando di affrettare giudizi di valore negativi su un tratto di personalità, come l’introversione, che è comunque comune a tutti e che con lo sviluppo può modificare e meglio integrarsi con modalità anche estroverse di rapporto col mondo.
In pratica l’introversione come tratto prevalente di personalità rischia di rivelarsi disadattativa non tanto perché lo sia di per sé, quanto perché precocemente etichettata negativamente da una società tendenzialmente “estroversa” e poco incline a valorizzare qualità e doti complementari.
L’introversione: criticità e punti di forza
Spesso a causa del giudizio degli altri sono gli stessi individui introversi e ritenere la propria introversione un problema e a giudicarla negativamente perché vissuta come ostacolo alla socializzazione.
L’introversione tuttavia non comporta un rifiuto degli altri: le persone con una spiccata introversione hanno un bisogno altrettanto intenso di relazioni e rapporti sociali ma qualitativamente differente.
L’introversione, infatti, non spinge ad instaurare rapidamente molteplici e continui contatti con gli altri, né a rapportarsi con molte persone contemporaneamente; al contrario coloro che privilegiano l’introversione puntano a stabilire poche ma durature relazioni poiché scelgono gli altri prevalentemente sulla base di un’affinità personale e di una risonanza emotiva positiva.
Da un lato questa spiccata sensibilità personale fa dell’introversione un possibile elemento di vulnerabilità a problematiche relazionali e disagi psicologici poiché può essere più difficile e stressante “stare al passo” con i ritmi troppo frenetici e frettolosi che la nostra società impone e che, per inciso, rischiano di portare insoddisfazione ed alienazione in tutti. Dall’altro – come afferma Luigi Anépeta, uno dei maggiori studiosi in materia − l’introversione è quel tratto che sta alla base della genialità e creatività di molti noti artisti e scienziati (Albert Einstein, Sigmund Freud, Nietzsche per esempio), che mira a difendere principi di uguaglianza, giustizia e armonia nei rapporti umani (perché mai vissuti appunto superficialmente) e che può rivelarsi, quindi − se tali presupposti non sono vissuti come ideali assoluti ma come elementi del “possibile” − un motore inesauribile di crescita personale e di cambiamento in sé stessi e negli altri.
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