101 modi per allenare l'autostima: intervista a Luca Stanchieri
Cos’è l’autostima? È possibile allenarla e farla diventare più forte? E in che modo? Luca Stanchieri è autore di "101 modi per allenare l'autostima", un manuale per imparare a relazionarci con noi stessi in modo più sano e, di conseguenza, per vivere i rapporti interpersonali in modo più sereno. Gli abbiamo chiesto di spiegarci le caratteristiche dell'autostima
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Luca Stanchieri, autore di 101 modi per allenare l'autostima, è un life coach professionista e conduce seminari orientati alla realizzazione dell’individuo. Autore di molti libri sull’argomento, ha partecipato come esperto a numerosi programmi TV e ha condotto la trasmissione Adolescenti: Istruzioni per l’Uso, trasmessa su Sky e su La7. È presidente dell’Associazione Italiana Coach Professionisti e responsabile didattico della Scuola Italiana Corporate e Life Coaching. Lo abbiamo intervistato per saperne di più sull'autostima: cos'è? Quanto influisce sui nostri obiettivi? Come ci aiuta ad esprimere le nostre potenzialità?
Un bambino possiede naturalmente un senso di sé positivo: crescendo come cambia il rapporto con l’autostima?
Possiamo definire due coordinate di analisi per verificare i cambiamenti di un essere umano in relazione all’autostima: il primo concerne il ciclo di vita; il secondo la cultura in cui si fa esperienza. La preadolescenza è un banco di prova molto delicato. Soprattutto nelle grandi città, il bambino è privato dell’autonomia. L’adulto è sempre presente e organizza la sua socialità a tempo pieno. Sembra fantascienza, ma un tempo i bambini giocavano per strada, nei campi o nei cortili senza gli adulti. Questo permetteva loro di misurarsi in ambienti non coperti dal senso di preoccupazione dei genitori. le esperienze relazionali erano magnifiche e traumatiche, divertenti e paurose. Oggi sono ovattate.
L’ingresso nella I media rompe con questo clima. Si incontrano pari non sempre “ben educati”. Cominciano gli scherzi, i sarcasmi, le prese in giro. Comincia il senso di vergogna di essere bambino e la volontà di essere ragazzo. La base psicologica è lo sviluppo dell’autonomia, la volontà di rompere i cordoni, la necessità di saggiare l’indipendenza. Ma il contesto in cui avviene è culturale. Il primo banco di prova dell’autostima non è solo nel rapporto con gli adulti, ma nel rapporto con i propri pari. Il complesso compito evolutivo di costruire la propria identità differenziata e al contempo la necessità vitale di integrarsi possono entrare in conflitto. È come navigare in mare aperto all’improvviso, dopo essersi allenati con un canotto in piscina.
Il secondo terreno è la cultura. Nel provarsi come soggetto autonomo, capace di performance e di idee, di analisi e di progettualità, di obiettivi e di sogni, l’adolescente deve fare per la prima volta i conti con una cultura che è avversa alla valorizzazione individuale. La scuola è il primo contesto in cui l’autostima viene messa alla prova. Per comprendere come la scuola sia antitetica all’autostima, basta pensare al fatto che non è mai stata prevista una didattica per la formazione dei talenti. Il termine “personalizzazione” della didattica fu inserito per gli studenti disabili. Come a dire che per tutti gli altri andava benissimo una didattica spersonalizzata.
Ci sono inoltre studi che hanno dimostrato come le ragazze entrano nella preadolescenza con un alto livello di autostima e ne escono con un livello bassissimo. La cosa interessante è che il declino dell’autostima è tanto più repentino quanto più alto è il rendimento scolastico. Tanto più studiano, tanto più si detestano. La causa sta anche in quello che studiano. Pensiamo all’arte, alla scienza e alla letteratura: la storia è scritta da maschi per i maschi. Eppure oggi sono le giovani ad essere più determinate nel farsi una cultura e nel darsi obiettivi. Lo fanno “contro” il contesto. Devono lottare per affermarsi.
Autostima sicura e autostima fragile: qual è la differenza?
L’autostima è la convizione di riuscire a raggiungere obiettivi di felicità grazie all’espressione e all’allenamento delle proprie specifiche potenzialità personali. L’autostima come convinzione dunque può avere diversi livelli “quantitativi”. Si va da un estremo negativo ad uno positivo. Nell’estremo negativo troviamo il disprezzo di sé: la convinzione che siamo degni solo di infelicità; che meritiamo il peggio dalla vita; nell’estremo opposto l’autostima sicura, ovvero la convinzione e la motivazione ad affermarsi, realizzarsi, costruirsi e costruire condizioni di felicità, per quanto possibile nei contesti attuali. L’autostima sicura non è un punto di arrivo, ma un punto di partenza che permette progettualità, autosuperamento, proattività, cura di sé, crescita e sviluppo. È dinamica nel suo incedere.
L’autostima fragile al contrario è statica. La persona cerca sempre di provare il suo valore. Vive nella diffidenza verso se stesso. Si vede come un nemico fino a prova contraria. E ricerca sempre queste prove contrarie, senza comprendere che il problema non è nella performance, ma nell’amore verso se stessi. Ogni sconfitta è un ritorno al punto di partenza. Non c’è progettualità, ma solo un insieme di prove; una dinamica “puntiforme” dove ogni passo è a sé stante. È un’autostima fragile e faticosissima al tempo stesso.
