Come imparare ad amare i propri difetti
Ne abbiamo tutti, eppure può sembrare molto difficile accettarli o addirittura amarli per quello che sono: i nostri difetti sono parte di quelle peculiarità che contribuiscono a renderci chi siamo. Pensate ai difetti addirittura "studiati" della Venere di Botticelli, consacrata al mondo per le sue imperfezioni.
Quello di amare i propri difetti è spesso declinato come banale cliché, ma non è un invito all’autoindulgenza, men che mai a deresponsabilizzarsi dei propri errori. Si tratta piuttosto di confrontarsi con i propri limiti e riparare ai propri sbagli senza per questo mettere in discussione la propria autostima o valore personale.
I difetti che ci rendono unici
“… sono queste le cose che più mi mancano, le piccole debolezze che conoscevo solo io, questo la rendeva mia moglie. Anche lei ne sapeva di belle sul mio conto, conosceva tutti i miei peccatucci. Queste cose la gente le chiama imperfezioni, ma non lo sono, sono la parte essenziale…”
Con queste parole, il dottor Sean Maguire spiega a Will il valore delle imperfezioni nei rapporti umani (Will Hunting - Genio ribelle, 1997). Questo processo è simile è quello che ognuno può instaurare con sé stesso: imparare ad amare i propri difetti significa anzitutto riuscire e relativizzarli come aspetti parziali e non totalizzanti della propria persona e, perché no, iniziare a trattarli con un po’ di umorismo, renderci simpatici a noi stessi anche per quelle “piccole imperfezioni” che, in fondo, ci rendono quello che siamo.
Si tratta solo in apparenza di una banalità, l’umorismo in realtà è un meccanismo di difesa evoluto e adattivo che la mente ha a disposizione per prendere emotivamente le distanze da ciò che ci disturba, coglierne gli aspetti paradossali e tramutarlo in qualcosa di ilare, che può suscitare empatia e benevolenza (non c’è niente di più contagioso del riso!). Saper sorridere dei propri difetti, è un modo per smorzarne la portata, esorcizzare la vergogna o l’imbarazzo e renderli più facilmente ammissibili a se stessi e agli altri.
Cosa impariamo dagli errori?
Jean Piaget fu uno dei maggiori psicologi dell’età evolutiva. Egli iniziò a studiare il pensiero infantile in un modo decisamente interessante. All’epoca era un giovane collaboratore di Alfred Binet, il padre dei test di intelligenza, e aveva il compito di somministrare ai bambini una serie di prove di laboratorio.
Il fine di Binet era quello di studiare l’intelligenza e prevedere quali bambini avrebbero avuto difficoltà scolastiche. Il tutto era misurato sulla base del numero di risposte giuste/sbagliate. Piaget tuttavia non si fermò a questo, non si limitò a registrare quando i suoi piccoli soggetti davano risposte errate, ma iniziò a domandare loro il perché, a esplorare che tipo di percorso logico essi avessero fatto per poter dare una certa risposta piuttosto che un’altra. Questo lo portò ad evidenziare ricorrenti differenze nelle capacità di ragionamento in base all’età e fu proprio da queste pionieristiche osservazioni che presero le mosse gli studi sullo sviluppo del pensiero infantile che lo avrebbero reso celebre.
Il metodo di Piaget può essere di ispirazione per molte persone, specie per coloro che per carattere tendono ad avere alti livelli di perfezionismo.
L’errore - per quanto grave o inammissibile possa sembrare - può rappresentare un aspetto su cui interrogarsi piuttosto che qualcosa che mette “fuori gioco”. In questa ottica non è detto che un errore vada cancellato o che non debba avvenire, mettere da parte il giudizio consente di porsi delle domande sui motivi e sul significato di quanto è successo. Può darsi che si scoprano nuove cose su se stessi, anche sulle proprie debolezze, a tutto vantaggio di una maggior consapevolezza di sé. Non è importante non commettere errori, non avere difetti, ma – come faceva Piaget – riflettere di su essi, domandarsi il perché, che significato hanno, cosa possono dirci su noi stessi. Molte grandi scoperte della storia d’altra parte sono nate proprio da errori e difetti di procedura!
Difetti e autostima
Non va dimenticato inoltre quanto un atteggiamento di benevolenza verso i propri difetti sia importante anche per porre la persona in condizione di poter riparare a un errore.
Se si è presi dalla troppa vergogna, il calo dell’autostima e la svalutazione di sé prenderanno il sopravvento con l’effetto di paralizzare la mente: la persona è incapace di fare alcun che e l’errore è percepito come irreparabile perché non è sentito solo come una svista nel proprio comportamento, ma come un qualcosa che ha messo in discussione il valore globale di se stessi.
Se, al contrario, si riesce a prendere le distanze dai propri difetti, relativizzarli e trattarli con ironia, si è anche maggiormente in condizione di vederli per quello che sono: aspetti parziali e non totalizzanti del proprio modo di essere. Un singolo errore non comprometterà globalmente la propria autostima e sbagliare continuando a pensare di essere, nonostante tutto, una persona degna di considerazione è sicuramente la condizione migliore per poter riparare o modificare il proprio comportamento.
Tutt’altro che una giustificazione tout court dunque, amare i propri difetti è un modo per conoscersi meglio e migliorarsi.
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