La separazione: la fine è il nuovo inizio
Difficile credere, nel momento dell’abbandono e della separazione da una persona per noi significativa, che si stia tracciando e battendo un nuovo inizio per la nostra vita.
E’ difficile crederlo, ma vale la pena provarci, perché è così che accadrà. Sebbene ci sia una quota inevitabile di dolore da dover attraversare.
La fine è proprio l’inizio
Il mondo che fino ad un minuto prima ci sembrava familiare, noto, conosciuto; un mondo in cui sapevamo come muoverci, probabilmente anche con convinzione e precisione; con mete e obiettivi definiti, con mezzi chiari che ben sapevamo usare; improvvisamente ci appare incerto, insicuro, minaccioso.
La terra sotto i piedi sparisce, tutto intorno è vuoto, buio. E il buio si sa, fa paura. Ci troviamo in una terra straniera, circondati da stranieri, la familiarità dell’attimo prima si è disintegrata, distrutta, frantumata.
Ci sentiamo sperduti, senza patria. Smarriti, angosciati, ansiosi. Il vuoto si apre sotto i piedi e intorno a noi. Nulla di più concreto dentro e fuori di noi se non quell’immediata fine, dov’è la presunta bellezza di un nuovo inizio? Possibile che la rottura di una relazione porti emozioni così forti?
Come affrontarle e viverla al meglio per iniziare di nuovo, davvero? In fondo, come diceva Lao Tze, “Quella che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo la chiama farfalla”.
Il lutto: elaborando per tappe
Ognuno di noi vive ed affronta diversamente la fine di una storia. Da lì sicuramente inizia una fase di elaborazione di un lutto, della perdita e separazione, appunto. Importante dire che non c’è un tempo preciso di elaborazione, non c’è uno scadere del tempo. Ci sono solo passaggi e stagioni del cuore da attraversare per arrivare a quello che si trova oltre il punto di dolore in cui inizialmente ci troviamo.
In fondo, perdere una persona non è semplicemente perdere chi era fuori di noi, ma è perdere anche una parte di noi. Ed è forse questa la sfida più grande in una separazione.
Molti autori hanno studiato il percorso di elaborazione di un lutto. Fra questi, Elisabeth Kübler Ross si interessò alle cinque fasi di elaborazione del lutto per i malati terminali, ma la comunità psicoterapeutica le ritenne adatte per qualunque elaborazione di una perdita.
Il cammino che conduce al nuovo inizio parte da uno stato di negazione, di rifiuto dell’abbandono: la nostra mente ci difende dall’accaduto, dalla drastica e dolorosa concretezza della realtà. La nostra mente sembra non credere che quei luoghi prima vissuti con la persona amata, siano ora uno scenario da non poter più condividere, le aspettative e i progetti cancellati come gesso sulla lavagna, tramontate con l’ultimo sole dietro la linea dell’orizzonte.
Superare l'abbandono si può?
Questa prima fase, come già detto, ha una durata variabile per ogni persona. Orientativamente può durare qualche giorno, il tempo necessario per accorgersi che la vita sta continuando, a quel punto sopraggiunge la rabbia. Ci potremmo sentire nuovamente energici in questa fase, ma è un’energia che nasce dal senso di abbandono, quindi scura e minacciosa.
Alle volte può capitare di dirigere questa rabbia verso tutto e tutti, verso la felicità altrui, verso sconosciuti. Alle volte, invece, verso la persona amata che ci ha abbandonato. In questo senso può emergere anche un senso di colpa, per l’ambivalenza dei sentimenti provati verso la persona cara.
Alle volte invece, i destinatari di questa rabbia siamo noi, ci diamo addosso colpevolizzandoci per non aver saputo ascoltare, per non aver saputo capire. Alle volte corriamo dietro la persona che ci ha lasciato, per mostrarle in quanti pezzi è stato spezzato il nostro cuore: non solo non è una soluzione, ma diviene estremamente disfunzionale poiché ha l’effetto di farla allontanare ancora di più da noi.
Dimentichiamo infatti che spesso mettiamo nell’altro ciò che avremmo voluto vedere. È sano, a questo punto, per la nostra ripresa tentare di ripulire questa rabbia: scrivere è un ottimo modo per farlo.
Lo step successivo è il patteggiamento: ci tempestiamo la mente di “se solo..”, “e se…”, per rimediare alle nostre e altrui mancanze. Cosa avremmo potuto fare e come avremmo potuto riparare per evitare che l’indesiderato accadesse.
Questo fase ci aiuta a riprendere in mano la nostra vita e le responsabilità delle nostre scelte ed azioni, nel contempo però ci porta ancora al passato, indietro nel tempo, riparare un amore che però nella realtà è già finito. In questa fase il passato ci lega a sé nell’illusione di poterlo cambiare, ma come è logico che sia il passato non può essere cambiato.
Arriva anche il momento del dolore, in questa condizione spesso sembriamo guardare le macerie della nostra storia come un disastroso splendore. In questa fase possiamo allenare il nostro cuore ad avere a che fare con il dolore, il dolore non guarisce, il dolore decanta. In questo passaggio, l’unica cosa che possiamo fare è generalmente ripartire da noi, nello spaesamento, del deserto, in quella terra desertica, arida, asciutta, secca che non ci scalda, né che dolcemente ci emoziona, l’unica possibilità costruttiva è ripartire da noi stessi.
Se nulla intorno a noi sembra poter avere un senso, l’unico senso che possiamo trovare siamo noi, l'unico senso è il nostro desiderio. In questo passaggio spesso si evita di pensare a lei/lui o a ciò che eravamo noi insieme, ma evitare i posti che si frequentavano insieme, così come le cose che si facevano insieme e le persone che si vedevano, ha l’unico effetto di mantenerci legati alla persona assente. Non è semplicemente il tempo la medicina, ma è ciò che accade in questo tempo: è il modo in cui si vive il dolore. E’ il dolore stesso, la medicina: “L’unico modo per venirne fuori è passarci in mezzo” (Frost).
L’ultimo passaggio è l’accettazione, caratterizzato dall’integrazione con la nostra vita, di ciò che ora non è più oscuro ma illuminato e conosciuto attraverso lo stesso percorso. Ci riappropriamo delle nostre risorse, ne abbiamo nel mentre scoperte di nuove, ci siamo aperti e ci apriamo a nuove esperienze e sensazioni piacevoli che affiancheranno quelle dolorose fino a sostituirle.
Il lutto: se le nostre sole forze non bastano
Questo insieme di reazioni emotive, ovviamente, non è totalmente dominabile da noi a nostro gusto e piacimento. Alle volte può capitare di restare bloccati in qualcuna delle nostre fasi e a livello fisico cioè può provocare delle reazioni quali: insonnia, perdita del senso di appetito, mal di testa, nausea, situazioni di abuso di sostanze (es. aclool, sigarette, ecc.) e anche di medicinali. A livello psicologico invece si possono avere improvvise crisi di pianto, senso di affaticamento mentale e confusione, rabbia, rancore, sensi di colpa, depressione, apatia.
Ovviamente quando le nostre risorse personali e quelle di chi ci sta accanto non sono sufficienti, è opportuno chiedere un aiuto psicologico, soprattutto ciò è utile quando provate incapacità di concentrazione o di lavorare, disinteresse per qualsiasi cosa, ritiro in se stessi, perdita di autostima, senso di colpa ingiustificato, pensieri di autosvalutazione, visione pessimistica del futuro, perdita di interesse per lo studio o il lavoro, perdita di interesse per la vita, incapacità ad avere iniziative, mancanza di progettualità, senso di solitudine e di abbandono.