Il significato di prendere Rifugio

Il senso del Rifugio, l'atto formale del diventare un praticante buddhista e un approccio realistico e responsabile alla pratica del buddhismo spiegati dal 17° Karmapa, guida della scuola Karma Kagyu del buddhismo tibetano

Il significato di prendere Rifugio

Il significato di Prendere Rifugio

Il 17° Karmapa Ogyen Trinley Dorje

Credo che il modo migliore per introdurre l’idea di prendere Rifugio sia iniziare con delle domande: da cosa cerchiamo Rifugio? Da cosa stiamo cercando Protezione? Cosa o chi può offrire questa Protezione o Rifugio?

Iniziando da chi ci protegge realmente, direi che la risposta comprende due aspetti:

-          La fonte di protezione diretta

-          Le fonti di protezione indiretta

Chi offre protezione diretta siamo noi stessi. Come viene detto negli insegnamenti, dovremmo diventare i protettori di noi stessi. Del resto chi altri può proteggerci? La ragione sta nel fatto che la responsabilità di proteggere noi stessi dalla sofferenza immediata e a lungo termine è solamente nostra.

Il Buddha ci protegge mostrandoci il Sentiero, ci mostra veramente il Sentiero che porta alla fine della sofferenza, questo è il modo in cui ci offre protezione. Non ci protegge direttamente dalla sofferenza, il Buddha ha la capacità di guidarci sul Sentiero che porta alla fine della sofferenza ma solamente facendoci vedere il Sentiero.

Credo che questo sia l’unico modo realistico per spiegare veramente il significato del prendere Rifugio. Se dicessi che il Buddha ci protegge,  potreste capire che non il nostro impegno non è necessario e che il Buddha ci protegge dalla sofferenza, e questo sarebbe erroneo.

Tuttavia, consideriamo sia il Buddha che il Sangha fonti di Rifugio, perché il Buddha ci mostra il Sentiero per la Liberazione, il Sangha perché ci aiuta, assiste e guida lungo il Sentiero. Sono quindi delle fonti di Rifugio perché ognuna di esse facilita il nostro percorso sul Sentiero per la Liberazione.

I mezzi abili, o il metodo, attraverso il quale riceviamo protezione è il Dharma, perché è con la pratica del Dharma autentico che veniamo veramente protetti. Un semplice modo per spiegare questo aspetto è che, in quanto esseri umani, possediamo un attributo non comune alle altre specie che vivono su questo pianeta, ovvero la capacità di prendere decisioni morali che possono diventare la causa per raggiungere una felicità a lungo termine.

Questa capacità e le scelte di tipo morale che possiamo compiere formano la base di tutta la nostra pratica spirituale. Senza questo presupposto, non ci interesseremmo neppure alla ricerca della Liberazione, o Risveglio. E’ a causa di questa capacità che speriamo di Liberarci.

E’ da questo fondamento che speriamo e cerchiamo attivamente di arrivare alla fine della nostra sofferenza, ed è questa speranza per la fine futura della nostra sofferenza che diventa il punto di partenza del nostro Sentiero spirituale. E’ questa speranza che ci porta a cercare un metodo autentico che ci porterà a quel risultato, ed è da questo attributo non comune che arriva la capacità di raggiungere questo scopo.

Il Buddha


Esattamente come quando impariamo una qualsiasi disciplina mondana, dobbiamo per prima cosa trovare un insegnante valido e preparato. Anche per il Dharma è così, possiamo impararlo da un insegnante saggio e con esperienza che, nel caso del buddhadharma, è il Buddha che apparve in questo mondo 2500 anni fa come Buddha Sakyamuni, una maestro spirituale che diede una grande quantità di insegnamenti ai suoi discepoli.

