Il senso della vita nella ricerca di 10 opere d'arte

Qual è il senso della vita? La domanda delle domande. La questione cui ciascuno di noi, da che se ne abbia memoria storica, si è posto almeno una volta e spesso senza certezze di una risposta esauriente. Intorno al mistero che è la vita hanno provato a riflettere artisti e pensatori di tutti i tempi. Ecco 10 maestri che sul senso della vita hanno proposto versioni, tra le più suggestive.

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Dieci opere sul senso della vita

In che modo l'arte si è assunta la responsabilità di investigare il senso dell’esistenza nel rapporto tra individuo e collettività?

 

In una raccolta, emblematica ma non esaustiva, di 10 opere si è tentato di dare forma a stati d’animo e interrogativi che l’essere umano si pone costantemente nel rapporto con la sfera personale, il corpo e il mondo.

 

1. La vetrina della vita secondo "Monty Python - Il senso della vita" di Terry Jones

Sin dalla prima scena e più volte e, con l'avanzare dei capitoli, sempre più sbrigativamente, il film ci interroga sul senso della vita. Così restiamo in attesa di capire, facendoci burlare dai Monty Phyton che in realtà la loro risposta la danno sin dal primo fotogramma dove ognuno dei sei membri del gruppo comico britannico presta la propria voce e volto a un branco di pesci in un acquario, all'interno del quale sono costretti a nuotare avanti e indietro con una cantilena noiosa di saluti, rotta dalla comunicazione che stanno per mangiare Howard, e allora si pongono il quesito fondamentale: “Mi dà da pensare, voglio dire, qual è il significato? E la risposta evasiva è: “Non chiederlo a me”

 

Da qui cominciano 8 capitoli che più che interrogarsi sul senso della vita, ne mostrano le fasi dal Miracolo della nascita alla Morte. Ma mai avremo la risposta. Eppure in quell'acquario pare già essere stata messa in scena la vita di tutti i sei pesci come di ognuno di noi, messi in vetrina per essere scelti, presi e morire. Nessuna risposta, però ci suggeriscono dove cercarla: dai filosofi.

 

2. Giordano Bruno e il "siamo noi la causa di noi stessi"

Nell'ultimo dialogo tra il filosofo Giordano Bruno e Sagredo (I), il filosofo campano scrive:

 

"Verrà un giorno che l'uomo si sveglierà dall'oblio e finalmente comprenderà chi è veramente e a chi ha ceduto le redini della sua esistenza, a una mente fallace, menzognera, che lo rende e lo tiene schiavo. L'uomo non ha limiti e quando un giorno se ne renderà conto, sarà libero anche qui in questo mondo.
Che ci piaccia o no, siamo noi la causa di noi stessi. Nascendo in questo mondo, cadiamo nell'illusione dei sensi; crediamo a ciò che appare. Ignoriamo che siamo ciechi e sordi. Allora ci assale la paura e dimentichiamo che siamo divini, che possiamo modificare il corso degli eventi, persino lo Zodiaco.
Non so quando, ma so che in tanti siamo venuti in questo secolo per sviluppare arti e scienze, porre i semi della nuova cultura che fiorirà, inattesa, improvvisa, proprio quando il potere si illuderà di avere vinto”.


 

3. .Il superamento del Male secondo Alberto Savinio in Nuova Enciclopedia

Non un filosofo, ma il pittore, pure scrittore e critico d'arte, Alberto Savinio scrive nella sua Nuova Enciclopedia, alla voce Giovani:

 

"Per l'artista il paradiso è in terra, ma bisogna saperlo scoprire [...] perché ogni difficoltà si è risolta nel facile, ogni profondità è salita in superficie e vi si è distesa, ogni ombra si è sciolta nella luce, ogni Male si è trasformato in Bene [...] quelle pennellate leggerissime sono il risultamento, la conclusione, il premio altissimo di tutte le fatiche sopportate, di tutte le lotte affrontate, di tutte le scoperte fatte, di tutti gli ostacoli abbattuti, di tutti gli abissi esplorati, di tutte le vette scalate, di tutti i dubbi traversati, di tutte le sofferenze patite, di tutte le ombre dissipate, di tutto il Male vinto".

