L'esperimento di Zimbardo, un classico da non seguire

L'esperimento di Zimbardo è un altro classico della psicologia sociale che non sarà possibile ripetere per motivi etici. Lo scopo era quello di osservare l'influenza del ruolo sul comportamento individuale. Purtroppo l'adesione al contesto proposto fu così forte da bloccare l'esperienza dopo soli 6 giorni.

L'esperimento di Zimbardo, un classico da non seguire

L'esperimento di Philip Zimbardo del 1971 è un altro classico della psicologia. Il lavoro si basò sulla costruzione di uno scenario fittizio attraverso cui ricreare delle dinamiche sociali. L'esperimento andò così bene che i partecipanti si lasciarono coinvolgere eccessivamente e le conseguenze non furono piacevoli per tutti. Nonostante gli apporti conoscitivi, l'esperimento di Zimbardo è noto anche per i suoi risvolti etici.

 

L'obiettivo dell'esperimento di Zimbardo

La domanda alla base del famoso esperimento di Zimbardo del 1971, noto anche come l'esperimento delle carceri, si focalizzava sull'influenza del ruolo sociale, seppure fittizio, sul comportamento e sul benessere mentale di individui senza nessuna problematica diagnosticata. L'idea si basava su alcune teorie di Gustave LeBon il quale teorizzava gli effetti spersonalizzanti di una folla. Zimbardo cercò di comprendere se l'adesione ad un gruppo e ad un ruolo sociale agevolasse non la spersonalizzazione, bensì una certa perdita di consapevolezza e di responsabilità, facilitando al contempo la comparsa di comportamenti antisociali. Una volta compreso l'obiettivo, si comprende immediatamente che lo scenario proposto poteva indurre conseguenze poco piacevoli (quindi eticamente scorrette dal punto di vista della ricerca). E così fu.

 

Lo scenario dell'esperimento di Zimbardo

I partecipanti vennero reclutati attraverso un annuncio su un giornale universitario e furono selezionati solo coloro che non avevano precedenti penali e nessuna diagnosi mentale o fisica. A loro venne concesso un pagamento giornaliero. In modo assolutamente casuale furono divisi in due gruppi: guardie e carcerati. I partecipanti furono trasferiti in una prigione allestita nei sotterranei della Facoltà di Psicologia di Stanford: le celle erano di due metri per tre e ognuna ospitava 3 prigionieri, si aggiungevano una piccola cella d'isolamento, un cortile e delle stanze per le guardie. I prigionieri restavano in cella tutto il giorno, mentre le guardie lavoravano su turni di 8 ore in gruppi da tre.

Dopo soli sei giorni l'esperimento fu bloccato a causa dei segnali di stress mostrati da tutti i partecipanti. Nonostante non ci fossero delle regole di comportamento a cui aderire, in breve tempo l'ostilità e l'aggressività presero il sopravvento. Le guardie divennero prepotenti e cominciarono a maltrattare i prigionieri, anche fisicamente: molti di loro richiesero la sospensione dell'esperimento perché emotivamente sconvolti.

 

Cosa successe durante l'esperimento di Zimbardo?

L'esperimento di Zimbardo diede un grande contributo alla psicologia sociale perché dimostrò gli effetti sulla condotta delle aspettative e delle regole connesse ad un ruolo. Le guardie adottarono quello che secondo loro era il comportamento connesso al loro ruolo, sebbene non facesse parte della loro condotta quotidiana. L'assenza stessa di regole ha reso necessaria l'adesione alle norme veicolate dal finto scenario sociale e l'esperienza di gruppo ha elicitato il senso di responsabilità condivisa: ridotto senso di colpa, assenza di paura e vergogna e indebolimento del senso di responsabilità personale.

 

Immagine | Corey Leopold