Addio a James Hillman, profeta dei miti perduti del postmoderno

Ci ha lasciato il 27 Ottobre scorso all’età di 85 anni James Hillman, uno dei più illustri e controversi personaggi della cultura psicologica, psicoanalitica e filosofica del mondo contemporaneo. Riconoscendo senza reticenze il fallimento dell’economia, della cultura e della stessa psicoanalisi contemporanee ha fatto della sua “Psicologia Archetipica” un mezzo per portare le immagini degli déi e dei miti fuori dalla stanza d’analisi alle radici di una società globale eppure psicologicamente “monoteistica”

Addio a James Hillman, profeta dei miti perduti del postmoderno

James Hillman (Atlantic City, 12 aprile 1926 – Thompson, 27 ottobre 2011) non è stato semplicemente uno psicoanalista, uno junghiano, un filosofo, o un letterato, ma tutte queste cose insieme e molto di più incarnando in un certo senso – come osservava David Santori – la figura del profeta inteso come “colui che ci dice ciò che è, non ciò che sarà, colui che ci mette in contatto con il presente”.

 

James Hillman e la cultura postmoderna

Il pensiero di James Hillman muove dai presupposti del pensiero Junghiano per approdare ad una posizione personale, quella della psicologia archetipica, che radicalizza l’uso delle metafore e delle immagini del mito per una terapia, non più dell’individuo, ma delle idee, delle stesse concezioni, cioè, che animano la società. Il fallimento della società moderna e postmoderna, sembra dire James Hillman, precede e organizza il fallimento individuale nella misura in cui vive l’assolutizzarsi di un’unica dimensione dell’esistenza – quella del commercio, dell’apparenza e dell’inganno – a scapito di altre componenti che potrebbero restituirle sostanza, complessità e bellezza.

 

Il pensiero junghiano riconosce una dimensione inconscia e sovraindividuale alla psiche umana, animata da immagini e modelli comuni a tutti e, per ciò, trasversali ai miti e alle divinità delle varie religioni e culture. In tal senso gli déi – come quelli del Pantheon greco – non rappresentano solo ingenue antropomorfizzazioni di una civiltà antica, ma, in senso psicologico, sono proiezioni, immagini e simboli delle molteplici e multiformi dimensioni della psiche collettiva che si personificano e si rivelano sul piano individuale di ognuno. Ed è proprio di questi che si è servito James Hillman per interpretare – fra le altre cose - il senso del malessere dell’uomo e della cultura contemporanei.

 

Il fallimento della società postmoderna, intorno a valori economico-sociali svuotati di senso, ha assolutizzato alcuni aspetti rappresentati dal dio greco Ermes, “ingannevole, seduttivo e commerciale” perché privato delle sue potenzialità creative e profonde. Lo stesso mondo dell’educazione e della Scuola, osservava nel 2002 James Hillman in una Lettera agli insegnanti italiani, assorbita spesso da una logica “industriale” dell’efficienza e del profitto sembra più occupato ad offrire curricola “in linea” con competenze “spendibili” che a stimolare e valorizzare il desiderio di sapere degli allievi e il rapporto fra questi e gli insegnanti.

 

Con la teoria della ghianda – che rimanda in realtà ad una complessità di miti trasversali a varie culture occidentali ed extraoccidentali – James Hillman afferma che ognuno di noi serba in sé un’innata vocazione di vita, un’immagine interna che racchiude le potenzialità del suo destino individuale come la ghianda esprime in potenza l’albero che ne deriverà un giorno. La propria realizzazione personale, o se si vuole la propria Individuazione, sembra passare così, necessariamente, per il superamento del proprio individualismo autocentrato, sia come individuo che come società, riconnettendoci alle componenti archetipiche e sovra individuali della nostra psiche per recuperare solo così l’intera profondità del nostro essere.

(3 novembre 2011)

 

Fonte immagine: cL0d