Esiste un quoziente emotivo?
Saper utilizzare le nostre emozioni come guida per orientarci nel pensiero, nelle relazioni e nelle decisioni è quel che può darci realmente una marcia in più!
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L’intelligenza emotiva di Goleman è ormai nota sia dentro che fuori il mondo accademico; sempre più aziende, ad esempio, riconoscono il quoziente emotivo come elemento importante per valutare potenziali soci e collaboratori.
Sì perché quel che definisce il nostro migliore adattamento alla realtà non è una perenne lotta fra ragione e sentimento, ma al contrario una feconda integrazione fra questi due aspetti della nostra personalità. Vediamo meglio perché.
Intelligente in che senso?
Tradizionalmente l’intelligenza si è sempre misurata sulla base del rapporto fra determinate prestazioni cognitive rese da un soggetto e la performance madia attesa per età e livello di scolarizzazione. Questa visione standardizzata e unitaria dell’intelligenza è quella che ha ispirato le prime misurazioni basate appunto sul concetto di quoziente di intelligenza o quoziente intellettivo (QUI) (Mackintosh, 1998).
Altri Autori hanno raffinato sempre meglio questo concetto col tempo, evidenziando ad esempio quanto le prestazioni intellettive fossero determinate non soltanto da abilità squisitamente verbali, ma anche da performance più concrete e strategiche afferenti ad altri domini di capacità (Wechsler, 1997).
Negli ultimi anni si è andata molto ridimensionando l’utilità del QI, da solo, di discriminare la effettive capacità intellettive di una persona. Nella valutazione della disabilità intellettiva, ad esempio, l’utilizzo del QI ha mostrato tutti i suoi limiti trattandosi di un’approssimazione piuttosto “teorica” del livello di funzionamento cognitivo spesso tuttavia inadeguata a rispecchiare le effettive capacità/difficoltà del soggetto della real life e le sue capacità residue di adattamento.
Ecco perché lo stesso DSM 5 non definisce più la disabilità intellettiva sulla base del QI, ma basandosi sulla severità dell’impairment sul funzionamento adattivo, che è quello che poi determina il grado di supporto necessario (APA, 2014).
Ma, se di capacità di adattamento si tratta, non può sfuggire il fatto che molti del problemi, materiali e immateriali, con i quali ci troviamo a confronto nella vita di ogni giorno non implicano un approccio soltanto razionale, ma chiamano in causa la nostra componente emotiva. Elemento, questo, tutt’altro che marginale, ma una vera e propria risorsa che Mayer e Salovey (1990) prima e Goleman (1995) poi rivalutarono in tempi moderni rendendola addirittura misurabile attraverso test di intelligenza emotiva.
Quoziente intellettivo e quoziente emotivo
Quoziente intellettivo e quoziente emotivo sono dunque due aspetti ugualmente importanti per definire le risorse di una persona, anzi l'intelligenza emotiva di Goleman risulta essere spesso un prerequisito fondamentale affinché le capacità razionali e di ragionamento di un individuo possano dispiegarsi e funzionare al meglio.
In altre parole: se non siamo in grado di gestire le nostre emozioni questo può danneggiare anche la nostra capacità di ragionamento logico e razionale.
Ma non solo, il nostro successo personale e sociale nella vita non dipende solo da cosa sappiamo fare in termini razionali, logici, concreti ma anche da come queste nostre reali o potenziali capacità si accordano con i nostri bisogni, le nostre motivazioni, i nostri sentimenti.
Nulla di quanto facciamo è emotivamente neutro e il perseguire e raggiungere un dato obiettivo non è mai dato soltanto da quanto siamo tecnicamente in grado di farlo, ma anche e soprattutto dai significati emotivi e motivazionali che quell’obiettivo assume per noi. Poter beneficiare di tutto questo dipende molto anche dalla nostra intelligenza emozionale.
Quoziente emotivo: una questione di “modulazione”
Essere emotivi non è dunque un difetto, tutt’altro, purché si utilizzi in modo appropriato questa qualità. Goleman afferma che l’intelligenza emozionale inizia anzitutto dalla capacità di essere consapevoli del proprio stato emotivo per poterlo gestire, rimodulare e eventualmente comunicare ad altri.
