La speranza è un farmaco?

La speranza è l'ultima a morire. In queste poche parole sono rinchiuse l'energia, la forza, la motivazione che chi vive con fiducia ha e può spendere nei processi di cambiamento e sofferenza.

La speranza è un farmaco?

Nel mito di Pandora, Elpis (speranza) è l’ultima dea a uscire dal vaso per alleviare tutti i mali precedentemente usciti e posati sugli uomini. La speranza, fin dai tempi antichi, è considerata un dono prezioso che aiuta ad affrontare le avversità donando maggiore serenità in caso di sofferenza.

L’affermazione comune “la speranza è l’ultima a morire” rende l’idea di una caratteristica umana che spinge a lottare di fronte agli ostacoli e sofferenze fino alla fine dando motivazione ed energia positiva.

 

La speranza nei contesti di cura

La speranza è stata definita in ambito psicologico da Menninger (1959) come “un’aspettativa positiva di ottenimento di un obiettivo”. Ovvero qualcosa che fa vedere, o almeno credere possibile, il raggiungimento dello scopo che nella malattia sono il miglioramento dei sintomi e la guarigione.

Un alto livello di speranza rende il soggetto maggiormente capace di affrontare gli impedimenti, visti come opportunità e spinge alla ricerca nuove strategie per raggiungere lo scopo (Snyder, 1994). Genera miglior funzionamento psicosociale, maggiore resilienza e capacità di affrontare lo stress e strategie di coping più funzionali con esito positivo sul benessere, soddisfazione e qualità della vita.

Nei soggetti con malattie mentali, anche gravi, l’avere speranza aumenta il coinvolgimento nel processo di cura, migliora il supporto sociale e il senso di autoefficacia, aprendo spiragli verso la guarigione e riducendo l’insorgere di altre problematiche (come relazionali, depressione e ansia…).

 

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La speranza è un farmaco?

Il neuroscienziato e professore dell’università di Torino Fabrizio Benedetti con le sue ricerche sul funzionamento neurale ha dimostrato gli effetti fisiologici delle parole e della speranza sui circuiti neurali.

Nello specifico essi attivano circuiti analoghi a quelli dei farmaci, avendo un effetto placebo, implicando due meccanismi (Benedetti, 2018):

- l’aspettativa: la speranza e anticipazione di una riduzione dei sintomi (evento piacevole) attiva il circuito cerebrale della ricompensa che anticipa l’evento piacevole e quindi riduce il dolore. Ad esempio la riduzione dell’ansia per l’aspettativa di riduzione dei sintomi, riduce la percezione di dolore.

- l’apprendimento: l’associazione continua tra una condizione neutra (es. visione del medico) e una risposta positiva (riduzione dei sintomi con il farmaco) rende la prima sufficiente a generare l’evento desiderato (anche senza farmaco). Quindi la condizione neutra, nel tempo scaturisce una risposta di benessere.

Questi due elementi possono entrare in gioco in relazioni terapeutiche di qualsiasi tipo e attivare gli stessi circuiti neurali dei farmaci.

 

Il circuito neurale della speranza

Le vie cerebrali della speranza coinvolgono aree prefrontali e aree profonde come sistema limbico e tronco encefalico. La loro attivazione per mezzo di parole, aspettative, speranza e sentimenti di fiducia verso la terapia e terapeuta determina la produzione di oppioidi e cannabinoidi. Queste sostanze simili alla morfina e oppio sono antidolorifici naturali che riducono il dolore vissuto.

L’attivazione della farmacia interna del cervello e successiva riduzione, dona ulteriore speranza e incrementa il coinvolgimento nel processo di cura.

 

Relazione terapeutica e speranza

Gli effetti neurobiologici di parole e vissuto di speranza sono rilevanti nel processo di cura, riducono l’utilizzo di farmaci antidolorifici o ne aumentano gli effetti e aumentano la compliance nella terapia.

In psicoterapia, ad esempio, il primo elemento terapeutico è proprio una buona relazione poiché in essa sono veicolati sentimenti di speranza, accoglienza, supporto e pensieri positivi che “alleggeriscono” la sofferenza del paziente che si può affidare e progettare un cambiamento.

Costruire un rapporto di fiducia con l’assistito è un processo che richiede tempo ed energia ma che sicuramente ha effetti positivi sulla qualità della vita e sul benessere.

Chi lavora con la sofferenza, sia medico, infermiere, psicologo o altro deve imparare ad accogliere il bisogno dell’assistito e donare speranza. Vivere un percorso di terapia con positività e aspettativa di miglioramento ha effetti maggiormente positivi di chi lo affronta senza alcuna speranza e negatività.

Quindi sì, la speranza è un farmaco che ha effetto placebo potente e supporta i processi di cura classici, senza comunque sostituirsi ad essi.

Foto: sifotography / 123RF Archivio Fotografico

 

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