Si può avere paura della felicità?
Si può avere paura della felicità? Che senso può avere temere di esprimere o reprimere le emozioni positive? Eccitazione, entusiasmo, soddisfazione personale o tranquillità sembrano tutti stati emotivi valorialmente desiderabili e positivi di per sé tanto che sembra paradossale che in certe condizioni la mente possa avere difficoltà e gestirli e ad esprimerli. Cosa intendiamo per emozioni positive o negative è tuttavia una questione affatto semplice: è la nostra capacità di gestire ed esprimere le emozioni – qualunque sia la loro coloritura affettiva - a contribuire al benessere psicologico.
Alcuni studi hanno esplorato in che modo certi stati emotivi apparentemente desiderabili sembrerebbero venir evitati in certe condizioni come l’ansia e la depressione come se la mente sembrasse aver paura della felicità, temendo di perdere il controllo o di non meritare serenità e tranquillità. Ma cos’è la felicità? Esistono emozioni per definizione “positive”? Quello che fa la differenza è in realtà il modo di gestire la nostra vita emozionale; molti disagi psicologici possono essere ricondotti ad una disregolazione degli affetti che ci rende difficile sia gestire i momenti di difficoltà, che godere di quelli di felicità e benessere.
Ansia e paura della felicità
Uno studio condotto nel 2010 da alcuni ricercatori statunitensi (Olatunji, O., et.al., Linking cognitive avoidance and GAD symptoms: The mediating role of fear of emotion, Behavior Research and Therapy, 48, 5, 2010, 435-441) ha esplorato il ruolo giocato dalla paura delle emozioni nel mediare il rapporto tra evitamento cognitivo e sintomatologia del disturbo d’ansia generalizzato (GAD). Quello che i ricercatori hanno messo in evidenza è quanto l’incapacità di confrontarsi con gli stati emotivi propri e altrui alimenterebbe il meccanismo di evitamento cognitivo che è associato con l’ansia generalizzata. Le persone con un disturbo di questo tipo sembrerebbero in tal senso avere paura della felicità poiché stati affettivi desiderabili e potenzialmente fonte di soddisfazione personale sarebbero vissuti come un potenziale pericolo, una minaccia della perdita del proprio senso di autocontrollo e un elemento, quindi, di vulnerabilità.
Disturbi dell’umore e gestione delle emozioni positive
Un altro studio condotto presso il dipartimento di psicologia dell’università di Yale (Gilbert, K., et.al., Positive emotion dysregulation across mood disorders, Behavior Research and Therapy, 51, 11, 2013, 736-741) ha indagato la disregolazione delle emozioni positive nelle persone soggette a disturbi dell’umore come bipolarismo e depressione maggiore. Differenti strategie di gestione delle emozioni positive erano associate ad un miglioramento o ad un peggioramento del disturbo. In particolare smorzare l’impatto degli stati emotivi positivi sembrerebbe correlato ad un aumento della reattività alle emozioni negative, intensificazione della frequenza cardiaca e degli episodi maniacali nelle persone con bipolarismo. Al contrario, ritornare ricorsivamente col pensiero ai vissuti positivi amplificandone in tal modo gli effetti sembrerebbe correlato ad un miglioramento del tono dell’umore sia nei soggetti con bipolarismo che con depressione maggiore. Non è una questione di avere banalmente paura della felicità, ma quella di essere in grado di vivere consapevolmente gli stati emotivi, anche quelli positivi, e di poter pensare su di essi, invece di subirli come tempeste potenzialmente soverchianti da cui difendersi.
Felicità e regolazione affettiva
Moderne concettualizzazioni in ambito psicosomatico e psicoanalitico reinterpretano i disturbi dell’umore come i disturbi d’ansia alla luce del concetto di regolazione affettiva considerando, in tal senso, come alla base di questi ed altri disagi psicologici e disturbi psichiatrici, possa essere utile riconoscere l’incapacità a gestire, pensare e riconoscere le emozioni in sé e negli altri e di utilizzarle come base per il pensiero e la motivazione. Si fa presto a dire felicità: in realtà godere di stati di benessere risulterebbe essere una competenza psicologica non scontata, al pari del saper gestire le difficoltà. Non è la qualità ideologicamente “positiva” o “negativa” delle proprie emozioni a fare la felicità, ma e la possibilità di accedere ad una regolazione sana della propria vita emozionale a fare la differenza sul benessere psicologico.
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