Quando si parla del Buddha pensiamo a qualcuno di lontano, persino celestiale, come se pensassimo al Buddha nella terra pura di Akanista, o cose del genere. Tuttavia, è importante ricordare che il Buddha è venuto al mondo come un essere umano, visse tra altri esseri umani che potevano conversare e comunicare con lui che era in questo mondo nella veste di un buon insegnante.

Il Dharma


Noi esseri umani abbiamo l’intelligenza necessaria per imparare una grande varietà di argomenti diversi e proprio per questo possiamo imparare il Dharma. Quello che chiamiamo Dharma è ciò che è stato insegnato dal Buddha, le sue parole, i suoi discorsi, i suoi insegnamenti, questo è il Dharma. E’ importante comprendere che il Buddha insegnò il Dharma e che questo è successo nella storia umana, non dobbiamo pensare che il Buddha fosse una specie di presenza nel cielo, o che il Dharma fosse una cosa misteriosa sorta da nessun luogo, come un suono proveniente dal cielo.

Il Dharma è sorto nella storia dell’umanità come l’insegnamento del Buddha e abbiamo informazioni sia sulla sua vita, sia sulla storia del Dharma. Il Buddha nacque come un principe e godette di grandi lussi nella corte di Kapilavastu. Nei Sutra si trovano molti dettagli sull’estensione di questi lussi, tuttavia non so  bene come prenderli perché mi chiedo se in quell’epoca un re minore potesse realmente disporre di tanto. In ogni caso, storicamente era un principe, visse in un palazzo e, gradualmente, iniziò ad esaminare gli aspetti della vita e la presenza della sofferenza; tutto questo lo condusse a comprendere le sofferenze della nascita, della vecchiaia, della malattia e della morte.

Questa comprensione lo ispirò a cercare un Sentiero spirituale per il quale rinunciò al regno e alla corte, lasciò la moglie e suo padre, dato che sua madre era già morta. Si inoltrò nella foresta dove visse per sei anni praticando meditazione e grande austerità.

In quel modo e attraverso grande impegno e austerità scoprì il significato della vita, la propria natura e alla fine raggiunse quello che chiamiamo Buddhità, o Risveglio. È molto difficile descrivere la Buddhità, suppongo si possa dire che si tratta di un tipo di comprensione, certamente il significato ordinario della parola “comprensione” non comunica la sua profondità. Probabilmente dovremmo dire che sviluppò una grande comprensione della natura dell’esperienza umana, della sua stessa natura.

Nemmeno il Dharma ha origini misteriose, non è un suono che possiamo sentire echeggiare nel cielo, come in un sogno. Il Dharma è la saggezza esperienziale che il Buddha ha ottenuto attraverso intenso sforzo e grande austerità. Quell’esperienza, o saggezza che in seguito il Buddha insegnò, o spiegò, è il Dharma. Capire l’origine del Dharma è molto importante.

L’Arya Sangha e il Sangha


Nell’Uttaratantra si legge che “dal Buddha viene il Dharma, dal quale viene l’Arya Sangha.”. Il Sangha quindi sorge da in conseguenza del Dharma. Il primo e ben conosciuto insegnamento del Buddha fu quello che diede al Parco dei Cervi a Varanasi, ai primi cinque discepoli. Questo fu il suo primo insegnamento e questi discepoli furono l’inizio del Sangha e dell’Arya Sangha. C’è una sequenza, una logica progressione dal Risveglio del Buddha all’emergere del Dharma e del Sangha. Tutto questo è parte della storia dell’umanità.

Noi esseri umani quando impariamo qualsiasi cosa, cominciamo imparando da un insegnante, ma quando approfondiamo I nostri studi e miglioriamo nella disciplina che stiamo imparando, nel corso della nostra vita passiamo per diverse esperienze di felicità e infelicità. Non possiamo affrontare queste esperienze da soli, abbiamo bisogno dell’aiuto di altre persone, come i nostri amici, o i partners, che ci aiutano a sopportare il peso di queste esperienze. Questa amicizia, assistenza e supporto ci permette di affrontare il peso della nostra vita; questo aspetto di amicizia è il ruolo del Sangha.