Perché si tende ad attribuire alla mancanza di autostima la causa dei nostri insuccessi personali?
Ci sono due tipi di insuccessi: il fallimento e la rinuncia. Il fallimento, nonostante venga recepito come cosa tremenda, è un veicolo di straordinarie lezioni. Ricordiamo che fallisce colui che si era dato un obiettivo, un piano e si è impegnato per realizzarlo. Nella ricerca scientifica, ogni fallimento è parte della storia della conoscenza e della ricerca del bene e del vero. Ogni successo è frutto di molteplici fallimenti. Colui che ha un’autostima sicura sa che ogni esperienza, per quanto negativa, è parte del suo percorso di realizzazione. È la sua stessa storia. Tutto sta nella capacità di apprendimento. È questa la competenza fondamentale che va allenata. Mantiene intatta l’autostima e al contempo fa crescere la possibilità di raggiungere i propri desideri. La rinuncia è un’altra cosa. Chi rinuncia ha problemi di autostima alla base. È rifiutarsi di giocare per paura di perdere. La rinuncia come atteggiamento mentale e sentimentale, a differenza del fallimento, non permette alcuna crescita. E’ il fallimento del sé, che si chiude per non provarsi nel mondo. Non ci si accorge che evitando la paura del rischio, si entra nella certezza della depressione.
Lei scrive: “La nostra sofferenza non deriva dal male, ma da un bene che non riesce a esprimersi. Da una felicità che preme per realizzarsi”. In che modo possiamo imparare a esprimere al meglio le nostre potenzialità?
Imparando e reimparando a sognare. Il sogno ad occhi aperti è l'immagine guida di ciò che un uomo vorrebbe utopicamente essere e divenire. È preparatorio dell'opera artistica, ma anche dell'ipotesi scientifica. Il sogno anticipa e potenzia l'impresa futura che può essere sociale, scientifica, estetica, esistenziale. Il sogno ad occhi aperti è una necessità vitale. Prima che un costruttore conosca il suo stesso progetto, lo deve sentire, vedere la sua anticipazione come in un sogno, una visione in avanti decisamente stimolante. Nel sogno, nella sua attività onirica, l'uomo guarda il futuro, e questo spettacolo lo carica di desiderio, lo motiva al pensiero. I sogni ad occhi aperti nascono sempre da una mancanza, e vogliono eliminarla, ma se coltivati, se lasciati fiorire, superano di gran lunga il motivo negativo che li ha originati (la mancanza) e rappresentano una vita migliore.
Non c'è dubbio che ci possono essere anche sogni di fuga, sogni che sostituiscono la realtà invece di modificarla. Ciò che distingue i sogni positivi da quelli di fuga, è l'energia che infondono, il coraggio che esprimono, la sensazione che suscitano. I sogni di fuga convivono con la paura, la irradiano; i sogni ad occhi aperti coinvolgono, come splendidi film. I sogni ad occhi aperti danno l'energia che non rinuncia, che continua a cercare, superando il mero presente, per un futuro nuovo. È attraverso il sogno che scopro ciò che mi gratifica. E attraverso ciò che mi gratifica scopro le mie autentiche potenzialità. Il passo successivo è combinare sogno e realtà, trasformando la visione in un progetto e le potenzialità in competenze.
L’allenamento dell’autostima si ricollega agli esercizi spirituali dei filosofi greci e al coaching umanistico: quali sono i benefici di questo metodo?
L’essere umano appare dotato di una facoltà essenziale: quella di lavorare su se stesso. Può rendere il sé un compito infinito, migliorarsi, innalzarsi oppure degradarsi, banalizzarsi in un campicchiare triste e ripetitivo. L’allenamento verso vette impossibili che diventano probabili è il modo con cui l’uomo si esercita ad ampliare la propria visione del mondo e della vita contro la ripetizione maligna. L’essere umano crea e si crea attraverso l’allenamento, l’ascesi, le acrobazie. Ognuno di noi si allena tutti i giorni. Un giovane di venti anni che è incapace di sognare su se stesso si è allenato per anni al pessimismo, alla rinuncia, al ripriegamento, al piacere futile, inappagante e consumistico. Un uomo di quaranta anni che non ha desideri è frutto di un programma di esercizi quotidiano in cui ha lentamente abdicato alla sua natura individuale. Siamo frutto dei nostri programmi di allenamento. Questo significa che se la meta è chiara, positiva, generativa di felicità, possiamo progettare esercizi intenzionali che ci permettono di viverla mentre stiamo cercando di raggiungerla. I benefici sono di due tipi: l’espressione gratificante delle proprie potenzialità e la cura del nostro specifico talento.
Quanto l’autostima influenza il nostro percorso di crescita personale?
L’autostima è correlata in modo ricorsivo alla crescita personale. La cura di sé implica autosviluppo e proattività, autoaffermazione e socievolezza. A sua volta, la gratificazione dell’essere veicola la capacità di amare, amarsi ed essere amati. Avere autostima e coltivare la propria crescita è un atto di amore.
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