Dipendenza da lavoro: c’è ma non si vede?
Da qualche tempo si parla di dipendenza da lavoro, la così detta work addiction, una modalità rigida e pervasiva di vivere gli impegni professionali che arriverebbe a saturare tutte le energie fisiche e mentali della persona anestetizzandola ed estraniandola dalla vita familiare, affettiva e sociale. Una problematica insidiosa perché in questo caso si abusa di qualcosa che di per sé è approvato socialmente, fonte di ammirazione e gratificazioni.
Diceva Sigmund Freud che la salute mentale dell’uomo poggia su tre pilastri: avere una casa, amare e lavorare; come a dire: la buona riuscita di un piatto deriva anche dal sapiente equilibrio fra i differenti ingredienti che lo compongono. La dipendenza da lavoro si pone invece come disagio psicologico là dove il senso di identità e autoefficacia della persona è interamente derivato dalla propria attività professionale sacrificando affetti, famiglia e relazioni sociali. Si tratta però di una dipendenza subdola che può essere a lungo sottovalutata.
Dipendenza da lavoro: tutto o nulla
Crisi economica, cassa integrazione, instabilità e precarietà del mercato del lavoro: avere un lavoro oggi, anzi averne in sovrabbondanza, sembra quasi un lusso del quale non potersi lamentare. Eppure già diversi anni fa psicologi di comunità come Donata Francescato e Anna Putton osservavano come, nell’attuale società, si verifichi un eccessivo divario, prima ancora che nella distribuzione della ricchezza, nella stessa distribuzione del lavoro: da chi è disoccupato o poco più a chi lavora troppo secondo modalità che erodono sempre più spazi e tempi privati e personali che nell’era pre-tecnologica erano tenuti ben distiniti.
Dipendenza da lavoro: peculiarità
La dipendenza da lavoro, fra le dipendenze compulsive non da sostanze, assume alcune caratteristiche peculiari per il fatto di essere incentrata su un comportamento, il lavoro, non fondato su alcuna gratificazione immediata e di per sé socialmente approvato e incoraggiato, motivo per cui tale problema può passare a lungo inosservato e sottovalutato non solo dalla persona ma anche da chi le sta intorno (Robinson, 1998). Si finisce, come si suol dire, per vivere per lavorare anzi che lavorare per vivere...
Dipendenza da lavoro: un anestetico
Come avviene per altre dipendenze anche la dipendenza da lavoro assume la funzione di “anestetico” per la persona che, assorbendo in tal modo ogni energia, si tiene lontana da coinvolgimenti relazionali e affettivi, utilizza il lavoro come alibi per non progettare nulla, non “stacca” mai e trascura la vita familiare, i figli e il coniuge in una latitanza affettiva sempre più accentuata (Guerreschi, 2009). Ci si impongono ritmi serrati e insostenibili che portano non di rado a sconfinare nell’abuso di sostanze eccitanti come caffè e sostanze stimolanti. Un percorso psicoterapeutico di gruppo può essere molto utile per la possibilità di sperimentare altre aree di sé e dell’emotività nelle relazioni interpersonali (Pani e Sagliaschi, 2010).
Dipendenza da lavoro e realizzazione personale
Il lavoro può costituire certamente un’area importante di realizzazione personale se è anche un carburante per le altre aree dell’esistenza, offrendo maggiori risorse mentali e materiali da impiegare nelle aree affettive, sociali, familiari e del tempo libero, solo così il nostro “piatto” sarà ben equilibrato in un insieme di “sapori” che si esalteranno a vicenda.
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