WhatsApp: quali conseguenze nelle relazioni?
WhatsApp è la chat più famosa di sempre, capace di connetterci con tutti in qualunque momento facendoci risparmiare tempo e migliorando le nostre relazioni…. oppure no?
WhatsApp, se fino ad alcuni anni fa era un’opzione come tante per comunicare con gli altri (all’epoca per la verità prettamente ristretta ad amici e comunicazioni “informali”), oggi sembra essere diventato uno strumento indispensabile per esserci, comunicare, tenere il passo con la velocità alla quale sembra andare il mondo attuale, che si tratti di relazioni private o di contatti formali poco importa...
Eh già perché, ci diciamo, WhatsApp, vuoi mettere, ti fa risparmiare tempo e ti mantiene in contatto con tutti!
Il tempo e il contatto con gli altri… Siamo proprio sicuri di non trovarci di fronte ad un grottesco paradosso cibernetico?
WhatsApp: ci passiamo più di 11 ore al mese
Secondo un’indagine pubblicata sul portale vincos.it, gli Italiani trascorrerebbero in media su WhatsApp più di 11 ore al mese: in pratica l’equivalente di un’intera giornata! Il dato poi salirebbe ancora di più se si considera esclusivamente la fascia d’età dei cosiddetti “Millennials” cioè più o meno i ragazzi e le ragazze tra i 15 e i 24 anni.
Apprendiamo poi da un sondaggio condotto dall’Associazione Nazionale Dipendenze Tecnologiche, Gap e Cyberbullismo che il 51% dei giovani fra i 15 e i 20 anni arriva a controllare lo smartphone in media 75 volte al giorno! Non stupisce quindi che i fenomeni di dipendenza da chat e smartphone siano in constante aumento: è la nomofobia ovvero il malessere e la paura associati a non poter consultare il proprio apparecchio.
Sembrerebbero non proprio delle notizie confortanti rispetto alle attese… ricordate?... Guadagnare tempo ed essere in contatto…
WhatsApp: viviamo nel reale ma guardiamo il virtuale
Votarsi alla tecnologia sempre e comunque per essere sempre connessi, sempre reperibili, di giorno e di notte, nel pubblico e nel privato sembra si stia rivelando una trappola dalla quale per altro non sarebbe sempre così facile uscire.
Il fotografo Eric Pickersgill ha effettuato una serie di scatti fotografici che ritraevano le persone in scene ordinarie della loro vita quotidiana rimuovendo però dalla foto il cellulare che era al centro delle loro attività.
Ne è risultato uno spaccato decisamente inquietante di quella che è diventata oggi la quotidianità: anche in presenza di altre persone, compresi il partner o i figli, siamo con gli occhi bassi “catturati” dallo schermo dello smartphone, quello che, dicevamo prima, ci tiene sulla chat di WhatsApp per 11 ore al mese…
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WhatsApp: un surrogato delle relazioni?
La messaggistica di WhatsApp sembra aver rapidamente soppiantato i tradizionali SMS per la gratuità del servizio e per le funzioni ben più evolute che consentono con facilità e immediatezza di inviare emoticons, immagini, foto e allegati di ogni tipo.
Questa modalità “smart”, “free” e apparentemente “leggera” di comunicare sta però offrendo un pericoloso surrogato delle relazioni “reali” e rischia di tenerci in ostaggio 24 ore al giorno distogliendoci dal mondo reale, concreto fatto dei 5 sensi e delle comunicazioni vis a vis che dovrebbero sostanziare il contatto con l’altro, almeno di tanto in tanto…
WhatsApp ci svincola dal dover sostenere lo sguardo dell’altro, dal dover adeguare il nostro discorso a ciò che l’altro ha da dire, dal dover sostenere nel “qui e ora” le conseguenze interpersonali di ciò che scegliamo di comunicare…
WhatsApp riduce facilmente l’altro ad oggetto, a mero destinatario con cui si “parla” protetti dallo spazio virtuale, con cui non ci si confronta se non in differita in una serie di “botta e risposta”, con cui si conversa dal serio al faceto mentre di sta facendo altro.
E in questo vorticoso “mordi e fuggi” si scrive d’impulso, si invia una faccina sorridente invece di mostrare un’espressione offesa o arrabbiata, sembra sia più facile perdere il contatto umano piuttosto che ritrovarlo.
Ma WhatsApp non doveva servire a farci risparmiare tempo e a mantenerci in contatto?
Come si dice, “la strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni”.
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