Body monitoring: ossessionate dal controllo del proprio corpo
Un’ossessione tutta al femminile che non troverete nei manuali diagnostici, ma che ogni donna conosce fin troppo bene e sperimenta decine di volte al giorno. È il body monitoring e a quanto pare non c’è femminismo che tenga.
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Decenni di lotte per i diritti civili delle donne, la libertà sessuale, le opportunità di carriera… Eppure, non importa che si indossi in tailleur o una tuta da astronauta, eccoci qui: tutte a monitorare la gradevolezza del nostro aspetto ogni minuto, a volte anche dopo pochi secondi…
Secondo un recente studio il body monitoring sarebbe così radicato nelle donne da essere inconsapevolmente attuato anche da coloro che hanno le vedute più femministe e contestatarie rispetto agli stereotipi di genere. Qualcosa del ‘68 è andato storto?
Body monitoring: c’è ma non si vede
Probabilmente qualcuna di voi lo sta facendo adesso o lo farà nei prossimi minuti.. Magari avete intravisto il riflesso del vostro viso sullo schermo dello smartphone e avete aggiustato una ciocca di capelli o pensato che dovreste andare dal parrucchiere. O forse, se siete sedute in shorts al tavolo di un bar, vi è blenato nella mente che in quella posizione potrebbero rendersi visibili accenni di cellulite… O magari mentre state lavorando o parlando con qualcuno l’occhio vi cade sulle vostre mani e pensate che accidenti così non sono gran che, sarebbe stato meglio se aveste avuto tempo di mettere un po’ di smalto… Altre volte è un pantalone che tira, o la vetrina in cui vi specchiate inavvertitamente.
Si tratta di continui cheek che la maggior parte delle donne, di qualunque età, fa ripetutamente nel corso della giornata, in maniera spesso irriflessiva e a prescindere dal fatto che, per l’attività che sta svolgendo, la gradevolezza del suo aspetto sia o meno una questione rilevante.
È un comportamento talmente frequente e ubiquitario, sembra percepito come talmente “normale” e scontato che nessuno ci farebbe caso se non fosse per due ricercatrici statunitensi che hanno deciso di renderlo oggetto di uno studio scientifico.
Body monitoring: uno studio
Karen Grippo, del dipartimento di psicologia dell’Università della Florida Centrale e Melanie Hill, del dipartimento di psicologia della State University of New York a New Paltz hanno interpellato un campione di donne adulte per esplorare se l’età e gli atteggiamenti femministi potessero funzionare da “moderatori” nei confronti del body monitoring e del meccanismo di auto-oggettivazione.
La domanda di partenza delle due Autrici era in sostanza se l’avanzare dell’età rendesse le donne meno vulnerabili alla preoccupazione per il proprio aspetto e se avere retaggi di stampo femminista le rendesse meno soggette alla pressione sociale e culturale di doversi mostrare a tutti i costi esteticamente gradevoli agli altri. La questione è d’altra parte più che sbilanciata dal lato femminile dato che è soprattutto il corpo della donna, storicamente e culturalmente, a essere ritenuto/utilizzato come oggetto sessuale (si pensi alle pubblicità) e che tali stereotipi tenderebbero a riconoscere alle donne soprattutto un ruolo decorativo.
Alle donne, in altre parole, viene ancora culturalmente trasmessa la pressione a doversi mostrare gradevoli e di bell’aspetto, a prescindere dal ruolo ricoperto o dalla funzione svolta. Pressione questa quasi del tutto estranea al mondo maschile.
E proprio per questo, per il fatto che sono modelli patinati di donne “oggettivate” a essere proposti come vincenti e di successo, che le donne “reali” tendono ad interiorizzare questo sguardo oggettivante. Così come la modella sul cofano dell’automobile viene assimilata a un prodotto da “vendere”, anche l’immagine che una donna reale vede di sé allo specchio può venir valutata da lei stessa allo stesso modo: la preoccupazione diventa allora quella di modificare i corpo perché assomigli il più possibile a quell’immagine patinata e possa così essere mostrato, apprezzato, “venduto” all’occhio dell’altro secondo i dettami della moda.