Questo primo step è tutt’altro che banale perché implica anzitutto la possibilità di riconoscere uno stato emotivo come tale; alcune persone sperimentano le emozioni sotto forma di somatizzazioni, fame emotiva, stanchezza fisica e rimangono spesso all’oscuro di ciò che stanno provando scambiando una tensione emozionale per uno stato di disagio fisico.
In secondo luogo, avere un adeguato quoziente emotivo, implica la capacità di gestire i propri stati d’animo senza lasciarsi sopraffare da essi. In altre parole: non è sufficiente riconoscere un’emozione come tale è necessario anche saperla “modulare” affinché non acceda di intensità paralizzando la capacità di pensare del soggetto.
Si pensi alla manopola del volume delle vecchie autoradio: l’intensità del suono non varia in modo discontinuo fra uno zero e un massimo (come accade ad esempio per l’interruttore della luce) ma viene appunto “modulata” per gradienti di intensità man mano crescenti o decrescenti che variano in modo graduale e continuo. È un po’ quello che è utile imparare a fare anche con le emozioni che risuonano nella nostra mente: nessuna deve sovrastare troppo in intensità perché i rischio è di oscurare tutte le altre tingendo in maniera monocorde la nostra esperienza.
Si pensi ad esempio ai disturbi dell'ansia – che è già uno stato emotivo piuttosto indifferenziato – è utile provarla in forma misurata perché aiuta a dare la priorità assoluta ad un problema o ad una performance che ci si appresta ad eseguire. Non è più una nostra alleata se invece diventa troppo forte in intensità andando a sabotare la nostra lucidità di pensiero e a oscurare altre sensazioni.
Quoziente emotivo e relazioni interpersonali
Lo step che si è descritto precedentemente riguarda prettamente l’autoconsapevolezza emotiva e la capacità di utilizzarla per reagire agli eventi stressanti e sostenere la motivazione durante una prova o gli sforzi per raggiungere un determinato obiettivo.
Su questo primo pilastro poggia un secondo livello altrettanto importante del quoziente emotivo, e dell’intelligenza emozionale in generale, che quello interpersonale.
Sì perché tanto più siamo in grado di discriminare la emozioni dentro di noi, tanto meglio riusciremo a cogliere gli stati emotivi altrui e ad empatizzare con gli altri.
Questa può sembrare una qualità tutta inerente gli affetti intimi e “privati”, ma non è affatto così; in realtà saper entrare in sintonia con chi ci sta di fronte può rivelarsi un vantaggio anche nel mondo del lavoro. L’intelligenza emotiva è riconosciuta infatti come una delle caratteristiche importanti di un buon leader intendendo con questo qualcuno che sia capace di esercitare autorevolezza, non autoritarismo, e incoraggiare agli altri a impiegare al meglio le proprie risorse per il buon funzionamento e il successo dell’intera azienda.
Questo aiuta anche a saper litigare bene gestendo i conflitti in maniera costruttiva e non distruttiva. In un clima di questo tipo le persone si sentiranno direttamente coinvolte e valorizzate, riconosciute nella loro individualità e quindi più disponibili, motivate, e fiduciose in sé stesse e nel lavoro comune.
Lo aveva capito molto bene Barack Obama, raccogliendo il sentire di diverse componenti del popolo americano, nel suo celebre discorso del noto slogan “Ye, we can!”
Bibliografia
Wechsler, D., Wechsler Adult Intelligence Scale, 3rd, San Antonia (TX), The Psychological Corporation, 1997.
N. J. Mackintosh, IQ and Human Intelligence, Oxford, Oxford University Press, 1998.
Goleman D. (1995), Intelligenza emotiva, Trad. It., Rizzoli 1997.
Maye R J.D., Di Paolo M.T., Salovey P. (1990). Perceiving affective content in ambiguous visual stimuli: A component of emotional intelligence. Journal of Personality Assessment, 54, 772-781.
American Psychiatric Association, Ed. it. Massimo Biondi (a cura di), DSM-5. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2014.