L'imprinting secondo Konrad Lorenz
L’etologo imparò a proprie spese cosa sia l’imprinting: era lui il primo essere vivente che il piccolo pennuto aveva visto appena nato e, dunque, sarebbe stato lui la sua mamma, non c’era da discutere!
L’imprinting è una tipologia di apprendimento che si verifica qualora un essere vivente venga in contatto con determinati stimoli in un determinato periodo del proprio sviluppo.
È una sorta di compromesso tra un apprendimento innato e uno acquisito: è innata la predisposizione ad apprendere un determinato comportamento, ma essa può verificarsi solo se si viene a contatto con i giusti stimoli in precisi momenti della propria esistenza.
L’imprinting è anche non reversibile, almeno negli animali. Negli esseri umani esistono alcune forme di apprendimento analoghe che tuttavia possono in una certa misura essere modificate da esperienze successive.
Come si detto, questo non vale per gli animali, neanche per le oche selvatiche come Konrad Lorenz ebbe a imparare…
Konrad Lorenz e la scoperta dell’imprinting
“A lungo, molto a lungo, mi fissò l’ochetta, e quando io feci un movimento e pronunciai una parolina, quel minuscolo essere improvvisamente allentò la tensione e mi salutò: col collo ben teso e la nuca appiattita pronunciò rapidamente il (…) fervido pigolio. (…) era il primo saluto della sua vita. E io non sapevo ancora quali gravosi doveri mi ero assunto per il fatto di aver subito l’ispezione del suo occhietto scuro e di aver provocato con una parola imprevidente la prima cerimonia del saluto” (K. Lorenz, L’anello di Re Salomone, Adelphi, Milano, 1967).
La figura con cui i piccoli di oca interagiscono entro le prime 48 ore dalla nascita genera un imprinting: essi imparano a riconoscere quella come la propria madre, a prescindere che sia un’altra oca, un animale differente o, appunto, un essere umano!
Esiste infatti una “finestra temporale” molto precoce entro la quale, subito dopo la nascita, il cervello degli esseri viventi è geneticamente predisposto a riconoscere gli esseri viventi che incontra come figure di riferimento e, quindi, a stabilire con esse un legame di attaccamento.
Gli esperimenti di Konrad Lorenz infatti diedero avvio a tutta una serie di studi che portarono a identificare meccanismi analoghi di imprinting anche in altre specie animali e, seppur con delle differenze, anche negli esseri umani.
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L’imprinting: dall’ochetta Martina ai cuccioli di macaco
L’imprinting è dunque un apprendimento precoce teso a stabilire un legame di attaccamento con la prima figura di riferimento, in alcuni casi anche a prescindere dal fatto che appartenga o meno alla propria specie.
In altre parole: la funzione svolta da questa figura di riferimento (nutrire, confortare ecc.) è ciò che guida il processo di imprinting.
Agli studi di Konrad Lorenz sull’imprinting nelle oche selvatiche, si associano quelli dei coniugi Harlow sui cuccioli di macaco.
Studi pionieristici quanto interessanti giacché consentirono di chiarire quanto il legame di attaccamento, il bisogno di cure e di conforto fosse tanto indispensabile alla sopravvivenza e allo sviluppo quanto lo era il nutrimento fisico.
L’esperimento in questione pose infatti le piccole scimmiette a contatto con due diverse madri “surrogate”: una madre metallica dalla quale era possibile ricevere solo latte e una madre “pelosa” e morbida che poteva essere abbracciata e che poteva fornire calore.
Bene, i piccoli macachi passarono con la madre metallica solo il tempo strettamente necessario alla poppata, andando poi a rifugiarsi dalla mamma morbida per tutto il resto del tempo: era questa la mamma che per il meccanismo dell’imprinting riconoscevano come riferimento.
Così come l’ochetta Martina aveva “adottato” Konrad Lorenz come la propria mamma, i piccoli macachi avevano scelto il surrogato della mamma pelosa.
L’imprinting negli esseri umani
L’imprinting allo stabilirsi di un legame di attaccamento con una figura di riferimento (caregiver) è qualcosa che esiste ed è fondamentale anche alla crescita e alla sopravvivenza degli esseri umani che nei primi 8-9 mesi di vita stabiliscono e creano questo legame.
Gli studi di Renè Spitz nei bambini degli orfanotrofi dimostrarono tristemente quanto questo legame di attaccamento, lo stabilirsi di questo imprinting sia indispensabile.
I bambini che erano stati abbandonati risultavano avere infatti tutta una serie di problemi legati allo sviluppo e alla regolazione psico-biologica, la mancanza di un saldo legame di attaccamento interferiva ad esempio con un corretto ritmo sonno-veglia e con un corretto accrescimento staturale (Spitz, R., Il primo anno di vita del bambino, Giunti-Barbera, Firenze, 1972).
Attaccamento e vita adulta
Rispetto all’imprinting studiato da Konrad Lorenz nelle oche selvatiche, lo stabilirsi di legami di attaccamento negli esseri umani rappresenta comunque un processo più complesso e potenzialmente reversibile/modificabile con il passare del tempo.
È in base alle relazioni primarie con i nostri genitori che acquisiamo un determinato modello di relazione in base al quale impariamo cosa aspettarci dagli altri e dai loro comportamenti di accudimento e questo potrà influenzare i legami affettivi che andremo a costruire in età adulta.
Ciò che rende i modelli di attaccamento degli esseri umani più fluidi e reversibili è il fatto di poter stabilire, ad esempio, attaccamenti multipli verso più figure di riferimento, il fatto di poter revisionare e “aggiornare” questi modelli sulla base di incontri successivi e, naturalmente, di poterne essere consapevoli rendendoli oggetto di riflessione introspettiva e del pensiero che ognuno fa su di sé.
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