Psicologia ambientale e rendimento lavorativo

Da tempo la psicologia del lavoro e delle organizzazioni ci insegna quanto il rendimento lavorativo non sia una variabile individuale ma piuttosto correlata a quello che è il clima e il funzionamento sistemico dei contesti di lavoro. Anche l’organizzazione e la disposizione degli spazi tuttavia è in grado di fare la differenza: è quello che ci insegna la psicologia ambientale.

Psicologia ambientale e rendimento lavorativo

Se l’abito non fa il monaco, il tipo di ufficio e di spazio di lavoro può però fare la differenza sul rendimento lavorativo; è quanto insegna la psicologia ambientale, una branca della psicologia che studia come l’ambiente fisico e l’architettura degli spazi influenzano la mente e il comportamento delle persone, in questo caso in un contesto di lavoro.

 

Rendimento lavorativo e spazi di comunicazione

Diversi studi di psicologia ambientale hanno evidenziato l’enorme importanza che riveste la componente “materiale” e “spaziale” dell’organizzazione degli uffici e dei luoghi di lavoro nell’influenzare il rendimento lavorativo. Sì perché tali fattori vanno ad incidere sui lavoratori non solo dal punto di vista ergonomico-funzionale, ma sono in grado di influenzare e rendere o meno possibili certe forme di comunicazione e di relazione rispetto ad altre. In particolare, secondo la Buffalo Organization for Social and Technological Innovation (BOSTI), gli aspetti ambientali che più incidono sull’efficacia e l’efficienza di un gruppo di lavoro – a prescindere dal grado di antonimia o di subordinazione del lavoro stesso - sono quelli legati alla facilità di accesso e comunicazione e alla presenza di spazi condivisi e distinti per incontri e scambi sia formali che informali (si veda la sit com di Camera cafè dove le grottesche vicende dei dipendenti sono ambientate davanti alla macchinetta del caffè nell’area relax della loro azienda).

 

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Psicologia ambientale e tipologie di ufficio

E’ possibile osservare come differenti tipologie di uffici rispecchino il grado di autonomia o di subordinazione del lavoro e del tipo di interazione sociale (più formale o informale, più o meno gerarchica) da esso prevista: dalla tradizionale catena di montaggio che azzera qualunque autonomia spaziale e relazionale; agli alti divisori che separano invece i professionisti di un ambulatorio o uno studio medico che lavorano in piena autonomia senza interfacciarsi né coi colleghi né con la dirigenza; alla maggior fluidità di confini e condivisione di spazi della redazione di un giornale dove il lavoro di ognuno è in stretta interdipendenza con quello degli altri.

 

Il rendimento lavorativo in ambienti ambivalenti

Là dove invece l’organizzazione dello spazio di lavoro è ambivalente o non adeguata questo può avere ripercussioni negative sul rendimento lavorativo. Ne sono un esempio gli “alveari” delle postazioni dei call-center dove gli esigui divisori fra gli operatori simulano un’illusoria autonomia lavorativa (anni fa rispecchiata anche da modalità contrattuali altrettanto fuorvianti) di fatto subordinata alle direttive aziendali emanate in tempo reale dal centro degli immensi e rumorosi open-space dove questi si trovano (si vedano il film “Tutta la vita davanti” di Paolo Virzì o il documentario “Parole sante” di Ascanio Celestini). 

L’ambiente di lavoro quindi influenza il rendimento lavorativo, non solo per il tipo di comfort che questo è in grado di garantire, ma soprattutto per il tipo di relazioni che l’organizzazione degli spazi consente in relazione al grado di autonomia o subordinazione del proprio lavoro.

 

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Immagine | vitorcastillo