Bullismo al femminile
Leggo, 7 Febbraio, 2012: “ROMA - Le “bulle” si sono insultate - e sfidate - su Facebook. Poi dalle parole sono passate ai fatti. Il match, stavolta tutt’altro che virtuale, è avvenuto il 30 gennaio scorso nel piazzale antistante la metro Garbatella. Motivo: un fidanzatino conteso”. Questo è solo uno dei tanti episodi di bullismo al femminile di cui si sente parlare sempre di più recentemente; un fenomeno subdolo, indiretto, quasi invisibile, ma spesso più pungente, più efficace e più “aggressivo” anche rispetto a quello maschile
Definizione e caratteristiche del bullismo
Secondo Olweus, pioniere degli studi sul bullismo “uno studente è oggetto di azioni di bullismo, ovvero è prevaricato o vittimizzato, quando viene esposto, ripetutamente nel corso del tempo, alle azioni offensive messe in atto da parte di uno o più compagni” (Olweus, 1986; 1991). Le azioni offensive di cui parla Olweus possono essere di diverso tipo: fisico, verbale o indiretto.
Proprio in virtù di questa differenziazione, è possibile parlare anche di forme differenti di bullismo, ovvero il bullismo diretto, consistente in veri e propri attacchi rivolti alla vittima, che possono essere aggressioni fisiche, parole volte a ferire la vittima, smorfie facciali o gesti offensivi; e il bullismo indiretto (o psicologico), volto all’esclusione intenzionale di una persona dall’intero gruppo dei pari o all’isolamento sociale ("Il bullismo come fenomeno sociale", Anna Civita).
I comportamenti tipici del bullismo si riscontrano più o meno nella fascia d’età che va dai 7 ai 16 anni, quindi si rendono più evidenti nel periodo che va dalla scuola primaria alla scuola secondaria di secondo grado. Gli episodi tendono a diminuire con l’età, anche se l’intensità o la gravità degli stessi aumenta.
Il bullismo femminile: cos’è, chi è la bulla e chi sono le sue vittime
Il bullismo al femminile o bullismo psicologico può essere in qualche modo descritto come più subdolo, rispetto a quello maschile, meno diretto, più nascosto e forse più tagliente.
I comportamenti tipici della “bulla”, infatti, si esprimono attraverso l’uso di bigliettini offensivi, minacciosi, le prese in giro o i pettegolezzi usati apposta per nuocere la vittima o, ancora, l’allontanamento della stessa dal gruppo, ad esempio da quello scolastico. Inoltre, le ragazze tendono a mettere in atto i loro comportamenti soprattutto verso altre ragazze, al contrario dei maschi che si scagliano sia verso i maschi stessi che verso le loro compagne femmine.
Per comprendere meglio l’identikit della “bulla” si può utilizzare una definizione data da Giacobbi a riguardo: “un nuovo tipo di femmina nella quale tratti di aggressività violenta, tradizionalmente maschile, oppure comportamenti (trasgressivi o rischiosi) fino a qualche anno fa tipici dell’adolescente maschio convivono con un’identità eterosessuale femminile e persino con aspetti di cura e di interesse spiccatamente ‘femminile’ per il corpo e la dimensione estetica” (“Bullismo. Aspetti giuridici, teorie psicologiche e tecniche di intervento”, Guarino A., Lancellotti R., Serantoni G.).
Queste ragazze solitamente tendono a scagliarsi contro le loro compagne più timide, incapaci di reagire, più insicure oppure contro quelle che presentano alcuni deficit a livello fisico o, al contrario, contro quelle ragazze, ad esempio del gruppo classe, che sono definite particolarmente belle o invidiate, rivali della bulla in qualche campo.
Ovviamente, le conseguenze di determinati atteggiamenti incidono soprattutto a livello psicologico, comportando, spesso, un senso di insicurezza e di mancata accettazione di se stessa nella vittima, oltre che bassa autostima e poca fiducia in sé.
Facile può essere lo sviluppo di un comportamento anoressico, dato che ad essere preso di mira con particolari attacchi verbali è, in molti casi, il corpo, schernito soprattutto in presenza di determinate caratteristiche fisiche. A volte, capita che nella vittima scatti una sorta di autodenigrazione che la porta a voler entrare nel gruppo delle bulle.
