Meccanismi psicologici dell'omofobia
L’omofobia si esprime sia su un versante emotivo-irrazionale che su uno cognitivo-ideologico. Cosa scatta nella mente di chi rifiuta il “diverso”? Si può parlare, davvero, di "diverso"?
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Nel suo libro Omofobia. Storia e critica di un pregiudizio (Dedalo, 2009), Daniel Borrillo, giurista e accademico argentino specializzato in diritto delle persone omosessuali, affronta la questione dell’omofobia da una pluralità di punti di vista: terminologico, storico-politico, religioso, antropologico, medico.
Ne emerge per il lettore una questione sicuramente meno scontata (e più interessante) di come solitamente viene trattata nel senso comune, che offre interessanti spunti di riflessione per tutti (a prescindere dal proprio personale orientamento sessuale e dalla propria tolleranza/intolleranza nei confronti di esso o di quello altrui). Vediamo di cogliere qualche spunto…
Omofobia: cosa si intende
Nel senso più letterale del termine, l’omofobia fa riferimento ad un atteggiamento di paura irrazionale (fobica appunto) nei confronti di persone (donne e uomini) che intrattengano relazioni sentimentali-sessuali con persone dello stesso sesso.
Tale atteggiamento non viene però sperimentato ed espresso su un piano esclusivamente emotivo, ma diventa matrice di molteplici forme di razionalizzazioni, negazioni e intellettualizzazioni che hanno prodotto teorie e ideologie a sostegno dell’ostracismo contro gli omosessuali di cui il retaggio giuridico, religioso e culturale dei paesi occidentali è ancora in vario modo contaminato.
E, in tal senso, si evidenzia anche un’altra caratteristica dell’omofobia: il fatto cioè che tale atteggiamento pregiudizievole possa esprimersi non solo sul piano individuale ma collettivo/sociale con manifestazioni spesso incoerenti e contraddittorie quando non del tutto scisse. Ricordate la famigerata espressione “ma io ho molti amici omosessuali!”?... Non è così diverso in fondo da certe manifestazioni di sessismo benevolo: quelle forme di discriminazione agite verso le donne in modo inconsapevole da persone che si dichiarano a favore della parità dei sessi.
Ma perché l’omosessualità, quale espressione della sessualità e dell’affettività umana, viene presa così facilmente a pretesto per agire un’intolleranza violenta verso il diverso?
Omofobia e patriarcato
Borrillo, fra le varie questioni affrontate nel suo libro, ne evidenzia una che, con le dovute differenze epocali, fa in un certo senso da trait d’union fra le origini giudaico-cristiane delle società patriarcali e le parziali conquiste rivendicate dagli anni '70 in poi tanto dal movimento femminista, quanto da quello delle comunità gay e più in generale dal mondo LGBT (chi fosse curioso ne trova una più che riuscita testimonianza nel film Milk del 2008 per la regia di Gus Van Sant): la gerarchizzazione fra i generi come base per l’ordine sociale, politico, familiare.
Se le pratiche omosessuali erano qualcosa di noto e ritenuto non solo normale ma auspicabile nel mondo antico (sebbene mai considerate esclusive rispetto al matrimonio tradizionale) è con le società patriarcali giudaico-cristiane, osserva Borrillo, che la struttura sociale di stampo patriarcale viene definitivamente a fondarsi sulla differenza e la disuguaglianza fra i generi là dove a uomini e donne vengono riconosciuti differenti (e ineguali) diritti, doveri e ambiti di competenza su cui si fonda l’ordinamento giuridico, sociale e antropologico della vita individuale e collettiva.
In questo senso, i due generi vengono stereotipalmente a definirsi in funzione del loro opposto: il maschile è tale perché epurato di quelle qualità emotive e intuitive considerate segno di inammissibile vulnerabilità e per questo ricondotte unicamente al femminile dove le donne – in tale panorama – si definiscono come tali in funzione della propria capacità riproduttiva e della propria subordinazione all’uomo.
Questa spietata, e a tratti grottesca, differenziazione dei ruoli di genere (che poco hanno a che fare col sesso biologico) è ciò che tuttavia ha connotato la cultura patriarcale per millenni e che tutt’oggi mantiene, in forme sfumate e larvate, concezioni semplificanti dei ruoli di genere che rischiano di sminuire entrambi i sessi.
L’omosessualità, considerata alla luce di questa prospettiva, ha rappresentato una potenziale messa in discussione di tale ordine gerarchico della cose proponendo, in senso culturale, una visione della sessualità e dell’affettività svincolata dalla procreazione e da un disequilibrio di poteri fra uomo e donna.
Per questi motivi, secondo l’Autore, l’omofobia ha molto in comune col sessismo e la misoginia.
Tanto i movimenti per i diritti degli omosessuali, quanto il femminismo (che si crede erroneamente sia affare solo delle donne) nel rivendicare il diritto alla libertà sessuale/sentimentale, rivendicano, più o meno direttamente, anche uno stato di diritto che prescinda dai ruoli sessuali e di genere (eppure quanta giurisprudenza è stata e sarà ancora occupata delle discriminazioni che avvengono sul lavoro a causa dell’orientamento sessuale o del genere – solitamente essere donne e/o madri – delle persone?).
