Il caregiving nel disturbo bipolare
I familiari di chi soffre di disturbo bipolare si trovano in balìa delle oscillazioni dell'umore del paziente sentendosi spesso impotenti o impossibilitati ad avere una vita propria.
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Il caregiving nel disturbo bipolare fa riferimento alla cura/sostegno fornito dai familiari (figli, mariti, mogli, genitori) di una persona con un disturbo bipolare.
Ma se per i pazienti può non essere facile mantenere delle buone relazioni familiari; anche i parenti possono vivere molte difficoltà a sostenere chi soffre in maniera efficace. Sebbene le attuali terapie farmacologiche abbiano liberato pazienti e famiglie dal peso dell’alternanza di veri e propri tsunami euforici prima e depressivi poi che sconvolgevano e paralizzavano la vita quotidiana; ciò non toglie che assistere un familiare con questo disturbo rappresenti ancora oggi un tema complesso da trattare con attenzione.
Il caregiving nel disturbo bipolare: mariti, genitori e figli
“ll disastro era costantemente in agguato, e noi tenevamo in gran conto ogni momento tranquillo con nostra madre. Ormai avevamo iniziato a sospettare la realtà, che mia madre fosse maniaco-depressiva, ma nessuno di noi sapeva che farci. Quando qualche anno dopo il litio entrò nelle nostre vite, fummo profondamente grati: ma fino ad allora tutti e due nel profondo del nostro cuore fummo certi di essere noi i responsabili degli umori di mia madre” (Reichl, 1998, pp. 60-61).
Figli, coniugi, genitori, amici di persone con un disturbo bipolare possono ritrovarsi sopraffatti da questo problema sentendosi impotenti e a volte anche in colpa per gli stati mentali e umorali della persona a loro cara.
La vita a due velocità è una Guida stilata da esperti europei proprio per le persone che soffrono di un disturbo bipolare e i loro familiari. Gli autori forniscono spiegazioni, consigli pratici e indicazioni affinché non solo i pazienti ma anche i loro familiari possano orientarsi con maggior chiarezza. Vediamo alcuni punti.
Informarsi e confrontarsi con altri nella stessa situazione
Il caregiving nel disturbo bipolare si fonda su una corretta raccolta di informazioni. Documentarsi sulla natura e la specificità del disturbo bipolare, accedendo a fonti attendibili ma accessibili ai non addetti ai lavori, è il primo passo per coloro che convivono con una persona con questo problema.
Si è detto quanto facile sia, per amici e familiari, ritenersi responsabili delle oscillazioni umorali di queste persone. Informarsi aiuta a riconcettualizzare quanto avviene in questi frangenti cercando di non farsene a propria volta travolgere e riconoscendone le manifestazioni sintomatiche senza prendere “sul personale” quanto sta accadendo.
In tal senso, può essere di grande aiuto confrontarsi con persone che vivono situazioni simili alla propria: mediante forum o gruppi online, gruppi terapeutici e gruppi di sostegno. Alcuni sono specifici per familiari di persone con disturbo bipolare, altri, come i gruppi di psicanalisi multifamiliare attivi in diversi DSM, riuniscono vari tipi di pazienti psichiatrici insieme alle loro famiglie.
Questo tipo di supporto può essere molto utile per diminuire il senso di impotenza e solitudine, acquisire ulteriori informazioni, accendere la speranza e partecipare a contesti di socializzazione dove sia possibile parlare della propria situazione. Non è raro infatti che le famiglie di questi pazienti tendano a chiudersi in sé stesse temendo lo stigma e l’incomprensione altrui. Questo aggrava il senso di impotenza e isolamento.
Condividere la propria esperienza con altri consente di ridefinirla da qualcosa che “è capitata solo a noi” a qualcosa che si condivide con una categoria di persone: non si è più soli.
Il caregiving nel disturbo bipolare: mantenere la comunicazione
Le fasi di oscillazione del disturbo bipolare possono alternarsi in modalità e tempi differenti a seconda della tipologia e gravità del disturbo. A uno o più episodi maniacali piuttosto gravi può seguirne uno depressivo o più anche a distanza di tempo (disturbo bipolare I).