Cause del bullismo
Sulle motivazioni che possono essere dietro determinati atteggiamenti aggressivi, diretti o indiretti, si è detto molto. A livello patologico, i disturbi della condotta rappresentano una causa di alcuni comportamenti da bullo, soprattutto quelli che mirano alla trasgressione di regole.
Un elemento importante è sicuramente costituito dal contesto familiare: se si cresce, infatti, in un ambiente in cui il bambino viene continuamente sgridato o punito con la violenza, quest’ultimo tenderà a considerare la violenza e l’aggressività come unico mezzo per risolvere qualsiasi problema. Questo vale sia nel caso dei maschi che nel caso delle femmine.
In particolare, la violenza e l’abuso sessuale hanno un ruolo preponderante soprattutto nello sviluppo di comportamenti aggressivi nelle ragazze. Se, infatti, queste hanno dovuto affrontare le prepotenze di qualcuno all’interno della famiglia, cercheranno poi una sorta di riscatto nel mondo esterno, mettendo in atto gli stessi comportamenti che hanno subito (“Il bullismo come fenomeno sociale”, Anna Civita).
Inoltre, c’è chi vede nell’atteggiamento della bulla l’attivazione di processi di identificazione dell’adolescente femmina con il modello maschile, tipica della società di oggi, in cui la donna ha assunto nuovi ruoli e in cui la differenza tra funzioni maschili e funzioni femminili è diventata sempre più sfumata (Giacobbi, 2003).
Infine, c’è da dire che il bullismo è tipico della fase adolescenziale, periodo in cui si completa la costruzione della propria identità. Se la ragazza non viene adeguatamente sostenuta in questa fase, dalla famiglia, ma anche dalla scuola, non saprà come gestire e superare gli ostacoli tipici di questo momento evolutivo. Si sentirà sola e sfiduciata e tenderà ad esprimere il proprio disagio all’esterno, sfogandosi con comportamenti di tipo aggressivo.
Come intervenire
In caso di bullismo, prima di pensare ad un intervento specifico per i principali attori coinvolti (bulli e vittime), è necessario che venga attuato, ad esempio all’interno del gruppo classe/scuola dove più frequentemente si verificano episodi del genere, un programma di prevenzione.
L’azione preventiva serve, infatti, ad inculcare determinati valori, come il rispetto degli altri e delle loro emozioni, la solidarietà tra ragazzi, la volontà di costruire un dialogo costruttivo con l’altro. Tutto ciò può avvenire, però, solamente se famiglia e scuola uniscono le forze e si fanno loro stesse promotrici di adeguate modalità di relazione e di stili di vita sani.
Rispetto all’intervento individuale, uno studio condotto nel 2006 da un gruppo di ricercatori tedeschi ha mostrato come la terapia familiare breve strategica ha un impatto positivo sulle “bulle”.
L’obiettivo generale di questo tipo di terapia è quello di migliorare, nel caso dei bambini o degli adolescenti che la intraprendono, il loro comportamento, partendo dal potenziare le relazioni familiari, che si presume siano direttamente collegate alle problematiche dei ragazzi. Inoltre, questo tipo di processo terapeutico si propone di rafforzare i rapporti tra la famiglia e gli altri importanti gruppi sistemici che influenzano il comportamento giovanile, ad esempio il gruppo dei pari o il gruppo scolastico.
In particolare, lo studio ha dimostrato che, dopo il trattamento, le ragazze avevano ridotto i loro comportamenti aggressivi, avevano migliorato le relazioni interpersonali e la loro generale qualità di vita. Questo tipo di terapia risulta utile anche per la vittima, in quanto permette di raccontare la sua esperienza, in un contesto in cui è presente la sua famiglia e in cui si sente più protetto, e, all’interno del quale riesce ad esprimere, a condividere e ad elaborare i sentimenti negativi (frustrazione, sfiducia in sé, impotenza) che ha sviluppato in seguito alle prevaricazioni.
Cyberbullismo: caratteristiche e come combatterlo