Ebbene che cosa hanno risposto le donne interpellate dalla dott.ssa Grippo e dalla dott.ssa Hill?
Body monitoring ed età della vita
Per lo studio sono state reclutate 138 donne eterosessuali europee e americane di età compresa fra i 40 e gli 87 anni. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, il body monitoring e l’auto-oggettivazione sembrano riguardare trasversalmente tutte le donne del campione senza differenze significative in base all’età.
Cambiano probabilmente i parametri in base ai quali si valuta e si monitora il proprio corpo, ma la preoccupazione di come esso appaia non sembra appannaggio solo delle più giovani. Anche col passare degli anni si tende a oggettivarsi e a valutare la propria immagine allo specchio o in fotografia come si valuterebbe la foto patinata e ritoccata posta su una pubblicità.
Con l’avanzare dell’età sembra tuttavia diminuire l’insoddisfazione corporea derivante dalla constatazione dello “scarto” tra la propria immagine “reale” e quella irraggiungibile e fotoritoccata di certi modelli.
In altre parole: le donne in età più avanzata sebbene continuino a giudicare il proprio aspetto in riferimento a parametri “oggettivanti”, diventano più tolleranti riguardo a sé stesse e alla propria immagine “reale”.
Body monitoring e femminismo
Il secondo parametro preso in esame per questo studio era quella relativo agli atteggiamenti femministi, considerando anche che nel campione preso in esame erano ben rappresentate coloro che per età anagrafica avevano vissuto direttamente gli anni di quelle battaglie.
Ebbene questo aspetto non è risultato significativamente correlato con l'insoddisfazione corporea, l'auto-oggettivazione o il body monitoring.
Nonostante intellettualmente molte donne possano aderire a posizioni paritarie e critiche nei confronti di atteggiamenti e stereotipi sessisti, gli atteggiamenti emozionali e impliciti sembrano poter risentire comunque di tali condizionamenti. D’altra parte il sessismo, seppur in forme benevole, è spesso tutt’ora presente in maniera subdola e irriflessiva e passa facilmente inosservato proprio perché la narrazione dominante vede la società attuale come quella in cui, raggiunte le conquiste e la parità di genere, non ci sia più bisogno di difendersi da stereotipi e atteggiamenti sessisti.
Ma molto sembra ancora si debba fare rispetto agli atteggiamenti profondi che le donne – e dal canto loro forse anche gli uomini – continuano ad avere rispetto a queste dimensioni.
C’è anche chi ha osservato come il limite del '68 sia stato quello di contestare e destituire tutta una serie di riferimenti istituzionali e sociali senza porre nulla di veramente alternativo al loro posto: il lascito è stato dunque anche un vuoto culturale che secondo alcuni è stato facilmente occupato dal capitalismo (Lacan, 1969; Recalcati 2011; Sapelli, 2015). E in effetti fra la liberazione sessuale con lo sdoganamento di divieti e tabù e l’utilizzo di immagini sessualmente avvenenti o ammiccanti - come spesso quelle femminili sono sui media – passa una differenza che dovrebbe far riflettere sulla “libertà” che le donne oggi hanno di mostrare il proprio corpo piuttosto che altre dimensioni di sé.
Bibliografia
Grippo K.P. & Hill M.S. (2008). Self-objectification, habitual body monitoring, and body dissatisfaction in older European American women: Exploring age and feminism as moderators, Body Image, 5(2): 173-182.
Recalcati, M. (2011). Cosa resta del Padre? La paternità nell’epoca ipermoderna, Cortina.
Sapelli G. (2015). Modernizzazione senza sviluppo. Il capitalismo secondo Pasolini, goWare.
Lacan J. (1969). Nota sul padre e l’universalismo, Tr. it. in La psicoanalisi, 33, 2003.