L'effetto paradosso dello stigma sociale dell’obesità
Lo stigma sociale che grava sull’obesità avrebbe un effetto paradosso sulla diffusione del fenomeno aumentando l’ansia e la compulsività nel mangiare in coloro che si ritengono in sovrappeso e quindi socialmente non accettabili. Vediamo il perché
Colpevoli o malate, ma quasi mai rispettate e riconosciute nella responsabilità delle proprie scelte. Questo il concetto che, non solo in Europa ma ancor più negli USA, si cela dietro lo stigma associato alle persone obese e veicolato più o meno esplicitamente dai media.
Ritenere malate o colpevoli le persone solo perché il loro fisico non si uniforma a determinati standard di salute o di forma fisica sottrae loro proprio l’autoefficacia necessaria a recuperare la capacità di intervenire e incidere sul proprio comportamento alimentare.
L’effetto paradosso è quello di aumentare ansia e impotenza proprio in coloro che, percependosi come in sovrappeso, si riterranno socialmente inadeguati e ancor più incapaci di cambiare.
L'obesità è una malattia o una questione di forza di volontà?
Chi si ritiene obeso reagisce allo stigma sociale mangiando di più
Coloro che si ritengono in sovrappeso, se messi a confronto con la stigmatizzazione sociale e i pregiudizi discriminatori sull’obesità, non ne ricevono un impulso a cambiare alimentazione e a moderare l’introito di cibo anzi, il messaggio veicolato può avere un effetto paradosso.
Queste le conclusioni di una ricerca condotta dall'University of California di Santa Barbara: delle 93 studentesse universitarie reclutate per lo studio, coloro che si ritenevano in sovrappeso, dopo aver letto e riportato i contenuti di un articolo riguardante la discriminazione sul lavoro delle persone obese e i costi sociali ed economici di tale condizione, davanti a uno spuntino tendevano a mangiare di più rispetto a quando venivano loro presentati i costi sociali ed economici di un comportamento compulsivo come il fumo.
Inadeguati fisicamente vuol dire inadeguati socialmente?
I risultati di questo studio sembrano a prima vista controintuitivi: perché mai, se informate degli svantaggi economici e sociali dell’obesità, le persone che si ritengono in sovrappeso, invece di tentare di moderare la quantità di cibo assunto, sembrerebbero reagire nella direzione opposta?
Perché la stigmatizzazione sociale dell’obesità, suggeriscono gli autori, mette a repentaglio l’identità sociale di coloro che, ritenendosi già in sovrappeso, percepiranno questa “colpa” o questa “patologia” come prova di una loro più generale inadeguatezza personale.
Se lo stigma minaccia il proprio senso di sé
Diversi studi di psicologia sociale hanno studiato l’associazione tra ansia e impulso a mangiare concludendone che, la compulsione alimentare come risposta disfunzionale ad uno stato di tensione è peculiare di quei casi in cui l’ansia viene esperita dalla persona come una minaccia al proprio senso di sé perché ìndice di un pericolo percepito come eccedente le proprie capacità di fronteggiamento (Corner e Armitage, La psicologia a tavola, Il Mulino, 2008).
Se una persona che si percepisce in sovrappeso sente di venir colpevolizzata e marginalizzata per questo, la stigmatizzazione sociale di cui è vittima non farà altro che alimentare un senso di minaccia e di impotenza che la faranno sentire priva ancor più della capacità di poter incidere sulla realtà.
Recuperare autoefficacia e capacità di scelta
Quando cambiare alimentazione non è un obbligo o un diktat sociale, ma una libera scelta al servizio dei propri personali obiettivi allora è possibile ricontattare un adeguato senso di autoefficacia e recuperare un rapporto più consapevole con l’alimentazione.
Certo, sarebbe utile che i media invece di veicolare stereotipi perfezionisti e irraggiungibili iniziassero a chiedersi come promuovere nelle persone un adeguato senso di autoefficacia sul proprio comportamento alimentare.