Elaborazione del lutto e funzione psicologica dei funerali
I funerali mostrano quanto sia importante per la mente potersi confrontare, seppur con dolore, con la concretezza della morte affinché si possa elaborare il dolore, ma anche attivare un ricordo rassicurante.
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I funerali sono elemento cardine dell’evento morte per coloro che professano una fede religiosa e che ricavano, entro tale cornice, anche un sistema di significati e prospettive da attribuire ad esso.
Ma anche per chi non crede, per coloro che sono sostanzialmente atei, i funerali e le ritualità collettive intorno al morire assolvono una funzione fondamentale in senso socio-antropologico e psicologico. Non poterlo fare o non poter vedere o avere il corpo del congiunto (si pensi ad alcuni drammatici incidenti aerei) rappresentano elementi che concorrono a quello che spesso può configurarsi come lutto complicato: un lutto difficile da iniziare e quindi da elaborare.
Negazione del lutto e società dei consumi
Si è detto da più parti che viviamo nell’era del narcisismo, dell’immagine, dell’eterno presente. Nell’epoca che rifugge consumisticamente il confronto con qualsiasi tipo di morte, rinuncia, perdita.
Quel che era e non è deve essere immediatamente rimpiazzato con altro, o con altri, in una società sempre più “liquida” che sembra (o sembrava) assegnare spazi sempre più ristretti alla celebrazione funebre e al morire. Non si può invecchiare, non ci si può fermare, non si può cessare di esistere in digitale neanche davanti al morire: ai funerali, come in visita al campo di concentramento di Auschwitz, si continuano a scattare selfie…
Il periodo di lockdown della pandemia da Sars Cov-2 non solo ha costretto molti a fermarsi, ma anche a confrontarsi con la morte e il morire (di propri congiunti o di altri) e con l’importanza che rivestono i funerali (in quella fase impossibili a svolgersi) per gli esseri umani, compresi quelli iper-digitali del terzo millennio. I morti si sono ridotti a numeri, a elenchi, non solo per la dolorosa quantità che componevano, ma anche per l’impossibilità di vederli, toccarli, salutarli…
Elaborazione del lutto: e “realtà” della morte
Una delle regole da osservare quando si comunica a qualcuno il decesso di una persona cara (si pensi ai medici) è quella di dire esplicitamente a chi resta che quella persona è “morta”.
La nostra lingua ci potrebbe proporre molti altri eufemismi sicuramente più delicati e accorti e che certamente hanno tutto il valore di comunicare rispetto e attenzione per la valenza emotiva che tale evento comporta per chi resta. Ma, per quanto doloroso, è necessario che la parola morte possa essere pronunciata, che la mente di chi resta abbia la possibilità di confrontarsi con la dimensione di realtà che l’evento rappresenta.
Così come è opportuno, là dove possibile, che ci si possa accostare al corpo del proprio congiunto, in una veglia o in un funerale o altro rito a esso assimilabile. Non basta averne colto una consapevolezza implicita, la morte ha bisogno di essere “detta” e vista nella sua concretezza corporea o negli epifenomeni di essa per poter essere accolta dalla mente, emozionale e non solo razionale, come tale.
Uscire dal “limbo”
Confrontarsi con la morte di una persona cara è un processo psicologico complesso che si snoda attraverso fasi differenti che la mente attraversa per prendere coscienza dell’accaduto e poi elaborarlo.
La mente umana reagisce alla perdita inizialmente con un moto di negazione “non può essere vero”, “mi sembra come se non fosse accaduto”, “ho come la sensazione che lui/lei spunterà come sempre da quella porta” eccetera… Sono tutti pensieri molto comuni che accompagnano le prime fasi del lutto perché la mente non ha ancora, o non del tutto, compiuto il processo di confronto e accettazione dell’ineluttabilità della perdita: per questo è necessario potersi confrontare con elementi di tangibilità che la rendano man mano “reale” anche psicologicamente per chi resta.
Il rischio, altrimenti, è quello di permanere in una sorta di limbo – e nei lutti complicati questo stato può perdurare anni – dove pur non potendo più relazionarsi alla persona amata in carne e ossa non ci si relaziona neanche alla sua scomparsa, la mente permane in uno stato di “sospensione” in attesa che le cose riprendano da dove si erano interrotte.
L’assenza di funerali è solo uno degli elementi che possono contribuire a determinare casi come questi, ciò non di meno ci fanno vedere quanto sia importante per la mente potersi confrontare, seppur con dolore, con la concretezza della morte, con la realtà della perdita. Solo così la mente di chi resta potrà elaborare il dolore ma anche il ricordo della persona scomparsa e ritrovarne, un giorno, un’immagine rassicurante e ancora “presente” nella propria mente.