Dipendenza affettiva, saper dire basta

La dipendenza affettiva genera una trappola da cui è difficile uscire, in cui il sé si annulla per appagare l'altro fino a conseguenze estreme. Saper dire basta è il primo passo verso la libertà.

Dipendenza affettiva, saper dire basta

Ognuno di noi è in qualche modo dipendente dagli altri: da bambini l’adulto è punto di riferimento e garante della propria sopravvivenza, in adolescenza si anima la lotta interiore alla ricerca dell’autonomia e la fuoriuscita da uno stato di dipendenza che inevitabilmente in parte rimane.

Da adulti la dipendenza  affettiva è riferita al ruolo che approvazione, giudizio dell’altro, empatia, conferme,  sostegno e affetto delle persone care hanno sul modo di essere, agire e sull’autostima.

Maslow pone il bisogno affettivo tra i bisogni fondamentali per l’uomo. Spesso però viene soddisfatto con condotte e relazioni patologiche, generando una dipendenza affettiva.

 

Come si manifesta la dipendenza affettiva

La caratteristica fondamentale è l’assenza di reciprocità nella coppia che si osserva con una tendenza continua e irrefrenabile del soggetto dipendente a dare all’altro senza ricevere nulla.

Il dipendente affettivo è incapace di considerare i propri bisogni e agire per sé: l’altro diventa fulcro dell’esistenza e tutto viene fatto nel tentativo di generare il suo benessere, a discapito della propria salute psico-fisica, della crescita personale e della soddisfazione dei propri bisogni.

La sofferenza, il dolore e l’insoddisfazione non sono motivo di rottura ma anzi alimentano la condizione dipendente nel tentativo di ridurli attraverso la soddisfazione del bisogno altrui.

Il comportamento attivato è spesso compiacente, diligente, e quasi sacrificale, nel tentativo disperato di farsi amare, approvare e di tener il partner legato a sé.

Questo ha base nella bassa autostima e nel costante pensiero negativo, ovvero quello di non essere adeguato, di essere cattivo e non degno d’amore, andando a giustificare il rifiuto e la malvagità altrui, attribuendo a sé la causa (“non valgo nulla e non sono degno di amore, quindi mi merito la sofferenza e il rifiuto dell’altro, la colpa è mia”).


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Nonostante le offese e i comportamenti irrispettosi ricevuti, c’è un’immensa paura di cambiare e di perdere l’altro, quindi il dipendente affettivo è incapace di staccarsi e porre fine alla relazione perché gli permette di appagare quel bisogno di legame e di protezione.

Il rifiuto dell’altro diventa una costante che, paradossalmente, rafforza la dipendenza attivando nuovi comportamenti di sudditanza nel tentativo irrefrenabile di mantenere la relazione.

 

L’altro come droga

La dipendenza affettiva rientra nella categoria delle New Addiction nel manuale diagnostico usato in campo psicologico (DSM-5) e nello specifico è una dipendenza comportamentale.

L’oggetto della dipendenza è una persona con cui si ha una relazione: partner o figura famigliare, amicale o autorità.

Possiamo paragonarla alla tossicodipendenza dove la sostanza di addiction diventa una persona, sono presenti uno stato di ebrezza in relazione ai comportamenti e alla vista del partner, la tolleranza che porta alla necessità di aumentare il tempo trascorso con il partner, spesso a discapito di esperienze e relazioni al di fuori, un desiderio irrefrenabile dell’altro (craving), l’incapacità di controllare il proprio comportamento pur nella consapevolezza delle conseguenze negative della propria condotta.

Ovviamente non possiamo dimenticare la sindrome di astinenza in caso di rottura della relazione e tutte le conseguenze associate (depressione, disturbi alimentari, insonnia, irritabilità, altre dipendenza, ecc.).

 

Saper dire basta: lavoro sul sé

Come in ogni dipendenza porre fine al comportamento dannoso è tutt’altro che semplice. Il primo passo è ammettere a se stessi di avere un problema nel modo di vivere i legami affettivi.

Da qui parte il lavoro che porta alla libertà dalla dipendenza

Per dire basta è fondamentale portare l’attenzione al sé, guardandosi nel profondo e comprendendo desideri, bisogni, aspettative, assumendo uno sguardo non giudicante ma amorevole e comprensivo anche davanti alla sofferenza interiore e limiti.

È bene imparare a dire “No” e porre dei confini tra sé e l’altro per ridurre la tendenza ad annullare le proprie necessità assumendo come proprie quelle dell’altro.

Solo così si ridurranno comportamenti aggressivi, irrispettosi e offensivi del partner. Affermare con coraggio e consapevolezza i propri bisogni, senza la pretesa che l’altro li soddisfi: ognuno deve imparare ad amare se stesso e trovare la serenità indipendentemente da ciò che riceve da mondo esterno. 

Accettare difetti e limiti, aumentare la fiducia in se stessi e nelle proprie potenzialità come persona capace di amare e ricevere amore, eliminare il senso dell’abbandono e l’insicurezza e fare leva sulla propria forza interiore assumendo un pensiero positivo e un locus of control interno.

Ridurre il senso di vergogna e di colpa derivanti dai comportamenti attivati, perché ciò alimenta il senso di inadeguatezza e l’immagine svalutante del sé.

È utile sviluppare un po’ di sano egoismo verso di sé che permetta di ridimensionare il peso del giudizio degli altri nella definizione della propria personalità e valore.

 

Saper dire basta: lavoro sulle relazioni

Gli schemi relazionali hanno radici nelle relazioni d’infanzia. Si pensi alle famiglie in cui i bisogni affettivi non sono stati ascoltati e appagati, genitori violenti e talvolta abusanti, esposizione a condotte compulsive ed ossessive, a rimandi sempre negativi sulla propria condotta e modi di essere, ad estrema severità che annulla il contatto con il sé più intimo a favore delle regole e perfezionismo.

Tutti elementi che plasmano lo stile relazionale in cui l’altro è autorizzato ad assumere comportamenti prevaricanti e offensivi, il proprio modo di essere è inadeguato e privo della possibilità di esprimersi, di raggiungere il benessere e ricevere amore.

L’unica funzione nelle relazioni diviene compiacere l’altro per annullare il senso di abbandono e trovare sicurezza e riduzione del senso di colpa per l’inadeguatezza.

Date queste premesse la terapia deve lavorare sulla ridefinizione degli schemi di relazioni, sui ruoli delle parti, su cosa è giusto e cosa non lo è e sul valore del proprio essere nella relazione, cosa si può dare e ricevere, nonché sulla disfunzionalità di quelle relazioni passate che non possono etichettare e porre un marchio sul proprio sé.

Il viaggio alla conoscenza di sé può avvalersi di validi strumenti come la Meditazione, il Training autogeno e la Mindfulness, ma data la complessità della problematica, l’associazione ad altre patologie come disturbi di personalità e disturbo post traumatico da stress e il ruolo delle relazioni passate, l’aiuto di uno psicoterapeuta diviene fondamentale.

 

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