Omofobia e paura del “diverso”
Oltre che ad una dimensione sociale e politica, l’omofobia si rifà anche ad una dimensione più privata, individuale in cui ognuno può incontrare o rifiutare aspetti potenziali e multiformi della sessualità umana.
Per gli antichi greci e romani l’omosessualità – molto più spesso per gli uomini ma non di rado anche per le donne – era la norma. Sebbene essa venisse principalmente vissuta come dimensione preparatoria alla vita matrimoniale o a latere di essa, ciò non di meno rendeva per queste persone del tutto naturale considerare tanto una persona del sesso opposto, quanto una del proprio sesso, un potenziale partner sessuale (a prescindere che lo diventasse o meno nel concreto).
L’omofobia è invece un atteggiamento pregiudizievole che rende l’omosessualità impensabile, nel senso che mancano le categorie mentali per considerarla ammissibile nella sfera della sessualità umana. Questo rende facilmente le persone omosessuali vittime di stigma perché si finisce facilmente per marginalizzare ciò che non si conosce, ciò che è considerato “diverso” e per questo più facilmente identificato come nemico da combattere.
In questa accezione l’omosessualità è un meccanismo psicologico che ha diverse affinità con la xenofobia (sulla base dell’orientamento sessuale l’una, dell’etnia o colore della pelle l’altra).
Secondo alcune teorie (prettamente di matrice freudiana) e alcune recenti ricerche che pretenderebbero di “dimostrarle” (Weinstein N. et al., 2012), l’omofobia potrebbe in alcuni casi esprimere un rifiuto per una propria tendenza omosessuale non riconosciuta. Non è così irrealistico che per alcune persone ciò possa a volte essere vero anche a causa dell’omofobia stessa e delle frequenti discriminazioni/rifiuti a cui le persone omosessuali possono andare incontro sia in famiglia che nella società civile.
È stato osservato quanto tutto questo possa alimentare nelle persone omosessuali, o che ancora non riconoscono pienamente di esserlo, una sorta di interiorizzazione dell’odio verso sé stessi (guardano sé stessi con lo stesso sguardo discriminatorio degli altri, un meccanismo per certi versi simile all’auto-oggettivazione) che le portano ad agire un efferato odio/aggressività verso le persone che con la propria omosessualità manifesta le confrontano con aspetti odiati e rifiutati di sé stessi.
La questione omofobica
Quel che appare chiaro a chi riconosce di avere un orientamento omosessuale - in modo non tanto diverso da chi è afroamericano o è donna o appartiene a qualunque altra forma di “atavica” minoranza – è che a prescindere dal tipo di famiglia e società in cui avrà in sorte di crescere e vivere (elementi che fanno indubbiamente la differenza) dovrà incontrare e confrontarsi – più o meno apertamente – con la dimensione del pregiudizio altrui, sia esso attuale o relativo al passato sociopolitico del mondo in cui vive.
Una questione che, sostiene Borrillo, ha contribuito a spostare gradualmente il dibattito scientifico e intellettuale dalla questione omosessuale alla questione omofobica. Quanto sia urgente occuparsi di questo è evidenziano d’altra parte anche gli studi scientifici effettuati sulle famiglie omogenitoriali: l’unico elemento che può porre realmente questi bambini in una posizione di difficoltà o svantaggio non è l’avere due mamme o due papà (che non risultano per questo avere competenze genitoriali differenti o minoritarie), ma la dimensione di stigma e pregiudizio con cui spesso si trovano a confrontarsi (Baiocco et al, 2013; Weber, 2010; Short et al., 2007).
“La saggezza è saper stare con la differenza senza voler eliminare la differenza”.
(Gregory Bateson).
Bibliografia
Baiocco R., Santamaria F., Ioverno S., Petracca C., Biondi P., Laghi F. & Mazzoni S. (2013), Famiglie composte da genitori gay e lesbiche e famiglie composte da genitori eterosessuali: benessere dei bambini, impegno nella relazione e soddisfazione diadica, Infanzia e adolescenza, 12 (2): 99-112.
Borrillo D. (2009), Omofobia. Storia e critica di un pregiudizio, Dedalo, Bari.
Short E, Riggs DW, Perlesz A, Brown R, Kane G (2007), Lesbian, Gay, Bisexual and Transgender (LGBT) Parented Families, The Australian Psychological Society Ltd.
Weber S (2010), Nursing Care of Families With Parents Who Are Lesbian, Gay, Bisexual, or Transgender, Journal of Child and Adolescent Psychiatric Nursing, 23 (1): 11-16.
Weinstein N., Ryan W.S., Dehaan C.R., Przybylski A.K., Legate N. & Ryan R.M. (2012), Parental autonomy support and discrepancies between implicit and explicit sexual identities: dynamics of self-acceptance and defense, Journal of Personality and Social Psychology, 102(4):815-32.