Misoginia: un pericoloso gioco di specchi
“Tutto ciò che ci irrita negli altri, può portarci a capire noi stessi” diceva Jung…. La misoginia ben si adatta a questo principio. Molti sono gli uomini (ma anche alcune donne) che manifestano avversione e un complementare desiderio di dominazione nei confronti del femminile.
Il misogino odia tutte le donne e nessuna in particolare. Il gentil sesso è solo una proiezione incarnata del suo femminile interno, quella parte della propria psiche che l’uomo rifiuta di sé stesso.
Ricorderete la saga di Stieg Larsson dal titolo evocativo “Uomini che odiano le donne” ... Esistono davvero uomini che odiano le donne?
La misoginia non si incarna necessariamente in efferati atti di violenza, rappresenta piuttosto un atteggiamento di fondo, più sfumato o più accentuato, con il quale alcuni uomini manifestano disprezzo nei confronti delle donne.
E’ misogino colui che sottovaluta, disistima e svilisce le donne, fisicamente o psicologicamente, ritenendole inferiori e di poco contro in quanto donne, in virtù cioè del proprio sesso biologico.
Se pensate tuttavia che basti una spiegazione scientifica e ragionata a convincere un misogino che sta sbagliando non ne caverete un ragno dal buco! Vediamo perché.
La misoginia come rifiuto della propria “anima”
Jung sosteneva che nella psiche di ognuno di noi esistono due componenti, due energie differenti: il maschile (animus) e il femminile (anima). Nell’uomo e nella donna sarà uno dei due e prevalere mentre l’altra parte rimarrà sullo sfondo.
Le persone sane e emotivamente adulte, in grado di vivere una vita soddisfacente, di godere sia della propria solitudine che della compagnia di un’altra persona, sono quelle che riescono a raggiungere una virtuosa integrazione fra queste due anime della psiche.
Un uomo che abbia integrato al propria parte anima è ad esempio colui che non nega le proprie vulnerabilità, che può esprimere emozioni e calore negli affetti, che può prendersi cura delle cose e delle persone a cui tiene senza rinunciare alla propria assertività, agli elementi di competitività e combattività che sostanziano la sua agentività nel mondo.
Se invece le proprie componenti femminili, la propria “anima”, sono relegate nell’inconscio e rifiutate è facile che vangano proiettate sulle donne in carne e ossa che si incontrano nella vita adulta. Il misogino è colui che odia le donne perché proietta si di esse il proprio femminile interno rifiutato e disprezzato.
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Integrare o rifiutare caratteristiche del sesso opposto
La donna che ci si porta dentro è, si è soliti dire, simile alla propria madre… Attenzione, simile non vuol dire uguale. Fra la madre reale e quella fantasmatizzata – cioè la rappresentazione psichica di essa – c’è differenza.
Non è la madre in carne e ossa, ma il vissuto soggettivo della propria madre che ogni uomo (come ogni donna) porta dentro di sé. Il modo in cui egli, fin da bambino, si è sentito rispecchiato o disconfermato dalla propria madre, il modo in cui egli ha vissuto le attenzioni di lei.
Diventare adulti richiede di confrontarsi con nuovi e differenti modelli di maschile e di femminile e “rivisitare” quei modelli interiorizzati delle figure genitoriali al fine di renderli più malleabili e poter cogliere, del sesso opposto, qualità e caratteristiche che si possano integrare nel proprio modo di essere.
Pensate, per esempio, ad un pittore o ad un musicista che integra qualità creative ed estetiche, tipicamente associate ad una sensibilità femminile, in un’attività che può essere un lavoro al servizio della realizzazione economica e personale dell’animus maschile.
Rispecchiarsi nella propria “anima”
Il misogino è colui che, odiando o disprezzando le donne, non accetta il femminile dentro di sé ed è condannato a vivere, non tanto senza una compagna “esterna”, quando privo di un’ “anima” interiore che faccia da complemento al proprio “animus”.
Ne risulterà una psiche parziale, divisa: ogni conquista e rivalsa ottenuta sul genere femminile non porterà beneficio al misogino che non potrà placare il risentimento che lo consuma senza porsi davanti a sé stesso e, come in uno specchio, confrontarsi finalmente con la propria “anima”.
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