Farsi testimoni per prendere posizione: la Memoria secondo Gherardo Colombo
Gherardo Colombo e Liliana Segre ripercorrono gli anni delle deportazioni naziste in un libro destinato a richiamare ciascuno alla responsabilità personale di dare nuova voce alla Storia e tramandarla in terza persona.
Credit foto
©Cannarsa
Anticipando il momento che ci interroga oggi, quello della progressiva diminuzione dei testimoni viventi della Shoah, ciascun sopravvissuto che ha deciso di raccontare pubblicamente la propria esperienza ha intimante domandato a sé stesso per quale motivo fosse necessario testimoniare un vissuto di parole indicibili.
Fosse anche “solo” per contrastare ogni nuova pretesa negazionista, Elie Wiesel, sopravvissuto alla deportazione e Nobel per la Pace nel 1986 per aver reso attraverso la sua testimonianza l’orrore della Shoah, anticipò l’urgenza di perseguire attraverso lo studio la conoscenza di quanto accadde nei campi di sterminio richiamando ciascuno alla responsabilità personale di dare nuova voce alla Storia e tramandarla in terza persona.
Gherardo Colombo ha letto ciò che Liliana Segre ha conosciuto. Pagine di storia e di vita che nessuno vuole si ripetano. È per non dimenticare che con il libro “La sola colpa di essere nati” (Garzanti, 2021) scritto a quattro mani con la senatrice a vita, l’ex magistrato ha voluto rendere per iscritto il valore della testimonianza diretta per coltivare la memoria collettiva e la libertà individuale.
Qual è la forza della testimonianza diretta?
Noi possiamo conoscere o attraverso l’esperienza diretta o per esperienza altrui. Apprendiamo cioè facendo esperienza in prima persona oppure sentendo raccontare le esperienze degli altri che possiamo poi a nostra volta raccontare nuovamente. Oltre alla parola esiste, ovviamente, anche la scrittura, che rende stabile il racconto, e proprio attraverso la scrittura si continua a trasmettere, andando anche al di là della propria esistenza, ciò che si è vissuto.
Certo, qualcosa in questo caso si perde, per esempio si perde l’emozione che suscita la presenza fisica, ma il contenuto rimane. Penso a Nedo Fiano, per esempio: ci ha purtroppo lasciato, ma noi possiamo continuare a rivivere le sue esperienze e la sua testimonianza attraverso le parole che ha scritto.
Il libro che abbiamo scritto Liliana ed io è la realizzazione della volontà di preservare la memoria della sua esperienza anche adesso che Liliana ha deciso di non raccontare più di persona, a voce. I libri restano come testimonianza: un libro di scienze è la testimonianza di una scoperta, un romanzo è la testimonianza di stati dell’animo che qualcuno ha provato. Sempre, quando entri in relazione, porti testimonianza, qualunque sia lo strumento con il quale si entra in contatto.
Ora Liliana, che da quando ha deciso di raccontare ai ragazzi quel che ha vissuto non si è mai risparmiata, sente l'esigenza di “andare in pensione”, e di respirare a pieni polmoni. È importante quindi che quanto ha detto a voce possa essere tramandato anche attraverso la scrittura.
La memoria personale e le fonti storiche sono strumenti diversi di conoscenza?
Se per fonti storiche intende i documenti, come le leggi razziali, credo sia necessario intrecciare le une con le altre, perché è proprio l’intreccio dei documenti e delle parole a fare la storia. È quello che abbiamo cercato di fare Liliana ed io, collegando rigorosamente il ricordo alle leggi che progressivamente venivano emanate.
Le leggi in questo libro sono riportate direttamente, così si evitano fraintendimenti, e non permettono di mistificare o di cedere a ricostruzioni inesatte o tendenziose.
La testimonianza diretta riguarda il passato o il presente?
Liliana spesso fa riferimento all'odio e al fatto che l'odio non consente di riconoscere l'altro. Spesso ha rimarcato nei suoi incontri pubblici la differenza tra lei e chi la perseguitava: lei non odiava.
Il tema dell’odio è purtroppo molto attuale: addirittura per via dell’odio si identifica una specifica categoria, quella appunto degli haters. Il tema dell’odio riguarda anche noi, riguarda il presente, e Liliana ci invita, ci dice che è necessario che ciascuno di noi prenda posizione. La sua testimonianza è essenziale perché anche noi possiamo essere testimoni. Ci fa vedere che si può non odiare pur essendo odiati.
Lei si definirebbe un testimone? Lei visita le scuole per parlare di Giustizia e far conoscere la Costituzione
Non mi sento un testimone dei fatti e delle situazioni attraverso cui è passata la mia vita. Quando incontro i ragazzi non parlo di me o della mia esperienza, a meno che non mi venga esplicitamente richiesto. Mi sento invece testimone di punti di riferimento, testimone di metodi, di relazioni.
Incontro i ragazzi perché penso che se si vuole comunicare quel che dice la Costituzione, che ha per principio il riconoscimento dell'altro, è necessario riconoscere l'altro. Ascoltare, e quindi dialogare (che è il contrario delle lezioni frontali).
Sono convinto che educare significhi aiutare a diventare capaci di
gestire la propria libertà, e che lo si possa fare stimolando la crescita dello spirito critico.
Liliana nelle scuole ha raccontato la sua storia, la sua esperienza. Io a scuola vado per un lavoro complementare: preparo un percorso affinché i ragazzi e i bambini riescano a mettersi dentro il senso delle regole.
Entrambi, seppur per strade diverse, affrontiamo lo stesso tema, che è quello del vivere insieme. Le regole sono strumento di libertà, se partono dal riconoscimento reciproco. Liliana Segre ha vissuto oppressa da regole che imponevano il disconoscimento, la discriminazione. E qui entra in gioco un’altra importante questione, quella del capire quando le regole sono giuste.
Perché rivolgersi ai giovani? Non c’è speranza con gli adulti?
Premesso che con “La sola colpa di essere nati” ci rivolgiamo anche agli adulti, personalmente credo che siano i ragazzi a ricevere più facilmente le cose di cui parlo con loro. Gli adulti hanno un passato e sentono il bisogno di essere coerenti con quel passato. Hanno fatto tante scelte, e queste scelte in qualche misura li condizionano.
I ragazzi ne hanno fatte di meno, raramente determinanti, e sono quindi più liberi di cambiare idea, perché cambiare idea per loro non comporta mettersi in discussione.
C’è un articolo della Costituzione che Le sta più a cuore?
La Costituzione è l'articolo 3. Tutto quello che si legge nella Costituzione è stato scritto per rendere vero l'articolo 3. Lì è contenuto il principio e la fine. Se tutti noi ci riconoscessimo reciprocamente indipendentemente da genere, etnia, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali la Costituzione sarebbe realizzata. Perché ciò accada serve che diventino veri gli altri articoli, che sono specificazione o strumento per la realizzazione del principio.
L’intervistato è Gherardo Colombo: nel 2007 ha lasciato la magistratura e con l’Associazione “Sulle regole” si dedica alla riflessione pubblica sulla giustizia e nell’educazione alla legalità incontrando ogni anno 250 mila studenti. Come Liliana Segre crede nel dialogo diretto e nel potere dell’incontro come forma di educazione alla libertà.