L’approccio all’insegnante spirituale


Nello shravakayana del vicolo dei Sutra per esempio, viene insegnato che consideriamo il nostro insegnante spirituale come un amico, o un consigliere. Nei sutra si usa l’espressione Kaliana-mitra, o amico spirituale, e il senso è che l’insegnante spirituale è come il nostro migliore amico, un amico di cui ci si può fidare totalmente, un amico completamente affidabile. Come indica la parola spirituale, la sua funzione è di mostrare e guidare sul Sentiero della virtù.

Nei Sutra l’insegnante spirituale è considerate come un amico completamente affidabile. Nel Vajrayana, invece, l’insegnante spirituale viene spostato dal livello di Sangha al quello di Buddha. Dico questo perché credo sia importante che quando iniziamo il Sentiero approcciamo l’insegnante spirituale come un amico spirituale. Se cercassimo di vedere l’insegnante spirituale come un Buddha già dall’inizio, potremmo non essere in grado di farlo.

Nei Sutra Mahayana viene spesso detto che l’amico spirituale ha la stessa importanza del Buddha, ma è in qualche modo diverso dalla visione Vajrayana dove l’insegnante spirituale dovrebbe essere visto come un Buddha. Penso che le differenze che troviamo nelle descrizioni dei ruoli e delle attitudini verso l’insegnante spirituale riflettano proprio la capacità dell’individuo sul Sentiero in un dato momento. Per questo credo sia difficile per noi cercare di vedere l’insegnante spirituale come un Buddha già dall’inizio.

La cosa principale all’inizio è vedere l’insegnante spirituale come un buon amico. E’ anche importante che l’insegnate spirituale sia qualificato, e la qualifica maggiore è indicata dal concetto di amicizia, la sua affidabilità e che sia assolutamente degno di fiducia. Se l’insegnante spirituale è inaffidabile e non degno di fiducia sorgono dei problemi. Quindi credo sia importante iniziare con la comprensione dell’insegnante spirituale come il nostro migliore amico, il nostro amico spirituale.

Tornare alla realtà


Giorni fa ho pensato ad una nuova ragione per cui siamo stati istruiti ad immaginare il nostro maestro come un Buddha. Non so se sia un motivo completamente corretto, ma penso che potrebbe essere utile spiegarvelo.

Credo che la ragione possa essere perché ci facciamo tante fantasie sul Buddha. Sappiamo che il Buddha era supremo e per questo lo consideriamo superiore a chiunque altro. Dal momento che non abbiamo incontrato il Buddha, quando consideriamo i suoi attributi e le sue qualità, quindi gli aspetti su cui si la basa la sua superiorità, proviamo ad immaginarli e questo è un processo per lo più di fantasia e fa diventare il Buddha una figura in qualche modo fantastica. Dato che abbiamo nella nostra mente idee fantasiose sul Buddha, se non pensiamo al maestro come al Buddha rischiamo di vederlo come una persona ordinaria, come noi. Incontriamo il maestro, che è un essere umano come noi, mentre pensiamo al Buddha come una figura sovraumana. Questo può portarci ad ignorare il fatto che fondamentalmente il Buddha era come i nostri guru, quindi meditiamo sulla figura del guru come il Buddha per colmare il margine che si crea tra le nostre fantasie sul Buddha e la realtà del ricevere il Dharma dai nostri maestri.

