Ageismo: gli stereotipi sull'età

I pregiudizi nel valutare una persona abbondano: uno fra questi è quello relativo all’età anagrafica (reale o presunta) del proprio interlocutore. Troppo giovane? Troppo in là con gli anni? Perché questo dovrebbe condizionarci?

ageismo

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Agesismo è l’italianizzazione del termine inglese ageism (da age = età) coniato nel 1969 dallo psichiatra statunitense Robert Neil Butle

 

Questo concetto allude a tutti quegli stereotipi che portano a idealizzare o svalutare determinate fasce di età: può riguardare tanto i giovani quanto gli anziani, sebbene, nella società attuale, siano proprio questi ultimi ad essere più spesso discriminati e trattati con pregiudizio. 

 

L’ageismo verso gli anziani

La società capitalistica post moderna annida in sé un macroscopico paradosso: se da un lato aumenta la quota di popolazione anziana (in accordo con l’innalzamento dell’aspettativa di vita e la diminuzione della natalità), dall’altro gli esponenti di questa frangia si ritrovano sempre più spesso marginalizzati e privi di quel riconoscimento di autorevolezza e rispetto che era loro riservato in passato.

 

Il modello produttivo capitalista sembra troppo spesso abbracciare schemi di lavoro incompatibili con i ritmi differenti richiesti da alcune età  o momenti della vita: tutto ha la pretesa di dover essere sempre e ad ogni costo super veloce, immediato, senza sosta.

 

Dall’altra parte nel senso comune permangono a tutt’oggi molti stereotipi e pregiudizi sull’età senile e sul ruolo sociale che le persone appartenenti a questa frangia di popolazione possono svolgere. In un’epoca che vede dilazionarsi sempre più in avanti l’inizio della terza età, sembrano permanere molti pregiudizi riguardo ciò che queste persone possono ancora dare alla società. 

 

Vige troppo spesso il cliché per il quale essere anziani equivalga a essere fisicamente e mentalmente inattivi, resistenti ai cambiamenti e incapaci di apprendere. Eppure sempre più elementi smentiscono queste attese: si pensi al ruolo fondamentale svolto da molti nonni nella pianificazione e gestione familiare dei figli; a quante persone anche in età avanzata, complice anche l’isolamento dovuto al lockdown della pandemia, imparano ad utilizzare social network e altre tecnologie digitali
 

Gli anziani: una minoranza “giovane”

Eppure questa forma di pregiudizio è molto radicata anche se meno appariscente di altre; in alcuni paesi, come la Svizzera, l’ageismo verso gli anziani supererebbe altre forme di discriminazione come il sessismo e il razzismo. Come mai avviene questo?

 

Da un lato gli  anziani vengono percepiti come un “costo” per il sistema economico e sociale, l’assurdità di tale pregiudizio è emersa in tutta la sua drammaticità nei fatti e in una certa parte del pensiero collettivo inerente alle prime fasi della pandemia da Sars CoV-2 ritenuto inizialmente un rischio sanitario solo per la popolazione anziana e anche per questo in una certa parte inizialmente sottovalutato. 

 

Dall’altro gli anziani rappresentano una minoranza relativamente “giovane”: è solo negli ultimi decenni che con il progressivo innalzamento dell’aspettativa di vita sono diventati una frangia sociale numerosa (in altre epoche coloro che arrivavano alla vecchiaia erano rari casi) e per questo esposta a discriminazione

 

Si tratta ancora quindi di una minoranza la cui difesa non appare tutt’oggi istituzionalizzata, né a livello legislativo né di movimenti collettivi. Se confrontiamo l’ageismo verso gli anziani con altre forme di discriminazione come il sessismo o il razzismo vediamo quanto queste ultime possano contare su una “visibilità” sia mediatica che culturale che il popolo della terza età ancora non ha.
 

L’ageismo verso i giovani gli “anticonformisti”

Dicevamo tuttavia che l’ageismo non riguarda solo gli anziani ma qualsiasi fascia di età. Lo sanno fin troppo bene i giovani che si trovano agli inizi di una professione e possono venir  sminuiti o ritenuti poco affidabili sulla base della propria età anagrafica considerata, stereotiplamente appunto, sinonimo di incompetenza. 

 

Nel genere femminile questo pregiudizio si combina spesso con un sessismo più o meno velato che, ritenendo una donna giovane poco competente tout court ne svaluta il ruolo professionale per dare invece risalto alla sua gradevolezza fisica. 

 

Quel che sembra più difficile e meno scontato è rispettare il fatto che la vita di ognuno ha  tempi diversi che non necessariamente devono omologarsi a quelli di un ideale percorso fatto di tappe già scandite a priori. 

 

Indubbiamente ogni età della vita ha le sue peculiarità, le sue risorse come i suoi limiti e sarebbe insano negarne le differenze e ritenere di poter far tutto in qualunque momento del ciclo di vita. Non di meno, tuttavia, esistono irrinunciabili differenze individuali che fanno sì che “il momento migliore” per fare qualcosa non possa essere omologato ma rimanga assolutamente soggettivo. 

 

Alcuni iniziano a realizzare i propri sogni solo in tarda età come accade a coloro che prendono un diploma di istruzione quando sono già nonni; molti giovani possono essere molto meno attivi dei propri nonni (un esempio fra tutti il fenomeno dell’ hikikomori), altri raggiungono determinate “tappe” secondo criteri standardizzati per poi ritrovarsi magari nella piena adultità a cambiare radicalmente la propria vita.

“Qualcuno si è laureato a 22 anni e ha trovato lavoro a 27; qualcuno si è laureato a 27 e aveva già un lavoro. C’è qualcuno che è ancora single ed ha un figlio, altri che da sposati hanno dovuto aspettare 10 anni prima di diventare genitori.
Tutto funziona secondo il nostro orologio.
Le persone possono vivere solo secondo il proprio ritmo. Può sembrare che i tuoi amici siano più avanti di te o che siano più indietro.
Però loro si trovano nel loro momento e tu nel tuo.
Vivi con pazienza. Sii forte. Credi in te stesso. Non sei in ritardo e non sei in anticipo.
Sei nel tuo tempo”.

(E. Lazzaroni)