Oppure possono alternarsi in maniera più rapida fasi ipomaniacali (che non compromettono del tutto il funzionamento della persona) e gravi fasi depressive che pongono la persona, e la famiglia, in balia di oscillazioni continue e a confronto con ripetute delusioni e rancori verso il familiare in questione che, proprio per queste alternanze, viene percepito come inaffidabile e irresponsabile (disturbo bipolare II).
Ancora, ci sono casi in cui le oscillazioni dell’umore si alternano senza raggiungere la gravità di veri e propri episodi depressivi o maniacali, ma proseguono con andamento maggiormente cronico nel tempo (disturbo ciclotimico).
Esistono dunque differenti tipologie di disturbi bipolari, ognuno in grado di impattare in modi differentemente problematici sul paziente e la sua famiglia. Sono problematiche che pongono spesso a confronto con un alternanza di momenti critici e momenti di maggiore compenso, fasi in cui la persona sembra in condizione di riprendere una relazionalità e fasi in cui sembra rifiutarla attivamente.
In realtà è molto importante non arrendersi, non seguire le oscillazioni del disturbo ma continuare ad essere presenti e cercare di comunicare col proprio caro anche nelle fasi in cui appare più refrattario/a alla relazione. Nei momenti successivi, quando recupererà uno stato mentale differente, ricorderà di questa presenza e potrà apprezzarla.
Il caregiving nel disturbo bipolare: riconoscere i segnali di allarme
È molto importante che i familiari imparino a riconoscere in anticipo i segnali di una possibile ricaduta e che, nei momenti in cui la sua mente è più in equilibrio, ne parlino con il loro caro per cercare di condividere con lui/lei che cosa potrebbe accadere e cosa verrà fatto per contenere la crisi.
Naturalmente questo è possibile nella misura in cui i paziente sia in condizione di riconoscere gli stati di euforia o di irritabilità come un problema patologico. La negazione del problema è una costante soprattutto all’inizio del disturbo e richiede tutta la sinergia possibile fra medici curanti e familiari per poter essere gestita insieme alle eventualità in cui potrebbe rendersi necessario un ricovero.
Andrebbe sempre verificato anche che non sia stata improvvisamente sospesa la terapia farmacologica: un’eventualità piuttosto frequente in quelle persone che negano la malattia.
Il caregiving nel disturbo bipolare: il rischio di suicidio
Questi pazienti, specie quando uno stato depressivo subentra ad una condizione maniacale, sono a rischio suicidio. Il suicidio è un rischio concreto che non va sottovalutato ma di cui, è bene ricordarlo, i familiari non possono ritenersi responsabili.
Sebbene ci siano diversi segnali che a volte possono essere intercettati per prevenire una messa in atto, ci sono sempre casi o eventualità in cui purtroppo un esito di questo tipo non può essere previsto o impedito da altri: né i familiari né i curanti.
Spesso si crede che sia meglio non parlare con il proprio caro di questa eventualità nel timore che questo possa ulteriormente incoraggiarlo. In realtà è vero il contrario: parlare del suicidio non lo rende più probabile, ma anzi consente di verificare se si tratti solo di un’idea astratta o se la persona abbia già ideato un piano o si sia addirittura procurata il necessario per attuarlo. C’è un’importante differenza fra un’idea e una concreta pianificazione del comportamento.
Ciò non vuol dire però che il vostro caro vi parlerà necessariamente delle sue intenzioni, alcuni non lo fanno non dando modo a chi sta loro vicino di cogliere cosa avvenga nella loro mente. Non è detto però che non possano farlo con i curanti.
È proprio con questi ultimi e col paziente stesso che spesso è utile stabilire un elenco di strategie che la persona potrebbe adottare qualora avvertisse nuovamente degli impulsi suicidi: di solito una lista di persone da poter chiamare (dalle più vicine fino al 118) per mettersi in sicurezza. Questa operazione è molto importante perché condivide, con la parte sana del paziente, la gestione dei suoi impulsi suicidi.
Avere un familiare con un disturbo bipolare non impedisce né di avere una vita propria, né di vivere una vita familiare felice e appagante una volta che si sia trovato il modo di condividere delle strategie utili per gestire il problema.
Bibliografia
Reichl R. (1998). La parte più tenera, trad. it. TEADUE, 2007.
Arteel P, Goikolea JM, Gismodi R, et al. (2011). La vita a due velocità. (trad. it. a cura di Arkadia Translations), Bristol-Myers Squibb.