Per esempio, il Buddha apparve in questo mondo 2500 anni fa e penso che le persone dell’epoca lo vedessero come noi vediamo I nostri maestri, perché le proiezioni che persone avevano all’epoca le abbiamo anche noi adesso. Quando parliamo degli attributi del Buddha, anche degli attributi fisici, come i 32 segni minori, ne parliamo in termini fantastici e questo ci porta a crearci delle fantasie irrealistiche sul Buddha. Uno dei 32 segni minori del Buddha è la pelle “palmata” tra le dita delle mani e dei piedi. Quando sentiamo questo immaginiamo a qualcosa simile alle zampe dei cigni o delle anatre! Delle persone hanno fatto delle ricerche basate su queste interpretazioni e sono giunte alla conclusione che il Buddha doveva essere un alieno giunto da un altro pianeta! Penso che la descrizione di questo segno non significhi che il Buddha avesse mani e piedi palmati, penso piuttosto che si trattasse di luce. Ai tempi del Buddha tutti indossavano sandali infradito, se il Buddha avesse avuto i piedi palmati non avrebbe potuto indossare gli infradito. Cito questo esempio soltanto come un esempio per la nostra tendenza a creare fantasie e ad esagerare gli attributi del Buddha.  Benché il Buddha fosse un essere supremo, abbiamo bisogno di tornare alla realtà, senza permettere che la nostra devozione per il Buddha rimanga confinata nel regno della fantasia.

Penso che per ricordare a noi stessi il fatto che il maestro ha realmente qualità di realizzazione e libertà come quelle del Buddha, immaginiamo e pensiamo al maestro come il Buddha, come un modo per tornare dal regno della fantasia al regno della realtà. Questo è un processo necessario, altrimenti sviluppiamo aspettative di ogni genere. Una volta delle persone sono venute ad un colloquio con me e mi hanno detto che, finché non mi hanno visto non avevano mai pensato che Karmapa fosse una essere umano che si poteva veramente incontrare in questo pianeta! Abbiamo tante idee del genere.
Il maestro spirituale esteriore e il maestro spirituale interiore

Per tornare al concetto di prendere Rifugio, siamo noi a proteggere direttamente noi stessi, mentre indirettamente siamo protetti dal Buddha e dal Sangha e il metodo attraverso il quale siamo protetti, il metodo per la nostra protezione è la pratica del Dharma. Se capiamo che il vero significato di prendere Rifugio è praticare correttamente il Dharma genuino, a quel punto stiamo prendendo Rifugio in modo autentico. Il semplice recitare i voti del Rifugio dando aria alla bocca non basta.

Per prenderci la responsabilità della nostra vita, dobbiamo richiedere  protezione a noi stessi,  benché siamo portati a cercare protezione all’esterno. Alla fine è su di noi che dobbiamo puntare il dito. Ci proteggiamo attraverso la pratica del Dharma. Questo punto include anche l’idea dell’amico spirituale, o insegnante spirituale, di cui abbiamo certamente bisogno.

Alcune persone a volte dicono che, se devono diventare i protettori di loro stessi, non hanno bisogno di un insegnante spirituale. Questo è un ragionamento eccessivamente estremo, avere un’insegnante spirituale è una necessità di carattere pratico e questa funzione è del Buddha e del Sangha.

In ogni caso, esistono due aspetti del’amico spirituale: l’amico spirituale esteriore e l’amico spirituale interiore. L’amico spirituale esteriore è il nostro insegnante e la sua funzione è quella di insegnarci come fare scelte morali corrette e come percorrere il Sentiero. L’amico spirituale interiore è la facoltà presente dentro di noi, colui che pratica il Sentiero indicato dall’amico spirituale esterno, colui che pratica in maniera corretta.

Il successo degli insegnamenti e dell’attività dell’amico spirituale esterno dipende dal fatto che il nostro amico spirituale interno pratichi correttamente o meno. Se il nostro amico spirituale interiore, quello che sta dentro noi stessi, non segue le istruzioni dell’amico spirituale esteriore, questo ha fallito. Quindi, in ultima analisi, tutte le dita sono puntate su di noi.

Questo può sembrare pesante, ma non c’è pressione. Immagino che per evitare di farvi sentire sotto pressione dovrei parlare della vacuità!

©Kagyu Samye Dzong Venezia 2012