Genitori in gioco: intervista ad Alessandra Zermoglio

Genitori in gioco: una guida pratica per permettere ai genitori, sempre più presi dai ritmi frenetici della vita quotidiana, di sfruttare al meglio il tempo da dedicare ai figli, stimolando creatività e immaginazione divertendosi e stabilendo un rapporto solido e profondo. Abbiamo intervistato l'autrice per scoprire qualcosa in più sul ruolo del gioco in famiglia.

Genitori in gioco: intervista ad Alessandra Zermoglio

Alessandra Zermoglio, autrice di Genitori in gioco appassionata da sempre di letteratura per ragazzi, in questa guida pratica, nata dalla sua esperienza personale di genitore e dall'amore per il mondo dell'infanzia, condivide semplici "istruzioni" per giocare e crescere con i propri figli.

 

I genitori hanno sempre meno tempo da dedicare ai propri figli soprattutto nel gioco. Quanto è importante la partecipazione dei genitori al gioco nello sviluppo del bambino?

Credo che il gioco sia un formidabile ed insostituibile strumento di crescita che vede complici bambino ed adulto. Per esperienza personale posso affermare che fino all’ingresso nella scuola primaria il genitore rimane il compagno di giochi privilegiato. Infatti solo in prossimità di questo traguardo il bambino acquisisce una sufficiente maturità emotiva e relazionale che gli consente di preferire i momenti di gioco trascorsi con i coetanei rispetto a quelli con i genitori. Il gioco che più gratifica il bambino è ovviamente quello fortemente partecipato. Da qui il titolo del libro che riassume la filosofia dell’intera opera: genitori mettetevi in gioco, gettate il cuore oltre l’ostacolo e condividete con i vostri figli esperienze ed emozioni.

 

Nei primi 2 mesi di vita consiglia, oltre alle cure tradizionali richieste, anche di trascorrere del tempo a parlare al neonato: perché è così utile far sentire al bambino il suono della voce del genitore?

I mezzi di comunicazione nei primi mesi di vita devono essere molto semplici ed istintivi e avvalersi dell’ausilio di tutti i sensi:

  • il tatto: la pelle del bambino è sensibilissima  e quindi via libera al massaggio, alle carezze, al contatto corporeo,
  • il gusto: attraverso l’alimentazione come gesto di amore,
  • la vista: con la presenza costante di un volto sorridente e amorevole,
  • l’olfatto: attraverso il profumo della pelle materna.
  • l’udito: grazie alla voce dei genitori quale suono che veicola tutti i potenti sentimenti che gravitano attorno all’esperienza genitoriale.

Parlare, chiacchierare con il proprio figlio di qualsiasi argomento, con libertà e senza pudori, può aiutare anche il genitore a rendere più solido e profondo il legame con il piccolo.

 

A due anni il bambino ha imparato a camminare, a prendere gli oggetti, a essere quindi più autonomo e questo comporta maggiore attenzione e ascolto da parte dei genitori. Come riuscire a mantenere l’autorità genitoriale, dando comunque spazio all’”intraprendenza” del bambino?

Si sente spesso parlare dei “terribili due anni”. Molti genitori, al compimento dei due anni del figlio, si ritrovano spesso al minimo delle energie perché logorati dalle fatiche fisiche ed emotive dell’intenso accudimento appena trascorso. Questa nuova fase quindi può coglierli impreparati. Le conquiste di autonomia fisica del bambino danno avvio ad una serie di nuove richieste da parte del piccolo. Il consiglio è di assecondare il più possibile il suo desiderio di conoscere il mondo fornendogli opportunità o alternative per guidarlo nelle sue esplorazioni quotidiane. Siate pronti ad improvvisare e sostituire dei vuoti divieti, che alimenterebbero solo il capriccio, con delle valide alternative altrettanto stimolanti.

 

I 6 anni segnano l’ingresso a scuola: come può il gioco integrare lo studio e favorire lo sviluppo formativo del bambino?

Da quando mia figlia ha iniziato la scuola e gli annessi doveri scolastici  ho capito quanto fosse assurda la domanda che alla sua età gli adulti mi rivolgevano: ”Ti piace andare a scuola?”

La domanda corretta dovrebbe essere “Ti piace stare con i tuoi compagni, le maestre sono simpatiche, impari cose nuove?”. C’è poco spazio per il gioco nelle nostre scuole, perciò il mio invito ai genitori è di cercare di mantenere un legame ludico con il bambino anche durante lo svolgimento dei compiti. Nel libro si suggeriscono alcune utili attività in cui il confine tra gioco e apprendimento è molto sfumato. Ancora oggi con mia figlia, che ha otto anni, a volte mi vedo costretta a improvvisare delle divertenti scenette con voci buffe o mosse clownesche per aiutarla nello studio delle storia o della geografia quando mi accorgo che l’attenzione cala oltre i limiti necessari all’apprendimento.

 

Quanto giocare con i propri figli può influire sulla crescita personale dei genitori?

Riprendere a giocare dopo anni di “inattività” è un toccasana anche per i genitori, soprattutto se non giovanissimi come accadde ormai sempre più spesso (anch’io sono stata definita una primipara attempata). Non necessariamente giocare significa esibire doti atletiche (per quello c’è lo sport). Giocare è anche sedersi a un tavolo e disegnare insieme, cucinare un budino, inzuppare i biscotti per la torta, insomma fare qualche cosa insieme che in fondo è il gioco preferito dei nostri figli.