Autodifesa femminile: i nuovi strumenti sono così utili?
Gli strumenti di autodifesa femminile come spray urticanti o arti marziali sono davvero efficaci per la difesa delle donne e in che modo? Nessun metodo è una panacea che garantisce sicurezza assoluta, anzi, il migliore strumento di autodifesa parte da sé stesse: riconoscere la propria vulnerabilità senza negarla.
Si chiama “The Little Viper” ed è l’ultima frontiera degli strumenti di autodifesa femminile: un accessorio che all’apparenza dovrebbe sembrare un “innocuo” bracciale all’ultima moda e che invece contiene dello spray urticante per gli occhi, dello stesso genere di quello utilizzato con le famose bombolette.
Inoltre i corsi di autodifesa sono ormai una realtà ben diffusa e non più un esotico diversivo. Il gentil sesso ha imparato a difendersi e a non essere sempre così “gentile”? Eppure le cronache quotidiane non sembrano incoraggianti...
L’autodifesa femminile al polso o in borsetta
La notizia del provvido gioiello da polso che dovrebbe aiutare a garantire la sicurezza delle donne da potenziali aggressori ha fatto in breve tempo il giro del web.
Se poteva sembrarvi complesso, nel bel mezzo di un’aggressione, estrarre dalla borsetta la bomboletta di spray al peperoncino, adesso nulla di più facile: un bracciale che permette di avere sempre addosso un dispositivo di autodifesa garantendo, per non farsi mancare nulla, un design all’ultima moda.
Spray, bombolette, corsi di arti marziali.. il rischio a volte è che nel divulgare l’esistenza di questi strumenti di autodifesa femminile si passi un’idea troppo semplicistica come se la questione fosse il doversi difendere da potenziali aggressioni improvvise e incontrollabili perché potenzialmente “ovunque” (da cui l’implicito monito che uno spray al peperoncino in borsetta è buona norma perché “non si sa mai”) da cui le donne dovrebbero imparare a difendersi utilizzando strumenti, tecniche e procedure comportamentali. Tutto così semplice?
I legami patologici fondati sulla violenza
Le cronache di ogni giorno sui fatti di femminicidio e violenza di genere evidenziano quanto le donne spesso non siano nella possibilità di difendersi, non per incapacità strategica o disinformazione, ma perché spesso, nella maggior parte dei casi, invischiate in un legame affettivo o familiare con il loro abusatore che il più delle volte non è il maniaco sconosciuto pronto a saltar fuori al primo angolo di strada, ma il loro stesso partner, fidanzato, marito, ex compagno, amico o datore di lavoro.
Persone insomma che le donne vittime di violenza troppo spesso conoscono bene e con cui hanno instaurato una relazione stretta che può essere fondata su una spirale della violenza su cui si fonda un legame patologico. Gli strumenti di autodifesa possono essere utili, ma solo se si è in grado di utilizzarli.
La violenza di genere: un mostro dai mille volti
L’aggressore non sceglie a caso la sua vittima
Più in generale anche quando un’aggressione può giungere dall’esterno della cerchia di amici, partner o conoscenti, gli studi criminologici insegnano come, nella maggior parte dei casi, le violenze non siano frutto di raptus improvvisi dove si sceglie “la prima che passa”; piuttosto il criminale sceglie la sua vittima fra coloro che osserva abitualmente nello stesso luogo di lavoro, mezzo di trasporto o percorso di strada individuando quella che percepisce come “più facile”.
Prima ancora di utilizzare strumenti di autodifesa, occorre essere consapevoli che alcune caratteristiche fisiche, il proprio genere e determinati comportamenti possono influenzare la propria vulnerabilità a diventare vittime designate di potenziali aggressioni.
Riconoscersi vulnerabili per imparare a difendersi
Ed è proprio il riconoscimento della propria vulnerabilità, in quanto donne se parliamo di violenza di genere, a rivelarsi fondamentale nell’efficacia dell’utilizzo di strumenti di autodifesa femminile.
Uno studio condotto negli anni ’99 – 200 presso le bambine di alcune scuole elementari di Milano rivelava quanto, fin da questa età, il coinvolgimento in un intervento di prevenzione fosse maggiore là dove si modificasse la percezione della propria vulnerabilità.
Le bambine che potevano utilizzare al meglio informazioni e strumenti loro suggeriti erano coloro che più realisticamente si riconoscevano come potenziali vittime.
Autodifesa o illusione di essere invulnerabili?
Se invece si nega la propria vulnerabilità sopravvalutando le proprie possibilità di autodifesa, anche il possesso di strumenti di autodifesa può rivelarsi paradossalmente rischioso.
Da un lato perché acquistare un bracciale/bomboletta di spray urticante o imparare tecniche fisiche di autodifesa senza prender mai contatto con la reale e concreta possibilità che queste possano servire “davvero” rischia di lasciare la vittima in una condizione di paralisi al momento dell’aggressione non consentendole di utilizzare alcun che.
Dall’altro perché, negare la propria vulnerabilità (in quanto donne, in quanto donne esposte a situazioni rischiose dove poter cadere facilmente vittime di aggressori sconosciuti o familiari) implica sottovalutare segnali di allarme ed esporsi maggiormente a situazioni di rischio; se gli strumenti di autodifesa vengono percepiti come una sorta di panacea nell’illusione che servano a garantire una sorta di inverosimile “invulnerabilità” possono concorrere paradossalmente alla sottovalutazione dei rischi.
Usare consapevolmente gli strumenti di autodifesa
Niente contro spray urticanti o corsi di autodifesa, ma la maggior difficoltà non sta nell’imparare tecnicamente “come si fa” ad utilizzarli, ma nel riconoscere di poterne avere “realmente” bisogno in quanto donne e quindi, sotto certi aspetti, maggiormente vulnerabili ad aggressioni o violenze.
Culturalmente le donne sono ancora fin troppo abituate a considerarsi esponenti del “gentil sesso” a cui non competono l’uso della forza, l’attacco e la difesa.
Ma è proprio la loro vulnerabilità fisica e psicologica a dover diventare la maggior fonte motivazionale dell’uso strategico, responsabile e consapevole degli strumenti di autodifesa.