Drop-out, quando il paziente abbandona la terapia
Per tanti motivi possiamo interrompere un percorso psicoterapeuto e non significa che questo sia per forza un fallimento. Tutt'altro.
Credit foto
©melitas / 123rf.com
I casi di drop out hanno rappresentato materia di studio fin dagli albori della ricerca sugli esiti delle psicoterapie.
Se inizialmente si tendeva a considerare queste premature interruzioni come fallimenti terapeutici, i dati empirici hanno rivelato che non si tratta solo di questo: alle volte anche un’interruzione prematura può accompagnarsi comunque a dei risultati, parziali, ma non per questo meno importanti (Freni, 1998). Vediamo perché e cosa emerge dal punto di vista di terapeuti e pazienti.
Drop out: uno o molti?
La conclusione “perfetta” in una psicoterapia non esiste, sebbene in letteratura siano moltissime le categorie con cui i terapeuti e i ricercatori hanno provato a classificare le modalità con cui un processo terapeutico può avere fine, potremmo forse più onestamente dire che esistono tante modalità di conclusione quanti sono i pazienti.
Questo perché ogni aspetto di una psicoterapia, comprese le sue battute finali, ha un significato anche e irrinunciabilmente in relazione alla specificità di ogni singola persona e di ogni singola coppia terapeutica. Così come non esistono due pazienti uguali, non esistono due psicoterapie uguali.
E anche i casi uniformemente descritti in letteratura come drop out appaiono in realtà come una categoria tutt’altro che omogenea. Come dire: ci sono molto modi in cui una psicoterapia può essere conclusa e/o interrotta…
Il drop out dal punto di vista dei clinici
I primi studi scientifici sulla conclusione della psicoterapia furono proprio rivolti ai casi di drop out e rivelarono come tale fenomeno fosse tutt’altro che sporadico. Infatti, trasversalmente a diversi setting, dal privato al pubblico alle cliniche universitarie, molte psicoterapie risultavano concludersi prematuramente.
In particolare la meta-analisi condotta da Wierzbicki e Pekarik (1993) rilevava che i casi di interruzione prematura sfiorassero quasi il 50%. Ma cosa e perché portava questi percorsi terapeutici a interrompersi pria del tempo?
Poiché era piuttosto difficile trovare ex pazienti disposti a farsi intervistare riguardo al percorso terapeutico da essi interrotto, questi studi iniziali si fondavano sui resoconti dei terapeuti riportando dunque un punto di vista competente ma inevitabilmente parziale sul fenomeno. Dal punto di vista dei clinici, infatti, queste interruzioni premature erano considerate prevalentemente come esiti fallimentari, variamente connessi alle resistenze dei pazienti e di cui non era possibile valutare i risultati (Rosenbaum, & Horowitz, 1983; Lane,1984).
Il drop out dal punto di vista dei pazienti
Le cose sono diventate decisamente più interessanti quando i ricercatori hanno iniziato a esplorare anche il punto di vista dei pazienti o, meglio, di quegli ex pazienti che avevano abbandonato la terapia.
I primi studi pionieristici intrapresi, proprio con l’intento di intervistare specificatamente i clienti in merito al drop out, furono quelli di Garfield (1963), Acosta (1980) e Pekarik (1983). Da questi tre studi, infatti, emergeva piuttosto concordemente come, fra i clienti che avevano interrotto i trattamenti, le principali motivazioni da essi riportate fossero non soltanto l’insoddisfazione verso la terapia, ma anche la presenza di fattori esterni ostacolanti o, al contrario, la percezione di aver effettivamente ottenuto dei miglioramenti contraddicendo, con questo, quella che era la diffusa concezione, fra i professionisti, del drop out come esito obbligato di un fallimento terapeutico.
I drop out non sono tutti uguali
In relazione a quanto sopra affermato, risulta particolarmente interessante lo studio di Hynan (1990) che esplora le differenze tra drop out precoci e tardivi nel corso del trattamento proponendosi, inoltre, di valutare anche le percezioni dei clienti riguardo ai terapeuti.
Coloro che avevano interrotto precocemente adducevano, più frequentemente degli altri, impedimenti dovuti a situazioni esterne o insoddisfazione verso la terapia; quanti invece avevano terminato in una fase più avanzata del trattamento si riferivano maggiormente ai miglioramenti ottenuti.
Inoltre in questo secondo gruppo si rilevavano sentimenti maggiormente positivi nei confronti dei terapeuti nei termini di rispetto percepito, calore emotivo e competenza professionale. Fattori, questi, indicativi comunque del fatto che nel corso del trattamento si fosse instaurata una positiva alleanza terapeutica.