 

4. Letteratura e bellezza ne "I giorni contati" di Elio Petri

Un filosofoso esistenzialista della strada è il protagonista del secondo film "I giorni contati" di Elio Petri del 1962. Si tratta di Cesare (Salvo Randone), uno stagnino che assistendo su un tram alla morte di un passeggero della sua età, decide di riprendersi la sua esistenza smettendo di lavorare

 

Si dedica a nuovi svaghi: legge "I Miserabili", gioca a carte, visita Galleria Borghese, rincontra un suo vecchio amore. Ma l’utopia di poter vivere ribellandosi al sistema e nutrendosi invece di cultura finisce presto e Cesare torna a lavoro. La sua ricerca del senso della vita nella cultura e nella bellezza, dunque, si conclude di nuovo nella solita routine.

 

 

3. Le arti in "Manhattan" di Woody Allen 

Quando il più psicotico autore del cinema Woody Allen, in scena il fallito Isaac Davis, si autopsicanalizza sul divano, nel film "Manhattan", elenca le cose per cui vale la pena vivere:

 

“Be', devo essere ottimista. Va bene, dunque, perché vale la pena di vivere? Ecco un'ottima domanda. Be', esistono al mondo alcune cose, credo, per cui valga la pena di vivere. E cosa? Ok. Per me... io direi... il buon vecchio Groucho Marx tanto per dirne una, e Joe DiMaggio e... il secondo movimento della sinfonia Jupiter.., Louis Armstrong, l'incisione di Potato Head Blues... i film svedesi. Naturalmente... L'educazione sentimentale di Flaubert... Marlon Brando, Frank Sinatra, quelle incredibili... mele e pere dipinte da Cézanne, i granchi da Sam Wo, il viso di Tracy”.

 

 

4. L'esistenzialismo di Francis Bacon 

Ancora più negativo dello stagnino Cesare è il senso dell'esistenza che ha Francis Bacon, pure lui esistenzialista. Ognuna delle esistenze che il pittore irlandese, infatti, dipinge è incarcerata in una gabbia. 

 

Nessuno dei suoi ritratti sta fuori dal carcere della vita: dentro gabbie chiude persino diversi papi e Sigmund Freud. Ma quando deve ritrarre l'uomo comune, lo veste sempre come un impiegato contemporaneo. E intitola queste opere riservando ai soggetti dipinti l'anonimato che l'impiegato ha nella società della massa: "Studio per ritratto". Di chi non è dato sapere. 

 

In particolare, ne esegue uno nel 1949, oggi conservato al Museum of Contemporary Art di Chicago e visibile qui, e un altro in collezione privata del 1971 dallo stesso titolo vago, malgrado molti abbiano visto nell'uomo ritratto proprio Francis Bacon per il completo da dandy, la cravatta e il taglio dei capelli ordinati. Entrambi sono seduti su una poltrona d'ufficio. Il primo ne stringe forte i braccioli e urla a bocca spalancata; il secondo invece rimane composto, sebbene la sua sedia sia girevole e, quindi, non riesce a incarcerarlo in ufficio, al punto che un piede esce dalla gabbia dentro cui però stanno tutti e due, persino doppia per il secondo che pare azzardare la fuga. 

 

Il pittore non la chiama gabbia nelle sue conversazioni con il critico d'arte David Sylvester, bensì «scatola di vetro» che dice gli servisse a isolare e concentrare l'attenzione sull'immagine che conteneva, permettendo di «vederla meglio». Scatola di vetro come l'acquario dei pesci Monty Python. Che quello ritratto nella tela di Chicago sia Howard pescato fuori dall'acquario e quindi urlante trovandosi prossimo alla morte?

