Arto fantasma e immagine corporea

La sindrome dell’arto fantasma, cioè il persistere della sensazione motoria o sensoriale della presenza di un arto dopo la sua amputazione, è uno di quei fenomeni psicologici che meglio esprimono la differenza fra fisicità del corpo e la rappresentazione psicologica e soggettiva che abbiamo di esso. Concetti come schema corporeo e immagine corporea vennero concettualizzati ed elaborati proprio a partire da fenomeni di questo tipo.

Arto fantasma e immagine corporea

In una sua celebre citazione William James affermava che “Ogniqualvolta due persone si incontrano ci sono in realtà sei persone presenti: per ogni uomo ce n’è uno per come egli stesso si crede, uno per come lo vede l’altro ed uno infine per come egli è realmente” (The Principles of Psychology, 1890).

Non abbiamo infatti una rappresentazione oggettiva del nostro corpo, ma le sensazioni, i vissuti e i feedback che riceviamo su chi siamo e sui significati del nostro essere al mondo vanno e comporre una rappresentazione corporea soggettiva e integrata che è l’immagine tridimensionale che abbiamo di noi stessi. Questo il senso di concetti come schema corporeo e immagine corporea che concorrono a spiegare fenomeni come quello dell’arto fantasma.

 

L’arto fantasma per la neurologia dell’800

Fin dall’800 i neurologi si interessarono ad un bizzarro fenomeno che accade spesso a coloro che, per svariati motivi, hanno dovuto subire l’amputazione di un arto: la sensazione cinestesica o motoria della presenza di tale arto permane anche in assenza di tale arto e il soggetto può addirittura riferire dolore proveniente da esso (PLP, phantom limb pain). Fin dagli inizi fu evidente la causa di natura essenzialmente psicologica di tale fenomeno interpretato da neurologi come Charcot – con cui lo stesso Sigmund Freud studiò i fenomeni ipnotici e i significati psicologici dei sintomi isterici – come un meccanismo difensivo tale per cui la sensazione allucinatoria dell’arto mancante rappresenterebbe un meccanismo di negazione dell’amputazione subita teso a preservare l’identità del oggetto. Da qui uno dei concetti chiave del significato dell’immagine corporea: la rappresentazione che abbiamo del nostro corpo ha a che fare con la nostra stessa identità.

 

Immagine e schema corporeo secondo Schilder

Fu tuttavia Schilder il secolo successivo con la sua opera “Immagine di sé e schema corporeo” (1935) a studiare e concettualizzare sistematicamente i concetti di schema corporeo e immagine corporea. Egli, utilizzando i due termini in sostanziale sovrapposizione, li definì come “il modo in cui il corpo appare a noi stessi”, cioè “l’immagine tridimensionale che ciascuno ha di sé stesso”. Tale rappresentazione ha, secondo Schilder, vari gradi di complessità integrando in un’unica “gestalt” le singole percezioni che abbiamo del nostro vissuto corporeo, i significati simbolico-emozionali che associamo alla corporeità e i significati che il nostro corpo assume e veicola nei rapporti con gli altri e all’interno dei valori della società in cui viviamo.

 

Lo schema corporeo

Ricerche successive hanno evidenziato come i concetti di schema corporeo e immagine corporea non siano sinonimi, ma sia più utile riferirli a due concettualizzazioni associate ma distinte. Lo schema corporeo è un concetto più neuropsicologico, fa riferimento ad una dimensione prevalentemente percettiva e inconsapevole della globalità del corpo e del suo essere nello spazio. La rappresentazione neurologica che abbiamo del corpo è associata a quella dell’homunculus sensitivo e motorio che rispecchia l’estensione che le varie aree corporee assumono nella corteccia somatosensoriale e motoria: le zone più estese non rispecchiano le proporzioni reali del corpo, ma viene dato maggiore spazio alle aree di cui abbiamo un controllo consapevole maggiore. Ne emerge una rappresentazione neurologica subordinata al significato funzionale di ciascuna area del corpo e non alle sue proporzioni reali.

 

L’immagine corporea

L’immagine corporea fa riferimento alla valenza psicologiche e emozionali del vissuto corporeo, sia consce che inconsce, legate ai temi dell’identità e del rapporto con gli altri. Quel che entra in gioco nell’immagine corporea sono i confini intesi in senso non solo fisico ma psicologico e quindi alla differenziazione o con-fusione fra sé e l’altro. In base a questa seconda accezione che lo psicoanalista Merealu-Ponty (1945) definisce il fenomeno dell’arto fantasma come “un vecchio presente che non si decide a diventare passato”.

 

L’arto fantasma nella riabilitazione

Una spiegazione di tipo neurologico del fenomeno dell’arto fantasma fa riferimento primariamente al concetto di schema corporeo illustrando come la corteccia motoria dell’arto amputato continui ad inviare segnali all’arto mancante anche dopo l’amputazione, segnali che verrebbero interpretati dalla corteccia somatosensoriale anche in assenza di un reale feedback motorio generando in tal modo una sensazione “fantasma” della presenza dell’arto mancante.

Da dire che, nei casi in cui si possa utilizzare una protesi dell’arto mancante fin dalle fasi precoci successive all’amputazione, la sindrome da arto fantasma può paradossalmente rivelarsi molto utile per la riabilitazione.

 

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