In un altro studio condotto da Pekarik (1992), i casi di drop out sono stati confrontati con quelli in cui la conclusione è avvenuta a completamento della psicoterapia. Nei soggetti interpellati in questo studio è emerso che ad esempio un miglioramento sintomatologico era riferito sia da quanti avevano completato il percorso sia da una parte di coloro che lo avevano interrotto. Non tutti i drop out dunque erano motivati dagli ex pazienti con l’insoddisfazione verso la terapia, in alcuni era proprio l’aver ottenuto in miglioramento sintomatologico ad aver portato alla chiusura prematura del percorso.
Ma non solo, alcuni casi di interruzioni non sembrano neanche poter essere inquadrati come veri e propri drop out, ma configurarsi più come conclusioni “sospese”. Questi percorsi sono, a detta dei pazienti, riusciti e soddisfacenti ma si ha reticenza a effettuare una o più sedute conclusive preferendo lasciare in sospeso non tanto il raggiungimento dei risultati quanto la conclusione stessa della terapia.
È come se questi pazienti con il proprio terapeuta faticassero per dirsi addio un’ultima volta e preferissero andar via lasciando il terapeuta in attesa di un ultimo momento di commiato (Grasso & Rubano, 2011).
Conclusioni, saluti e nuovi inizi
In conclusione dunque dietro ai casi di drop out sembrano esservi motivazioni variegate fra le quali anche un miglioramento nella stessa sintomatologia iniziale, contraddicendo la vecchia concezione che associava i casi di interruzione a fallimenti terapeutici.
Questo risultato apparentemente paradossale sembra possa riferirsi non tanto all’assenza di risultati soddisfacenti, quanto a specifiche difficoltà dei clienti ad affrontare la fase conclusiva e con essa una sana separazione.
Eppure è ancora una volta la ricerca empirica che evidenzia quanto pregiudizievoli siano le aspettative tristi e luttuose sulla conclusione di una terapia ben riuscita e come invece questa fase terminale, se elaborata con presenza e consapevolezza nelle relazione terapeutica, possa rappresentare un’ulteriore fonte di arricchimento in merito ai risultati raggiunti.
In riferimento a questo, alcuni contributi di ricerca (Marx, & Gelso, 1987; Boyer e Hoffman, 1993; Roe, Dekel, Harel & Fenning, 2006) mettono in evidenza come, in relazione alla conclusione della terapia, spesso vengano riferite dai pazienti sensazioni positive di gioia, riconoscenza o desiderio di fare nuove esperienze.
Bibliografia
Acosta, F.X. (1980). Self-described reasons for premature termination of psychotherapy by Mexican American, Black American, and Anglo-American patients. Psychological Reports, 47, 435-443.
Boyer, S.P., & Hoffman, M.N. (1993). Counselor Affective Reactions to Termination: Impact of Counselor Loss History and Perceived Client Sensitivity to Loss. Journal of Counseling Psychology, 40 (3), 271-277.
Freni, S. (1998). Editoriale: Perché un’ennesima rivista? Ricerca in Psicoterapia, 1, http://www.isuri.net/lab51.html
Garfield, S.L. (1963). A note on patients’ reasons for terminating therapy. Psychological Reports, 13, 38.
Grasso, M. , & Rubano, C. (2011). Il tabù della separazione in psicoterapia: Una Grounded Theory del punto di vista dei pazienti sulla conclusione dell’esperienza psicoterapeutica. Giornale di Psicologia, 5 (1-2), 68-84.
Hynan, D.J. (1990). Client reasons and experiences in treatment that influence termination of psychotherapy. Journal of Clinical Psychology, 46 (6), 891-895.
Lane, R.C. (1984). The difficult patient, resistance, and the negative therapeuting reaction: A review of the literature. Current issues in psychoanalytic practice, 1 (4), 83-106.
Marx, J.A., & Gelso, C.J. (1987). Termination of individual counseling in a university counseling center. Journal of Counseling Psychology, 34 (1), 3-9.
Pekarik, G. (1983). Improvement in clients who have given different reasons for dropping out of treatment. Journal of Clinical Psychology, 39, 909-913.
Pekarik, G. (1992). Relationship of clients’ reasons for dropping out of treatment to outcome and satisfaction. Journal of Clinical Psychology,48 (1), 91-98.
Roe, D., Dekel, R., Harel, G., Fenning, S., & Fenning, S. (2006). Client’s feeling during termination of psychodynamically oriented psychotherapy. Bulletin of Menninger Clinic, 70 (1), 68-81.
Rosenbaum, R., & Horowitz, M. (1983). Motivation for psychotherapy. Psychotherapy: Theory, Research and Practice, 20, 36-354.
Wierzbicki, M., & Pekarik, G. (1993). A meta-analysis of psychotherapy dropout. Professional Psychology: Research and Practice, 24, 190-195.