La psicologia del trapianto: un’esperienza fisica, emotiva e relazionale

Affrontare un trapianto è un’esperienza traboccante di emozioni contrastanti che si alternano lungo l’intero percorso: dall’ingresso in lista d’attesa, al post operatorio. Gli aspetti fisici e psicologici si mescolano influenzadosi reciprocamente, ma occorre considerare anche il versante sociale: la relazione con il donatore e la sua famiglia

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Il trapianto di un organo è un evento che incide su un individuo da un punto di vista fisico, emotivo e relazionale. La psicologia del trapianto riguarda le molteplici domande che ci si pone circa questa esperienza riguardo il prima, il durante e il dopo intervento. Riuscire a comprendere cosa accade nella mente di un malato sottoposto a un trapianto è importante non solo per la scelta dei candidati ideali, ma anche per migliorare le possibilità e i tempi del recupero fisico e la qualità della vita del paziente. Il vissuto psicologico spazia dalla consapevolezza delle problematicità dell’operazione, alle paure inespresse e si basa sulla relazione simbolica che ci si costruisce con l’immagine del donatore.

 

La psicologia del trapianto: il prima

Il periodo precedente l’operazione è segnato fondamentalmente dall’attesa che può essere più o meno lunga ed estenuante. La possibilità di effettuare un trapianto ha già in sé molteplici significati. Per i malati di cuore o polmoni, il trapianto rappresenta l’ultima speranza di vita, ma oggi sono possibili anche innesti che non salvano dalla morte, ma migliorano la qualità della vita. L’ingresso in una lista d’attesa attiva emozioni come la paura e l’ansia di non essere idonei, in contrasto con la speranza di essere chiamati al più presto. L’attesa è quindi intrisa dall’ambivalenza tra il desiderio di vivere e il timore di morire prima, durante o dopo l’operazione. Se il periodo di attesa si protrae a lungo, i pazienti e i loro familiari entrano in una sorta di stallo psicologico, in cui è difficile fare progetti concreti per il futuro. La speranza di essere chiamati porta a confrontarsi con la morte del possibile donatore e non è insolito che insorgano sensi di colpa.

 

La psicologia del trapianto: il dopo

La notizia che il trapianto avrà luogo causa una nuova cascata emotiva che prende l’avvio dal timore che possa accadere qualcosa (peggioramento delle condizioni, problemi burocratici) che impedisca l’intervento. I primi giorni dopo il trapianto sono anch’essi caratterizzati da una forte ambivalenza che nasce dalla contrapposizione tra gratitudine e paura del rigetto. Se sorgono anche poche complicazioni il paziente entra velocemente in uno stato depressivo, inoltre è possibile che questo timore divenga una costante della vita futura. Il trapianto può mettere in discussione anche l’identità individuale che deve includere un organo nuovo nel proprio Sé. Incidenti di percorso in questo processo possono aiutare il rigetto dell’organo e causare disturbi dell’identità. Per questo è fondamentale che i pazienti abbiano una profonda consapevolezza sia emotiva, sia cognitiva del trapianto, per migliorare l’adattamento alla nuova situazione.

 

La psicologia del trapianto: la relazione con il donatore

La psicologia del trapianto sottolinea che chi ha subito un trapianto spesso modifica il proprio atteggiamento verso la vita. Essendo state beneficiate da un miracolo, si sentono più altruiste verso gli altri spinte dalla gratitudine nei confronti del donatore. Una pericolosa possibilità è l’identificazione con chi ha donato l’organo che porta a delle prevedibili conseguenze ansiose e molto dolorose. Chi ha subito il trapianto spesso vuole riunirsi al donatore attraverso la famiglia. Nonostante la legge tuteli l’anonimato in alcuni casi è stato possibile risalire ai familiari i quali però non sempre reagiscono bene, dovendo loro affrontare una perdita e non un dono.

 

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