 

5. Il raggiungimento di Sè e dell'Amore nella Divina Commedia di Dante Alighieri 

È il Sommo Poeta ad aver cercato il senso della vita in un viaggio nell'Ultraterreno per l'Inferno, Purgatorio e su fino al Paradiso, dove raggiunge l'Amore stilnovista, la Poesia e Dio, componendo un poema che parla tutto dell'Uomo e della vita.

 

6. La cura degli altri in "Ovunque proteggi" di Vinicio Capossela

È un concept album dove canzone dopo canzone torna il contrasto tra la dimensione del corpo, onnipresente con ossa e sangue, e lo slancio mistico, come perfettamente emerge dal brano "Al Colosseo - Il rosario de La Carne". Tuttavia è nella penultima canzone, quasi a chiusura dell'opera, dal titolo "La santissima dei naufragati" che si legge il senso della vita nel naufragio di pescatori in balia di uno spettrale theramin che annuncia sin dall'inizio che qualcosa di sinistro e di violenza cieca, quella di un comandante Capaneo, che sta per abbattersi su di loro. E quando non c'è che “acqua, acqua in ogni dove”, si leva una voce tremula per toccare note più alte, che chiede la protezione della santissima dei naufragati, introdotta piano piano da un testo che prima recita figure retoriche che fanno pensare a questi uomini senza speranza aggrapparsi alla Poesia. 

 

Poi il senso della vita che sta nella necessità di prendersi cura degli altri, la necessità della relazione. Di esserci anche per gli altri.

 

7. La maternità della donna di Ostuni

È la prima madre, la prima morte celebrata e sepolta con una collana di conchiglie, il primo aborto: la donna, risalente a 28mila anni fa, è lo scheletro di una ventenne allo stato terminale della gravidanza. Era stata adagiata con cura all'interno della voragine che si apre sulle pendici della collina che domina Ostuni. La grotta, successivamente ribattezzata "della maternità", presenta tracce di utilizzi stratificati e di culti che dal Paleolitico superiore si sono protratti fino al XVII secolo.

 

La donna era stata adagiata in posizione fetale sul fianco sinistro; il braccio di questo lato era ripiegato sotto la testa e il destro appoggiato sul ventre, quasi a protezione del suo bambino mai nato. In una donna così primordiale c'è tutto: il mistero della Nascita e della Morte insieme, sono raccolte tutte le Età dell'uomo, considerando anche la giovane età dello scheletro, il ciclo eterno della Natura, cioè della vita. Ci sono il pensiero e la cura per gli altri, le relazioni sociali.

 

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8. L'autoconservazione della specie nel Parco archeologico di Pompei

Un altro scavo archeologico italiano offre suggestioni sul senso della vita: il Parco archeologico di Pompei, che mette in mostra quanto la vita di venti secoli fa fosse simile a quella contemporanea, quella antica però aveva un decoro urbano fortemente accentuato. Basti pensare al più recente ritrovamento (2020) nell’area che si sta studiando nei pressi della Casa di Giove e della Villa dei Giardini, nell’area a Settentrione. 

 

A novembre 2020, sono stati riportati alla luce i corpi perfettamente intatti di uno schiavo e del suo dominus, ma è stata ancora più incredibile la scoperta a dicembre nel crocicchio tra il vicolo delle Nozze d’argento e il vicolo dei Balconi, quella di un thermopolium, ossia di una mensa con preparazioni streetfood, incredibile perché ancora al suo interno sono conservati cibo e persino l’odore del vino. Anche il bancone si è perfettamente conservato: rimasto fermo al giorno dell’eruzione, fissato dalle ceneri che ne hanno mantenuto i colori e conservato i resti di cibo. Grazie a questa importante scoperta siamo adesso in grado di ricostruire la dieta e le abitudini alimentari della Pompei prima dell’eruzione: mischiavano animali diversi, infatti, sono stati ritrovati resti di carne di capra o pecora, pesce, una lumaca terrestre e un femore di anatra.

