Se Robespierre avesse avuto uno smartphone: movimenti di protesta e social network

I movimenti di protesta che hanno caratterizzato i recenti avvenimenti dalla “Primavera Araba” al movimento degli “Indignati” hanno trovato nel web, grazie ai social network, uno strumento inedito di aggregazione sociale e diffusione delle informazioni tanto fra paesi distanti ma culturalmente globalizzati, quanto all’interno di regimi politici repressivi e autoritari che ostacolano l’aggregazione e la diffusione di informazioni dirette. Quali i limiti e le potenzialità di questi strumenti?

Se Robespierre avesse avuto uno smartphone: movimenti di protesta e social network

Cosa accomuna i sanguinosi movimenti di protesta passati sotto il nome di “primavera araba” con i pacifici e apparentemente più democratizzati movimenti degli “indignati” occidentali? Non solo la crisi delle economie finanziarie attuali con ripercussioni in tutto il mondo industrializzato, ma anche il ruolo svolto in entrambi i casi da internet, e in particolare dai social network, nell’innescare e raccogliere adesioni ai movimenti di protesta.

 

Il social network nelle proteste dei nostri tempi

I limiti e le potenzialità dei social network nell’animare e organizzare i recenti movimenti di protesta sia nei paesi islamici che occidentali sono ancora tutti da chiarire. Pochi gli studi pubblicati fin ora al riguardo, certo è che si tratta di un fenomeno tutto dei nostri tempi che ha sollecitato luoghi e tempi della protesta fin ora inediti. Da un lato c’è il movimento degli “indignati” che ha assunto rapidamente connotazioni trasversali ai vari paesi dell’occidente globalizzato per riunire nella protesta le fasce giovanili più colpite dalla crisi economica mondiale consentendo loro, grazie all’adesione transnazionale sui social network, di trovare, nella protesta, un’identità e un riconoscimento sociale vacante nel sistema politico e sociale di appartenenza. Dall’altro ci sono i movimenti di protesta che nei paesi islamici hanno animato rivolte che hanno destituito regimi autoritari decennali e che grazie a facebook o twitter hanno, almeno inizialmente, aggirato le repressioni e le censure dei governi permettendo di raccogliere adesioni e diffondere un altissimo numero di informazioni.

 

Uso espressivo o informativo dei social network

Uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Cyberpsychology, Behavior, and Social Networking ha esplorato la relazione tra il tipo di utilizzo che i giovani americani fanno di social media come facebook, twitter o youtube ed il loro impegno concreto nell’adesione a movimenti di protesta al di là della rete. Ne è risultato che soltanto coloro che utilizzerebbero attivamente i social network per organizzare ed esprimere il dissenso sarebbero poi concretamente coinvolti in movimenti di protesta a differenza di coloro che si limiterebbero ad aderire passivamente a quanto offerto dal web solo a scopo informativo. Come a dire che le adesioni globali alla protesta su un social network potrebbero esprimere numeri più virtuali che reali.

 

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Adesione virtuale e impegno reale

Un'altra indagine interessante è quella condotta da David Faris, studioso in scienze politiche all’Università della Pennsylvania, sugli effetti politici dei social network nelle proteste del 6 Aprile 2008 in Egitto. Egli evidenzia quanto i social network si siano dimostrati un’opportunità inedita per creare una fonte di resilienza alla repressione autoritaria del regime, ridurre le distanze sociali e i costi di comunicazione. Tuttavia, il massimo grado di apertura di questi gruppi di protesta virtuali, dove è molto facile entrare e altrettanto facile uscire, lascerebbe un livello di impegno e attivismo reale molto basso.

I social network sarebbero un’opportunità inedita per organizzare e sostenere l’avvio di movimenti di protesta che devono però misurarsi sul campo non potendo affidarsi unicamente alle risorse virtuali per il loro mantenimento nel lungo periodo.