Discriminazione razziale: vediamo di eliminarla!
Il 21 marzo si celebra la Giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale, un’occasione per riflettere sulle forme di discriminazione più subdole o strumentali che tutt’oggi sono presenti nei confronti di diversità culturali e religiose
La Giornata internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale del 21 marzo è stata istituita nel 1966 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Sembra distante il concetto di discriminazione razziale dalla nostra attuale società occidentale e teoricamente “tollerante” delle diversità.
Eppure, se non esplicitamente in nome di un desueto concetto di “razza”, ma sotto altri pretesti, come quello dell’appartenenza religiosa, oggi sono forti i fenomeni di discriminazione contro le minoranze, specie quando le comunità islamiche, o i migranti che fuggono da scenari di guerra e sbarcano sulle nostre coste, vengono visti come il “nemico” che ci minaccia.
La giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale
Il 21 marzo è una data ambigua… è la data in cui convenzionalmente entra la Primavera ed è anche la data in cui, 49 anni fa, presso la stazione di polizia di Sharpeville, in Sudafrica, si riunirono più di 5000 persone per manifestare pacificamente contro un decreto governativo che obbligava i neri ad esibire un lasciapassare per poter circolare nelle aree urbane riservate ai bianchi: la polizia represse la manifestazione sparando sulla folla e uccidendo 69 persone, tra cui donne e bambini, e ferendone più di un centinaio.
Il 21 Marzo diventa così al tempo stesso una data di vita e di morte, come di vita e morte è fatta ogni protesta, ogni rivoluzione che ha segnato la storia in cui alcuni hanno sacrificato la propria vita affinché quella di altri potesse presto o tardi essere migliore.
Le primavere di ogni rivoluzione
Tutte le rivoluzioni, le proteste e le rivolte in nome di principi, diritti umani civili e politici che vogliono cambiare un sistema in una direzione più giusta e tollerante sono delle “primavere”, delle lotte per un cambiamento, una rinascita.
E non soltanto le proteste contro le discriminazioni razziali, ma contro ogni forma di discriminazione o repressione delle libertà individuali e collettive. Basti pensare alle rivolte passate ormai alla storia con il nome di “primavere arabe” che forse troppo presto sono state dimenticate, troppo poco sono state ascoltate, ora che il vuoto lasciato dai regimi contro cui quelle proteste si levavano teme il sopravvento di minacce ben peggiori.
Eppure, nonostante il fondamentalismo Islamico stia disseminando terrore e morte anzitutto nella popolazione e nella Cultura Araba (basti pensare alla distruzione di biblioteche, siti archeologici e musei), nel nostro Paese assistiamo a preoccupanti quanto mai paradossali fenomeni xenfobi contro migranti e concittadini musulmani agendo una discriminazione razziale mascherata.
Come nasce il fondamentalismo religioso?
Se la discriminazione da razziale diventa religiosa
E’ di qualche tempo fa la notizia, riportata sul sito del Corriere della Sera, del provvedimento adottato dal preside di un Istituto scolastico di Udine che vieta alle studenti musulmane di indossare il velo in aula.
La giustificazione è la seguente: potrebbe alimentare fenomeni di discriminazione…! La colpa sarebbe dell’Isis, poiché i recenti avvenimenti avrebbero alimentato fenomeni di discriminazione, non prettamente razziale ma religiosa, mai verificatisi in precedenza; l’ultimo quello di un pestaggio da parte di uno studente italiano a carico di un compagno musulmano (che, impossibile resistere alla tentazione di puntualizzarlo, essendo di sesso maschile, non indossa certo il velo!). Il provvedimento sarebbe stato adottato in nome del fatto che, si legge nell’articolo, la scuola è “laica” e, come tale, “indifferente” ai credo religiosi.
La scuola pubblica: indifferente o garante delle diversità religiose?
Ora, l’etimologia della parola “laico” risalire al termine dal greco laikòs che rimanda, concettualmente, al popolo, alla dimensione pubblica, mondana e comunitaria della vita differentemente da chi, consacrato ad un ordine religioso, se ne tiene in disparte.
Il pubblico appunto inteso come ciò che è di tutti, compresa la scuola pubblica che dovrebbe farsi garante del rispetto delle differenze e delle identità individuali, culturali e anche religiose di tutti. Là dove il velo islamico, simbolo – che a noi piaccia o meno - di un’identità culturale e religiosa viene vietato e bollato come pretestuosa ostentazione che alimenta fenomeni di discriminazione ecco, in quel momento, la scuola abdica alla sua funzione di scuola pubblica, impone ad alcuni dei suoi studenti di nascondere la propria identità per non alimentare problemi.
Sembrano lontani i tempi dell’eclatante discriminazione razziale dell’Apartheid, marginalizzare le minoranze utilizzando il concetto di “razza” oggi è politicamente scorretto, è fuori moda, oggi occorre spogliarsi della propria identità culturale e religiosa per avere il “lasciapassare” per accedere all’istruzione pubblica? Istruzione pubblica che è di tutti solo nella misura in cui si è tutti uguali o, almeno, non troppo vistosamente diversi?
Mi chiedo come si sentiranno quelle studentesse che indossano il velo implicitamente accusate di alimentare episodi di violenza… non credo certo che se fossero costrette a toglierlo si sentirebbero più emancipate, né più libere di essere sé stesse.
Il 21 Marzo è la giornata internazionale per l'eliminazione della discriminazione razziale: sarebbe bello se tutte le ragazze andassero per una volta in classe con il velo, in segno di solidarietà con le loro compagne di Udine, forse non accadrà… forse le donne (anche velate) e gli uomini che hanno fatto la primavera araba avevano molto più coraggio di noi moderni e “indifferenti” occidentali…
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