 

Poi la vita di allora, che è quella di oggi, traspare in tutti i calchi che lasciano scorgere nelle pose in cui sono stati ritrovati il terrore per l'eruzione che stava per ammazzare tutti nella mattina del 24 agosto del 79 d.C., intorno alle ore 10, la lava solidificata che tappava il cono del Vesuvio esplode sotto la spinta di gas. Piovono lapilli fino al 28 agosto accompagnati da esalazioni di gas venefico.  

 

Pompei cerca la fuga per l'autoconservazione della specie, ma per molti allora non ci fu scampo. Tuttavia poterono rinascere nel 1863, grazie all'antica tecnica dei calchi di gesso, ideata da Giuseppe Fiorelli, che ha reso possibile riportare alla luce nel dettaglio le fattezze degli antichi pompeiani e, a vederli come se il tempo non sia mai trascorso. Di qualcuno possiamo addirittura vedere la trama delle fibre delle vesti. 

 

9. Eugenio Montale, il poeta che cerca il senso della vita

Così disse Eugenio Montale sulla sua ricerca del significato della vita:“Io sono stato un poeta che ha scritto un’autobiografia poetica senza cessare di battere alle porte dell’impossibile, convinto che la vita ha un significato che ci sfugge. Ho bussato disperatamente come uno che attende una risposta”. (II)

 

In poesia è la parafrasi del testo di "Spesso il male di vivere ho incontrato" nella raccolta Ossi di seppia:

 

«Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato»
.

 

L’uomo vive nella sofferenza interiore derivata dal fatto di non trovare un senso alla propria esistenza.

 

10. La finzione dell'esistenza nel film "E morì con un falafel in mano" di Richard Lowenstein

Anche il film "E morì con un falafel in mano" di Richard Lowenstein avanza un inquietante dubbio sul senso della vita: che la vita, cioè, non sia altro che finzione.

 

Il film racconta le traversie di Danny e dei suoi coinquilini, che si trasferiscono ogni tre mesi da un appartamento all'altro, senza mai trovare una soluzione definitiva. 
Ci sono due scene che Morandini definisce “aduggiate da citazionismo cinefilo e filosofeggiante”, quelle in cui si legge la riflessione sul senso della vita che si rifà a una linea analitica tipica della storia dell'arte del Novecento sul tradimento delle immagini e della rappresentazione e palese con l'opera di René Magritte "Ceci n'est pas une pipe", ossia "Questa non è una pipa"

 

Perché se io prendo la pipa che il pittore surrealista ha dipinto sopra la scritta con il titolo-monito, io non potrò mai fumarla, quindi quella dipinta non è una pipa, così come tutte le immagini rappresentate non sono reali, ma rappresentazioni della realtà

 

Nel film, questa concezione dell'arte è spiegata perfettamente dalla spiegazione che Nina dà a Danny di "Solaris" diretto da Andrej Tarkovskij, attraverso un muro che li separa a differenza dei protagonisti non separabili del film sovietico. Nel film, lo psicologo Kris Kelvin è all'interno della stazione scientifica orbitante Solaris, ossessionato da una donna con le sembianze e gli atteggiamenti di sua moglie Hari, morta suicida dieci anni prima, la donna è soltanto una fotocopia dell'immagine di Hari, per questo non può morire e attraversa i muri. 

 

“Chi ci dice che le cose non comincino a esistere solamente nel momento in cui le percepiamo?” aveva chiesto prima Danny a Flip mentre sta facendo un'irreale tintarella di luna.

 

 

Note
(I)Ultimo dialogo tra il filosofo Giordano Bruno e Sagredo, così come citato nel libro «La futura scienza di Giordano Bruno e la nascita dell’uomo nuovo» di Giuliana Conforto.
(II) Loretta Marcon, Giobbe e Leopardi: La notte oscura dell'anima, Guida Editore, Napoli, 2005, p. 15