Se dimenticare è un vantaggio evolutivo
Dimmi come dimentichi e ti dirò che memoria hai… Per il corretto funzionamento della memoria è importante non solo la ritenzione dei ricordi a lungo termine, ma anche un’attiva eliminazione di quelli non più necessari. La dimenticanza a quanto pare non è solo un difetto, ma anche un processo fondamentalmente adattivo.
Uscite dall’ufficio al termine di una giornata di lavoro come tante, vi dirigete alla vostra auto facendo mente locale a dove l’avevate parcheggiata questa mattina pronti ad avviarvi a casa. Eppure se qualcuno vi chiedesse dove l’avevate posteggiata ieri o una settimana fa non sareste probabilmente in grado di ricordarlo…
Come mai queste informazioni, che pure hanno “stazionato” nella vostra memoria per l’intera giornata di lavoro, tendono a non essere più disponibili il giorno successivo?
Semplicemente non vi occorrono e sarebbero inutilmente ridondanti. È quanto hanno scoperto alcuni neuroscienziati studiando la memoria del moscerino della frutta e scoprendo che, in effetti, ha interessanti somiglianze anche con la nostra (Berry et al., 2012)!
Dimenticare, nei modi e nei temi opportuni, può essere il miglior alleato della memoria (Bekinschtein, et al, 2018).
La dimenticanza e la memoria autobiografica
Negli ultimi anni sono sempre più numerosi gli studi in ambito neuroscientifico che confermano l’utilità della dimenticanza per il buon funzionamento della memoria, soprattutto di quella autobiografica (Gravitz, 2019).
Non tutti i dettagli di ciò che ci accade conservano la stessa importanza. In condizioni ottimali, la nostra memoria autobiografica tende ad essere “rimaneggiata” col tempo sia in qualità che in quantità. Nell’immagazzinare i ricordi, infatti, operiamo modifiche e aggiustamenti sugli eventi e, al tempo stesso, tendiamo a tralasciare diversi dettagli.
Secondo i neuroscienziati questo è tutt’altro che un male: conservare ricordi meno dettagliati di eventi autobiografici favorirebbe il pensiero astratto e la rielaborazione su di essi. Questo perché ad un ricordo “recente” minuzioso e dettagliato se ne andrebbe man mano a sostituire uno più “globale” e “impressionistico” dove non sono i singoli aspetti, ma il significato generale a rendere disponibile nella nostra mente tale ricordo.
Il motivo potrebbe avere a che fare anche con i processi di rielaborazione e integrazione dei ricordi nell’insieme delle memorie autobiografiche precedenti. Ogni episodio della nostra vita, infatti, assume un certo significato, viene da noi interpretato in un determinato modo, anche in relazione agli eventi passati che in diversa misura hanno contribuito a determinare la nostra identità e le nostre aspettative sul mondo.
Inserire un nuovo episodio autobiografico nella memoria a lungo termine, non significa registrarlo così com’è, alla stregua dell’archiviazione di un video nel nostro pc, ma rielaborarlo e integrarlo nelle altre memorie che definiscono la nostra persona. Le famose madeleine proustiane sono state narrate dall’autore per quei dettagli importanti a rievocare le sue passate memorie infantili, sicuramente egli avrà omesso di ricordare altri dettagli autobiograficamente non rilevanti.
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Dimenticare come processo “attivo”
Quello che ci dicono le neuroscienze, dunque, è che dimenticare può essere non solo un atto di distrazione “passivo”, ma anche un processo attivo mediante il quale la nostra mente elimina il superfluo e rielabora i ricordi secondo i dettagli e le caratteristiche globali soggettivamente più importanti.
Questo sembrerebbe essere un processo utile sia nel bene che nel male: eliminare il superfluo, da questo punto di vista, implicherebbe, sostengono i ricercatori, anche riuscire a “lasciar andare” dettagli negativi delle esperienze traumatiche a tutto vantaggio della salute psicologica. È quanto non avviene invece nella ruminazione mentale che caratterizza il pensiero ossessivo e quello depressivo dove ricordi negativi e dubbi angoscianti vengono reiterati nella mente in modo ripetitivo senza che la persona possa effettivamente rielaborarli in modi utili per l’adattamento.
Dissociazione traumatica e dimenticanza
In ultimo, ma non per importanza, varrebbe la pena accennare al fatto che la dimenticanza, come attività adattiva della memoria, non è da confondersi con episodi di dimenticanza patologica a carattere dissociativo nei quali, cioè, la persona esclude dalla propria memoria interi episodi traumatici della propria vita e/o ne viene improvvisamente travolta mediante flashback intrusivi.
In casi come questi il ricordo dell’evento non è stato registrato correttamente nella memoria e di conseguenza non è stato ancora possibile rielaborarlo e integrarlo negli altri episodi della vita della persona. E' come se quel ricordo rimanesse un’isola separata dalla terra ferma ed è questo, oltre alla natura dell’accadimento in sé, a renderlo ancora così traumatico e sconvolgente.
In questi casi elaborare le memorie traumatiche in psicoterapia implica solo inizialmente ricostruire i dettagli di un evento per come si è svolto; questo è solo il primo passo per un successivo e ricorsivo processo di rielaborazione e risignificazione del ricordo che lo porti gradualmente a perdere sia la sua portata ri-traumatizzante, sia i dettagli non più necessari una volta che sia stato codificato nel resto della memoria autobiografica.
Non tutte le dimenticanze sono uguali dunque, quel che è certo però è che ricordare o dimenticare non rappresentano processi “buoni” o “cattivi” di per sé, tutto dipende dalle funzioni che svolgono nel più globale processo di rielaborazione delle memorie autobiografiche.
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Bibliografia:
Berry, J. A., Cervantes-Sandoval, I., Nicholas, E. P. & Davis, R. L. (2012). Dopamine is required for learning and forgetting in Drosophila. Neuron, 74: 530–542.
Gravitz L. (2019). The forgotten part of memory. Nature Outlook. 571: S12-S14.
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